Inizio, poi vedremo

Soundtrack: Arctic MonkeysShe’s thunderstorms

Non so proprio di cosa scrivere, ma ne ho voglia. Molta voglia.

Ho riletto alcune cose scritte un paio d’anni fa e mi viene da sorridere guardando il mio livore, la mia rabbia e il mio bisogno di farmi notare.

Perché alla fine quello quell’è.

Non sarei in grado, ora, di analizzare la vita altrui e mia con cotanta presunzione.

Insomma, mi capisco ma non mi condivido più.

E’ vero, in parte è vero che il mondo è fatto di cose classificabili, riconoscibili e riconducibili ad un modello standard. E’ vero. Ma è apparenza. Armatura. Mimesi. Paura.

Credo sia un ragionamento da pancia piena, questo. Un ragionamento sul divano dell’amore assicurato e del quotidiano accompagnato. Per quanto nel mio caso si applichino parzialmente, assicurazione e accompagnamento.

Ma è così, il cuore caldo spaventa la paura e tutto sembra molto più sciolto, semplice e personale. Sto scialla, direbbero i giovinotti della capitale.

Non ho bisogno di appartenere perché appartengo. Non ho bisogno di sembrare perché sono, non ho bisogno di travestirmi perché posso farmi vedere nuda.

Questo succede, credo, quando ami e sei amata. E mi sembra di vedere tutta la strada fatta strepitando e sbattendo i piedi e agitando i pugni nell’attesa di incontrare l’incrocio che mi facesse smettere.

Ma che tenerezza che mi faccio.

Sto buona stasera. Stanca e buona. Tra poco comincia il presepe annuale al centro dove lavoro. Il tema è “il condominio”. Faremo dei palazzoni con appartamenti vari e ogni cicciopiccolo e il relativo genitore si occuperanno di costruire personaggi e oggetti.

Quest’anno lavoreranno con noi anche i genitori. Perché sono stanca di prendermela con le madri dei miei ciccipiccoli accusandoli di qualunque nefandezza e incapacità. Sono stanca di dare una colpa che non c’è e sono stanca, per l’ennesima volta, di riempire di responsabilità donne che si fanno un culo così dalla mattina alla sera occupandosi di due miliardi di cose contemporaneamente.

Cherchez la femme (ho dovuto controllare su google per vedere se era scritta bene). Ma chi cazzo l’ha detto?

Ho imparato, osservando Biancaneve da vicino, che le madri non sono una categoria. E neanche le lesbiche.

Le madri sono persone (donne, in particolare) che si assumono la responsabilità del nucleo atomico sociale. E lo fanno in maniera totale e assoluta. Anche quando lavorano, anche quando sono matte come cocuzze, anche quando so’ stronze.

E ogni madre educa un figlio in relazione ad una serie di variabili che neanche un elaboratore IBM potrebbe conciliare.

Vedo donne mettere insieme il bagaglio ricevuto “in dote” con le proprie aspirazioni (a volte coincidono, a volte DEVONO essere diversi), considerando il tessuto sociale di quel momento, mediandolo con il bagaglio e le aspirazioni di un uomo e centrifugare l’insieme per renderlo potabile ad un bambino che deve restare vivo per poter poi crescere al meglio di ogni possibilità. Il tutto scartando continuamente attentati emotivi, affettivi e sociali. E incastradosi periodicamente in un imbuto fatto di dubbi e incertezze e messe in discussione. E cambiando direzione all’improvviso, quando le cose cambiano, quando gli eventi lo chiedono, quando il gioco si fa duro. Il non previsto arriva e arriverà sempre, per quanto io veda ognuna di queste donne/madri cercare di pianificare e prevedere anche l’assurdo. In questo bailamme che sfinirebbe un ippopotamo, ci si deve anche dotare di biancheria intima sexy. Non ingrassare. Combattere la cellulite. Leggere libri. Conoscere il programma scolastico di tutto il ciclo della scuola primaria e secondaria. Comprare mutande a tutti e autoreggenti per sé. Fare la spesa e cucinare 14 piatti diversi in una settimana. Uscire la sera e fare bella figura senza addormentarsi con bavetta alle 10 e mezza sul divano del dirigente del marito. Saper aggiustare elettrodomestici. Non sfanculare i figli sotto i sedici anni quando ti sfrantano i coglioni alle 11 di sera perché non vogliono dormire e non spengono la nintendo. Fare il gendarme perché i suddetti figli si lavino, facciano i compiti e mangino decentemente, perché i mariti aiutino, le suocere si facciano i cazzi propri, le nonne non interferiscano, le amanti dei mariti non esagerino e i colleghi non ti facciano lo sgambetto. Pulire casa come un’impresa professionale. Mettere le scarpe coi tacchi. Fare i cambi di stagione al momento giusto. Decidere con 50 euro di comprare i pantaloni ai figli e non una maglia per sè, anche se sono passati 306 anni dall’ultimo acquisto decente. Cucire bottoni. Guidare la macchina come un driver professionista per arrivare in tempo a scuola, al basket, al catechismo, dai nonni, al lavoro, in ospedale dalla zia, dalla sorella depressa, dall’amica che l’ultima volta che l’hai vista il figlio era appena nato adesso sta alle medie.

E mentre sudano come foche in questo perenne movimento iperattivo, arrivano le voci di fuori. Non sono abbastanza educati. Non ti curi di te. Non sono abbastanza fighetti. Non scopiamo abbastanza. Non puoi prendere decisioni così rischiose. Non sta bene. Non è giusto. Non mangiano abbastanza. Non parliamo abbastanza. Non li responsabilizzi. Non puoi fare tutto, devi rinunciare a qualcosa. non si può mangiar pizza tutte le sere. Non ci sei mai. Sei troppo dura. Sei troppo arrendevole. Non sai gestirli. Sei ingrassata. Sei troppo ansiosa. Sei troppo protettiva. Li lasci troppo soli.

Mi pare che mi posso fermare. Ma ci potete aggiungere quello che cazzo vi pare. Tanto ci sta tutto.

Non sarà per tutti così, ma per la maggior parte sì.

Quindi non ho più voglia di ritenere colpevole una madre per ogni figlio iperattivo, inibito, dislessico, con ritardo del linguaggio, balbuziente, maleducato o rompicoglioni.

Le guardo e penso che fanno quello che possono. Al meglio di sé. Impregnate della loro storia, del loro dolore e dei loro dubbi. Con marchi a fuoco che io neanche conosco. Spaventate a morte ma sempre a far scudo. A volte in ginocchio, a volte in piedi, a volte con la testa nella sabbia.

Preferirei imparare a dir loro che va bene così, va bene. Che lo so che più di questo non credono di poter fare. E che qualcosa di nuovo, insieme, ce lo potremmo pure inventare. Per star meglio tutti.

Più sopra ho scritto che il cuore caldo spaventa la paura. Me lo devo ricordare anche quando lavoro.

Ma come sto romantica stasera.

Prossimamente un pippone sul potere sociale dirompente delle lesbiche.