Ho 10 anni.
Non lo so se sono intelligente.
Mi porto piccolo, lo vedo. Tutti gli altri lì sono più alti e più grossi di me.
Ma sono fighetto.
Non so neanche cosa vogliono tutti da me.
Eppure sono stato bravo. Sono stato bravo in prima e in seconda a non far capire a nessuno che non riuscivo a leggere neanche una singola lettera. Metterne due insieme non sapevo neanche si potesse fare.
I segni neri sul foglio.
Fossero padelle o pagode o brontosauri o pesci o maniglie, avrei saputo distinguerli uno dall’altro.
Ma sono segni.
E dovevo trasformarli in suoni. E metterli insieme. minimo 4. E poi sentirlo. No uno per uno, tutti insieme. E io manco mi ricordavo il primo che segno era e che suono aveva. E se per magia li mettevo insieme, dovevo farli diventare una parola. Che ha un significato, che dovevo conoscere, sennò a che serve?
Ci hanno messo due anni a scoprirmi.
E non hanno più smesso di chiedermi di farlo. Di leggere. Sempre. Tutto.
Dicono che leggere è bello. Ho dieci anni, non mi è permesso dire parolacce. Non si dicono le parolacce.
Ma si leggono segni che non si capiscono. Tutti lo fanno. Tutti son capaci.
Tranne me.
Ma sono forte e intelligente. E allora perché non so raccontare una storia? perché non capisco quello che leggo? perché non imparo a leggere più veloce?
Mi hanno detto che sono dislessico. Ma io sono stupido.
Lo vedo negli occhi di papà quando mi ascolta mentre leggo. E lo vedo nella mascella di mamma che si contrae e si indurisce quando non capisco. Non mi vogliono così. Pensano che non me ne accorgo.
Leggere vuol dire molte cose, mi pare di capire. Si legge per imparare – e io non imparo -, si legge per piacere – e a me non fa piacere -, si legge tra le righe – e io non vedo le righe -, si legge una persona – e io non son capace -. Non sono come tutti gli altri, non sono niente.
Non sono abbastanza. Ci provo, ci provo e ci piango, mi ci addormento, mi ci viene il mal di pancia. Non funziona.
Non sono niente.
Mi hanno portato in un posto assurdo. Ho avuto paura. Tanta paura. Non lo so cosa volevano da me.
Ma mi hanno fatto leggere. E io non lo so fare. E ci ho provato a scappare e anche a dire bugie. Ci ho provato a far vedere che sono fighetto, che so tuffarmi dalla montagna, che so stare sott’acqua due ore senza respirare, che so saltare fino al secondo piano. Ma loro mi hanno fatto leggere e mi hanno detto che sono lento. Che non lo so fare. Che sono dislessico.
Io non sono dislessico.
Io non sono niente.
Il mio papà grida e diventa rosso quando facciamo i compiti insieme. Gli hanno detto di smettere di fare i compiti con me.
La mia mamma a volte piange, quando non capisco. Si nasconde, ma la vedo. Io la vedo. Io voglio essere come vuole lei, io voglio essere come vuole papà, io voglio essere il figlio che vogliono, io ci provo fino a spaccarmi la testa sui libri.
Ma io non ci riesco.
Adesso faccio i compiti con mia cugina. Hanno mandato via due persone perché loro mi leggevano i compiti del libro che dovevo imparare. Mamma e papà dicono che sono un paravento e sono pigro.
Io sono stanco. Sono molto stanco. E non ho ancora dieci anni.
Vado quattro volte alla settimana in quel posto assurdo, pieno di bambini piccoli e bambini strani. Alcuni stupidi. Altri brutti. Altri cattivi.
Mi ci sono abituato.
La mia logopedista dice che qui ci vengono i bambini che hanno bisogno di qualcosa, bisogno di aiuto.
Io non ho bisogno di aiuto. Sono forte io.
Sono tre anni che lavoro. Mi hanno fatto fare delle cose strane, che non capisco. Alcune noiose a morte. Alcune da ripetere e ripetere e ripetere.
Sono stanco.
Sono dislessico.
Non so leggere. Dicono che anche a scrivere va male. Allora io scrivo piccolo piccolo piccolo così nessuno ci capisce niente e non mi possono dire che scrivo pure male. Poi mi hanno detto anche che non so raccontare le storie. Mi danno le mappe. Ma non riesco a ricordare tutto. Non mi posso ricordare tutto. Non ho tempo. Devo guardarmi intorno e carcare di capire negli occhi e nelle facce degli altri cosa vogliono da me, devo guardare le labbra delle persone per vedere quando dicono la prima lettera della parola che mi serve, devo ascoltare chi mi suggerisce e devo calmare i tic che mi fanno spaccare le labbra. Io non posso fare tutte queste cose insieme, sono stanco.
La mia logopedista dice che anche tutto questo è leggere e che, quindi, io so leggere.
Mi fanno lavorare con altri bambini come me.
Allora non sono l’unico niente.
Con quelli come si impara la pazienza e si impara a capire. Che il mondo non è finito qui.
Con quelli come me impariamo a capirci. E se ci diciamo che siamo scemi, è diverso. Con quelli come me, io mi sento meglio.
Poi la mia logopedista non mi fa più leggere. Ha detto che ci sono altre cose da fare nella vita. E ha detto che io non sono stupido. Ma non le credo. Lo vedo con chi lavora, qui dentro.
Mi hanno fatto fare strani giochi che non ho capito per un po’. Guardarsi in faccia per capirsi, provare a dire quello che penso, dare un nome alle cose che sento, dire di che cosa sono arrabbiato. Non ero arrabbiato. Però forse sì. Ma non lo posso dire. Non si dice quello che c’è nella mia testa. Potrebbe fare male a qualcuno. Qui dicono che si può dire. Ma non mi faccio fregare e mica dico tutto.
Adesso devo andare in prima media. Ho una paura gigantesca. nelle ginocchia e nella testa. Mi scoppia la testa dalla paura. Mi dicono che sarà diverso e più difficile, che sarà tutto nuovo e nessuno mi conosce e poi mi dicono che è una bella cosa. No, io non sono stupido, non più, e ho paura e da qui non me ne voglio andare.
Ho imparato che sono dislessico, che questo non fa piacere a mamma e papà a che loro devono imparare che io sono così, che a scuola devo avere cose diverse dagli altri. E sarà pure figo usare il computer a scuola, ma se lo uso solo io vuol dire che non sono uguale agli altri. Ho imparato che in questa classe le maestre fanno le cose apposta per me, lì dove devo andare non lo so. Ho imparato che per stare a scuola devo avere una maestra mia, la logopedista, l’aiuto per i compiti, le schede speciali, il computer, la calcolatrice, la riduzione dei compiti e che le verifiche così le faccio solo io e un altro bambino che non parla nemmeno. Ma come ci vado così in prima media?
Io non so più niente e ho solo paura.
La mia logopedista dice che va bene così, che così mi devo sentire. Che il mondo è costruito intorno alla lettura e io devo trovare il modo per sfangarla. Lei dice che leggere le persone è la prima cosa e che saper ascoltare stare attento la seconda. Che devo essere forte come un dinosauro e coraggioso come un leopardo. Dice che se so cosa non so fare posso impegnarmi a capire cosa so fare. E che così mi stanco di meno.
Io ho 10 anni e sono stanco. Ma sono un bambino e ci credo a quello che dite voi grandi. Tanto in prima media mi ci manderete anche se piango e vomito e mi faccio venire l’herpes. Mi ci manderete tutti i giorni anche se non capisco e non riesco e ci provo. Mi ci manderete lo stesso.
E se non ci riesco lo stesso?
La mia logopedista dice che, in questo caso, sono autorizzato a menà.