Pigrizia e amori che finiscono

SoundtrackMaroon 5Give A Little More

Ascolto Pesatori, leggo l’oroscopo internazionale e non mi cambia un cazzo. Pigra sono e pigra resto.

E manco ho voglia di far qualcosa. Mille progetti sospesi. Faccio orecchini adesso.

Non proprio adesso. In questo periodo.

Ho delle amiche. In difficoltà di coppia. A volte mi chiedo se il trascinare rapporti non sia una forma di pigrizia sentimentale.

Mi chiedo anche perché mai si creda che portare avanti un rapporto esausto sia da considerare un atto di gentilezza nei confronti dell’altr*.

Ma ricordo anche molto bene quanto sia difficile chiudere quella porta e “mandar via” qualcun* dalla propria vita. Qualcun* cui si è voluto bene, che si è amat*. Qualcun* di cui ci si è innamorat* pazzamente e follemente.

E, come ho detto spesso, quel gesto che ti ha portato al nirvana della mente e della carne diventa, una mattina di un mese qualunque e di un giorno della settimana qualunque, l’intollerabile prova di una presenza inutile, sgradevole, fastidiosa, soverchia.

Nel frattempo ho al telefono Biancaneve che vive la sua prima esperienza di festicciola preadolescenziale dei nani.

Amore mio, abbiamo la memoria corta. Rido ascoltando i suoi turbamenti da violazione di domicilio. Ridiamo da stamattina.

Dicevamo.

Credo di sapere quali meravigliosi discorsi può fare una mente per costruire un’impalcatura di bamboo che sostenga un amore che non esiste.

Ma proprio perché lo ricordo ancora, sono certa che si tratti di pigrizia, pavidità. E forse anche più di questo, la narcisistica pretesa che l’altr*, senza di noi, non ha speranze. Il che la dice pure lunga sulla natura del rapporto.

Se io credo che *l* mi* compagn* non sia capace di badare a se stess* e che ha bisogno di me per campare, non l* amo, non l* stimo, non l* considero un* pari. L* considero un animale da compagnia.

E non è un granché, per un rapporto di coppia. E non può durare. E non ha valore.

Non ci si dovrebbe legare ad una persona che non si stima e, di questo sono certa, lo sappiamo da subito se stimiamo qualcuno. Dalla prima volta.

Ma tira di più un pelo di fica che un carro di buoi. Metaforicamente parlando.

Certo tira anche la sindrome dell’infermiera. E una buona infermiera non può abbandonare il proprio paziente se non è guarito. E se non è guarito non si è state buone infermiere. Tanto vale, allora, farlo morire ‘sto paziente.

E chi si trova dall’altro lato vede lo sfacelo, il fastidio, la putrefazione dell’amore morto e pensa “ci sto provando, ma non so cosa fare”. Ed è una cazzata. Una gran cazzata. Chi sta dall’altra parte non ci prova, non ci prova perché non ama più. E piuttosto che ammettere il proprio non amore, preferisce considerare l’altr* un* bambin* capriccios* che vuole qualcosa che non può avere.

Non sono io a non volerci stare, è l*i che me lo impedisce.

E le cose si trascinano. Si spengono. Si sfaldano. Diventano orrende a vedersi e a viversi e si aspetta.

Si aspetta che arrivi un gancio, un ascensore, una gru, un passante qualsiasi a trascinarti via. Qualcun* che stavolta salvi te.

Funziona, in genere. Alla fine funziona davvero. E serve ad entramb*. Si ritrova amor proprio e voglia di ricominciare. Quasi sempre. Ma sarà difficile ritrovare qualcosa in comune. Non ci si rincontrerà più.

Solo mi spiace vedere le storie finire così. Sarebbe bello avere il coraggio di dire a qualcuno, semplicemente: “non ti amo più”. Il più presto possibile, il più limpido possibile.

Almeno così resta qualcosa.

Stima di sé, stima dell’altr*.

Credo, almeno.

La festa di là continua, i nani sono scatenati. Sentire le loro voci attraverso il telefono mi diverte e mi fa sorridere. Vorrei esserci.

Ma-non-è-ancora-il-momento.

 

Avete ragione

SoundtrackJill Scott Feat Anthony HamiltonSo In Love

Non mi faccio sentire da molto.

Forse è per non turbare questa quiete che sembra una magia. Niente casini, niente difficoltà, niente lutti, niente dolore. E io senza un po’ di dolore non so scrivere.

Oggi sono a casa iperraffreddata. Di quei raffreddori che mi fanno sentire una mappina (=straccio; N.d.T.)  a rotelle.

Mi si prepara un altro anno in questa casa gelida che, però, mi piace e mi appartiene. Mi arrangerò.

Fuggo dalla finanziaria che mi ha pagato la macchina e mi rifiuto di ottemperare alle rate che mi competono.

Sticazzi. Quando potrò, riprenderò.

Guardo con orrore tutto quello che succede a questo paese e penso di aver letto tutti i segnali di questo squagliamento morale e sociale qualche anno fa. Perché tanto, lo sappiamo tutti, la questione non è solo dei governanti e dei partiti. Ognuno di noi ha permesso che una quota di squagliamento si materializzasse senza minimamente far caso alle conseguenze.

E rincoglionita come sto, ho voglia di dire che mi sono rotta il cazzo dei funerali che durano tre giorni passati ai tg tre volte al giorno come un antibiotico. Mi sono rotta il cazzo delle immagini splatter piantate nei miei occhi come se non dovessi cogliere la differenza tra CSI e la morte senza dignità. Mi sono rotta il cazzo dei miei giochini di facebook, che mi drogano e mi attorcigliano il pensiero, mi sono rotta il cazzo dei post su facebook tutti uguali e tutti senza un minimo di critica e informazione aggiuntiva (anche i miei).  Non ne posso più di sentire le stesse identiche fottutissime frasi. Le diciamo tutti. Le recitiamo tutti. Un mantra di ignoranza che nasconde il reale disinteresse per qualsiasi cosa intorno.

Penelope cerca di salirmi sulla tastiera del computer. A 21 anni potrebbe pure stare nu poc chiù quiet. In quell’ora che passa sveglia  si annoia e vorrebbe qualcosa da me che non so cosa sia.

Con Biancaneve va bene, procediamo con lentezza bradipa verso non si sa cosa. Come un gatto sulla vetrinetta degli oggettini della nonna, cerchiamo di non far cadere niente e di non rompere bomboniere e vasi di cristallo. Che poi di cristallo non sono. Ma ogni vetro è cristallo a qualcuno.

Cerco di trovare nuovi modi di lavorare perché, perlopiù, mi annoia fare le stesse cose.

Odio ammalarmi. Mi prende male. Mi prende “vogliomamma” e invece me la devo cavare da sola. Cheppalle.

Il tempo è bigio e grigio. Un albero, davanti alla mia finestra, si è spaccato ed è caduto. Dall’altra parte, per fortuna.

Forse non è tutto così immobile e forse un po’ di dolore, da qualche parte, c’è. Ma non abbastanza per scrivere decentemente.

Sarà la menopausa.