16 anni

Facebook è una fogna, si sa. E i commenti sotto ai post che parlano dei festini a base di coca e sesso con minorenni ne sono la prova assoluta. Son sempre le ragazzine, le vere colpevoli: prostitute consapevoli, autodeterminate e provocatorie. E mi chiedo, ogni volta: ma questi commentatori seriali se li ricordano i loro sedici anni?

Perché io, invece, me li ricordo benissimo.

Avevo 16 anni nel 1979 (vi allego top chart dell’anno per chiarire che anche la mia generazione ha ascoltato musica demmerda:

https://www.musicoutfitters.com/topsongs/1979.htm .

Erano anni furiosi e feroci, quelli: politica, droga, mazzate, sesso, camperos, kefiah, terrorismo, Khomeini, Thatcher, rapimenti, Il cacciatore, Fuga di mezzanotte, Sinfonia di autunno, I nuovi Mostri, i cineforum con discussione, le borse di tolfa, l’eskimo, naj oleari, le magliette con le scritte, i gruppi di autocoscienza femminista, il punk, le occupazioni e le assemblee.

Nella mia scuola c’era un movimento che si chiamava S.OH.S: Sovversione oh Sovversione.

Uno spaventoso minestrone bollente nel quale entravi per essere frullata senza pietà. Io ero una ragazzina inquieta, indefinita, in guerra con la mia omosentimentalità. Cercavo di essere comunista e mi sentivo una socialdemocratica. Bevevo birra di mattina, fumavo sigarette e canne come uno scaricatore di porto turco e soffrivo di crisi di panico. Volevo i piccadilly o gli el charro o i jeans fiorucci, ma non avevo una lira e i miei non me li volevano comprare (col senno di poi avevano pure ragione). Cercavo di essere etero e mi massacravo di sesso insensato e indesiderato con ragazzi qualsiasi.

Avevo bisogno, fin nelle unghie dei piedi, di essere riconosciuta come uguale, normale, alternativamente omologata.

Trovai varie soluzioni:

  • sperimentare la mia sessualità a qualunque costo (se ripenso alle mie prime esperienze, malgrado io non abbia mai detto di no a nessuno, le sentivo come stupri, ogni singola volta), senza lamentarmi e con lo spirito di una anatomopatologa;
  • metter da parte i soldi del biglietto dell’autobus che mi davano la mattina, 100 lire per il biglietto andata e ritorno, scroccare merende, canne, birre e sigarette MS comprate sfuse al chiosco sotto scuola (ma anche Kim, Marlboro oro e Muratti sottratte a matrigne, zie e nonne) e ottenere le 14.000 lire necessarie per comprare i piccadilly pezzotti grigi.

Fame di riconoscimento, di prove di esistenza, di appartenenza. Ditemi che mi vedete, che sono qui davanti a voi e mi vedete, riconoscete, accettate, stimate.

E se in quella nebbia solida qualcuno mi avesse proposto di prostituirmi per ottenere quello che volevo, lo avrei fatto?

Forse sì. Avrei potuto. Non l’avrei sentita come prostituzione, ma come uno scambio, uno scambio per ottenere quello di cui avevo bisogno. O di cui credevo di avere bisogno. Non solo soldi per comprare i simboli necessari alla mia omologazione, ma anche e soprattutto per diventare qualcuno, sentirmi qualcuno.

Ma non ne ho avuto l’occasione, Immagino sia stata solo fortuna, considerando che in quegli anni era attivo un fiorente giro nell’albergo davanti al mio liceo, con baristi coinvolti e studentesse dai cognomi altisonanti.

Ho avuto amici che mi hanno salvato la vita in tante di quelle occasioni, che non sarò mai capace di dimostrar loro la gratitudine che si meritano.

Quest’è.

Le Tre Grazie resuscitano la mia moto.

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Soundtrack: Bruce Springsteen – Born to run (che ho appena scoperto di non avre, cazzo, ma è tardi, ci penso domani)

Da non credere. Non si può credere. Non è dato credere. Incredibile.

R*, Alice e Da Queen mi hanno, oggi alle sei e mezza, consegnato un fogliettino per il ritiro della mia moto da due anni in coma dal meccanico, come regalo di Natale.

Sono orrenda nel ringraziare. Quando una cosa fa piacere, mi fa piacere, mi fa felice, qualsiasi formula di ringraziamento mi pare generica e standardizzata. Le parole non contano un cazzo. Forse i gesti, ma non abbastanza. Le Tre Grazie le abbraccio per molto meno.

E questo è moltissimo. Ci vorrebbero le braccia di Mister Fantastic. Ma anche questa non è la misura.

Mi sento una bimba viziata. Molto viziata.

Non ci posso credere.

Ho una polpa al posto dei polmoni. Mi è sparito il pancreas e il cardiomuscolo vagola rintronato.

Domani vado a prenderla se tutto va bene, sennò lunedì.

Miiiii.

Non ci salgo da due anni. State lontani dalla tangenziale est… Sarò anche senza assicurazione. Per ora la riporto solo sotto casa.

Mi mancano pezzi di attrezzatura e la giacca mi va due volte ormai. Ma i fondamentali ce li ho.

Non mi faccio capace.

L’ho già detto?

Poi torna pure il fab.

Io non so come possa accadere. Io non so come ho fatto a meritarmelo. E non è un attacco di autoqualcosa (o sì?), è proprio una domanda. Considerando che i miei ultimi anni non sono propriamente caratterizzati da generosità ed altruismo. Affatto.

Bimba viziata. Quello quell’è. E pure fortunata. Lo dico spesso. E’ bene che io me lo ricordi. Deve essere un bonus di default.

Omygod. Peccato faccia freddo. Ma in primavera voglio scorrazzare come una quattordicenne. E mi voglio comprare un casco decente, dovessi pagarlo a rate. E un pantalone da pioggia come quello di A*.

Posso smettere di invidiare tutti i motociclisti che vedo.

Che bello.

Che belle che siete, stronze di amiche del cazzo. Da due giorni a prendermi per il culo e a mandarmi per i campi. Stronze tutte e tre. Organizzate come soldatini. Ad ognuna un ruolo e tutte fichissime e rilassatissime e adeguatissime. Silenzi, telefonate, controtelefonate, richieste di informazioni casual. Il tutto facendo leva sui miei punti deboli. CESSE.

Come se ci volesse tutta ‘sta organizzazione per prendere per il culo una banana come me.

E mi avete fatto felice come una cogliona.

Lo sapete che mi secca. Emozioni così mi entrano dentro e non so più come farle uscire. E lo so che la sto facendo lunga, è che mi viene da commuovermi come quando vedo i film di Disney. Vaffanculo.

E se qualcuno mi mette gli occhi addosso, glieli cieco. Warning.

 

 

 

P.S. Argomento alter: “Adesso silenzio ” – disse la diva mentre accarezzava  il boa di struzzo appoggiato sulle spalle.

Non è la città, sono i legami

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Soundtrack: Rolling Stones Anybody Seen My Baby

Sono a Napoli.

Parto domattina all’alba avendo combinato un casino per via della mia demenza senile allegramente avanzante (ho ben due amiche a Roma, una non la vedo dagli anni 80, ci ho vissuto negli Stati Uniti, l’altra è l’unica che può capire, perfettamente, il mio stato d’animo attuale).

Quando vengo qui cammino per ore senza farci caso. E mi sparo i cinque allucinanti piani per arrivare alla colombaia senza neanche troppo sforzo.

Mi sono addormentata nel pomeriggio sul divano guardando i tre denti del Faito.

Una giornata splendida. E calda.

Ho comprato un borsalino nuovo. Identico. Non l’ho trovato di altro colore. Assolutamente identico ma nuovo. Una ossessione penelopesca.

Non sono andata da mio padre come mi ero promessa e ripromessa. Non ce l’ho fatta.

Ho dormito. Nella mia narcolessia da evitamento tipica.

Dovrò perdonarlo prima che muoia (io o lui?). Credo di doverlo fare ma ben poche cose mi aiutano a coltivare questo dovere. E non si può perdonare per dovere. Bisogna sentirlo.

Con il doc Fab siamo chiusi in casa da due giorni. Non ci viene di uscire. Capita che qualcuno passi di qui e si fermi. Ma stiamo bene nei nostri silenzi e negli scoppi di chiacchiere sintetici e intensi.

Abbiamo fatto l’albero insieme. E’ una bella sensazione. Mi piace fare l’albero e qui dai favolosi è particolarmente divertente. Il numero di palline da sistemare è vicino alle 9 cifre. Tipico del docfab e del suo concetto di quantità minima necessaria.

Tre ore a dirimere rami, sistemare lucette e attaccare palline colorate. E’ bellissimo e sono ben felice di averlo fatto qui. Che resta il mio posto dove tornare. Il posto dove fare il pieno assoluto di calore e tranquillità e energia e quiete.

Casa.

Sempre di più e persino senza il fab1.

Quindi non è la città che mi ricarica. E’ questo posto, senza dubbio.

Sono sul computer del doc, non oso immaginare che musica ci troverò. Ha degli strani e variegati gusti. Vedremo.

Napoli è un carnaio di umanità incazzata nera. La bellezza delle donne affacciate ai vasci (=bassi, N.d.T.) è commovente. Ma non bisogna guardare, neanche nascosti dallo schermo di occhiali scuri. Se ne accorgono e si incazzano come varani. Rischiosissimo.

In questa città uno sguardo diretto è un guanto di sfida che va raccolto prima che cada. Mi chiedo di cosa si abbia costantemente paura.

A vederla da fuori è affascinante come una puttana francese di mezza età. Ha molto da raccontare, ma nun se po’ guardà.

Nei miei pensieri una tromba d’aria in perenne movimento circolare.

E’ tutto inventato. No è vero e questo è pericolosissimo. La voglio. Non mi vuole. Non la voglio. Mi vuole? Ha letto il mio blog?

Non lo so. Non ne ho idea.

Domani vado ad uncontrre una vecchia amica, come detto. I** è stata la mia collega per tre anni al corso di logopedia, mi ha fatto studiare e lavorare venendo a casa mia la mattina presto per svegliarmi. Sono andata con lei a Bethesda e abbiamo vissuto insieme per sei mesi. Il mio primo volo l’ho fatto con lei. Un’amica per un tempo importante e particolare della mia vita. Non ci vediamo da quasi vent’anni. Vuole farmi vedere i suoi figli.

Certo che ho un gran culo, sempre trovato amici/he disposte a trascinarmi per farmi fare cose che mai e poi mai avrei fatto senza un raggio traente.

Buonanotte.

Chiusura per ferie

Soundtrack: Gotan Project Diferente

– Bocca chiusa, parola di scout –

Ma mi aspettavo un po’ di saluti e un po’ di persone che mi parlassero delle proprie mete.

Manc’ p’ ‘o cazz’.

Ops, ho detto cazzo.

Esto blog chiude per ferie da martedì, mi anticipo che ho troppe cose da organizzar.

Ammesso che io riesca a trovare un internet point laddove andrò, non so se lo farò, vorrei disintossicarmi per un po’.

Allora: amici e nemici, donne e ommini, adulti e bambini, lettori e dislessici, psicolabili e psicosolidi, fraintesi e contesi, amati e amanti, soli e accompagnati, vi lascio in balia di voi stessi, orbi del faro di Penelope che, da dicembre, illumina il Vostro cammino.

Potrei fondare una setta. Metto la Penelope gatta a fare l’oracolo. Le interpretazioni le do io, intrattengo rapporti sessual-manipolatori con tutte le pischelle vestite con tuniche bianche e mi faccio dare i soldi dai manager depressi in cambio di perle di saggezza di rara fattura (infatti, sono esentasse).

Finalmente una idea sensata e progettuale, direi. Un futuro cellò…

Come potete notare, sono in delirio, non posso spiegare il terrore dell’aereo che ho. E ne prendo due in un giorno all’andata e due in un giorno al ritorno. E da sola. E sperando che nessuno mi secci (=getti il malocchio sulla mia persona N.d.T.), non mi porto il computer e scriverò con la pennuccia e il quadernetto da viaggio ininterrottamente dal decollo all’atterraggio.

Santa pazienza.

Ci vediamo dopo ferragosto, gentagè, in forma e abbronzati, rilassati e felici, carichi di ottimismo incrollabile e pronti ad affrontare ogni in(v)(f)ernale avversità.

Nel frattempo chi resta è pregato di darne testimonianza su codesto blog, mi farebbe troppo male non trovare ningun intervento al mio ritorno. Non fate le bestie che siete.

Io vado in Grecia, l’ho detto? non mi pare. Al ritorno racconterò, se ci sarà da raccontare. Per le foto non se ne parla dato che sono l’ultima italiana rimasta a fare fotografie con una Petri dotata di due obiettivi (grandangolo e tele). Rimedierò con il cell che, però fa foto di merda.

Allora io andrei, mi mancherete, la rota sarà atroce ma, immagino, dopo qualche giorno sarà come se non avessi mai avuto un blog.

Baci e abbracci e sventolio del fazzolettino.

 

 

merda

La soundtrack non la posso mettere che sto al lavoro.

Merda e merda.

Sono due gioni che ho pessime notizie che riguardano amiche cui tengo oltremodo e oltremisura.

Eccheccazzo.

Impotenza.

Guardare e non poter fare, sollevare, placare, guarire.

Nessun superpotere da utilizzare.

Gnente. Guardare e basta.

Esserci. Al meglio di me.

Altro non c’è.

 

 

L’avevo detto

che mettevo un post con la password…

:mrgreen:

Per intanto vi racconto che stasera, per oltre un’ora, la R** e la Sonica si sono incaponite su un delirio internettiano riguardante un video che si chiama “2 girls 1 cup”.

Un video che pare comporti, in chi lo guarda, immediate reazioni di vomito e ribrezzo assoluto. Youtube è pieno di video di reactions al video base. Non so di che parla, non sono riuscita a trovare spoilers…

Io, non lo voglio vedere, R** non lo vuole vedere ma vuole filmare chi lo guarda, Sonica lo vuol vedere.

Se qualcuno ne sa qualcosa, me lo racconti pliz.

Aggiunta del pomeriggio (che, miracolo, ho un ciccio piccolo assente).

Stamattina un tipo ha cercato di farmi la truffa dello specchietto (quella che tu passi, ti danno una botta sulla macchina e poi sfracantano le palle che gli hai rotto lo specchietto retrovisore e vogliono soldi subito).

Ero sola su una strada interna di campagna che mi porta qui al lavoro. Sapevo di cosa si trattava, non sapevo come uscirne. Ma me la sono cavata con 10 euro.

Sono un fenomeno a fare la parte della piccola fiammiferaia, devo dire, e sono stata convincente. Ma nell’agitazione non ho preso targa né fatto cose che sarebbe utile fare in tal momento. Sono una vera banana.

Comunque, cosa davvero esilarante se non fosse agghiacciante sotto altri aspetti, è stata la richiesta di pagamento in natura: “Signora, se non ha soldi allora potrebbe pure fare un’altra cosa”. Mi dice il calabro truffaldino.

Mi ha fatto una pena esagerata. E comunque, con l’aria indignata e risentita sono riuscita ad andarmene dall’incatastamento. Peraltro tremava, il sempre calabro millantatore.

Mi sono preoccupata un po’, fintanto che non riuscivo a sganciarmi e, dentro dentro, pensavo a quante chiacchiere faccio del tipo “spacco qua, spacco là, se capita a me gli faccio un culo così, questo, quello e quell’altro”.

Chiacchiere e distintivo.

La verità è che reagisco come una BANANA.

Ohh, c’è da registrare che, evidentemente, un mio pompino varrebbe almeno 50 euro.

Ci penserò.

 

Who’s that Clamidosauro?

clamide.jpg
ORDINE : Sauri
FAMIGLIA : Agaminae
SOTTOFAMIGLIA : Agamidae

Il suo nome, deriva dal collare di 30 cm di diametro chiamato “clamide” che usa per apparire più minaccioso di fronte ai nemici. Il clamide ha un colore molto acceso, specialmente nei maschi, giallo arancio, rosso e marrone, Contiene molti vasi sanguigni e serve all’animale per immagazzinare calore, come un pannello solare.
Ma le sue tecniche di difesa non finiscono qui.
Dopo aver spalancato la bocca e dispiegato il suo collare, nel caso sia necessario, il clamidosauro passa all’attacco.
Si alza sulle zampe posteriori ed emette dei sibili di intimidazione, colpisce l’avversario con le zampe e lo morde battendo freneticamente la lunga coda.
Nonostante l’aspetto minaccioso il Clamidosauro è un animale estremamente indifeso, infatti quando la sua tecnica di intimidazione non funziona fugge velocemente davanti ad un pericolo.
L’habitat dei Clamidosauri è prettamente arboricolo, la sua conformazione fisica affusolata e le lunghe zampe posteriori gli permettono di spiccare salti e di muoversi da un ramo all’altro con grande agilità.

Il corpo dell’animale ha un colore grigiastro che varia dal verde oliva al marrone scuro al nero.
Il clamidosauro è lungo dai 60 ai 90 cm di cui però più della metà è costituito dalla coda e pesa intorno ai 500 grammi.
Generalmente i maschi sono più grandi delle femmine ed hanno la testa ed il clamide più ampi. La caratteristica distintiva principale sono i pori femorali dei maschi posti sotto la base della coda.

I Clamidosauri sono animali diurni, attivi prevalentemente nelle ore più calde della giornata e al contrario di tanti altri sauri non perdono la coda come difesa, se viene mozzata difficilmente ricresce.

Vive nella zona tropicale dell’Australia settentrionale. Nel suo territorio tollera solo la compagnia delle femmine o dei piccoli. Questo rettile è goloso soprattutto di insetti ed è in grado di sorprenderli in volo. Ma si alimenta anche di altre lucertole più piccole che afferra mentre si arrampicano.

Il clamidosauro si riproduce con uova, di solito una ventina, che la femmina depone in una buca nel terreno dove si schiuderanno 2 mesi più tardi.

Come la maggior parte dei rettili non suscita la simpatia dell’uomo e, non avendo protezione, questa specie rischia l’estinzione.

Ma tanti auguri

babba-natale.jpg

Soundtrack: Jingle Bells 

Non ci si può esimere. Oddio, si potrebbe benissimo, ma non riesco a farne a meno.

Quindi buone feste a tutti (notare il mio politically correct generico).

Auguri a chi si sta ricostruendo il quotidiano, a chi ha paura e a chi si nasconde, a chi è in guerra con la vita.

Auguri a chi avanza col machete, a chi pensa che rialzarsi sia l’unica cosa da fare, a chi si rifiuta.

Auguri a chi è in amore sdilinquito, a chi non riesce a non amare, a chi fa finta di essere innamorato.

Auguri alle anime vecchie, a chi non si riconosce allo specchio, a chi proprio non riesce a diventare grande.

Auguri alle famiglie un po’ disastrate, a quelle devastate e soprattutto a quelle sane.

Auguri alle donne di sostanza, alle seduttrici compulsive e alle donne in formazione.

Auguri a me, che me lo merito.

Auguri ai miei amici delicati, auguri alle mie donne, auguri alla mia famiglia sfilacciata.

Per tutti: buona fortuna, che sia possibile sopravvivere alle cene di Natale nel migliore dei modi possibili.

Gradirei leggere qui sotto i vostri, di auguri.

V**

ninja.jpgSoundtrack: Cardigans – Lovefool

V* è una amica.

Lei sostiene che è mia abitudine far diventare personaggi le mie ex. Che mi piace così.

Non so, ci penserò, quando V** dice una cosa personale è bene rifletterci su.

V** ha uno strano carattere: c’è, ma sempre con la giusta distanza. E’ la sua peculiarità. Siamo state insieme per qualche mese divertendoci esageratamente. E’ l’unica persona al mondo che mi ha fatto andare in discoteca con addosso una maglia di vinile (VINILE?) e facendomi sentire perfettamente a mio agio.

Uscivamo tutte le sere e qualche volta mi ha riportato direttamente al lavoro. Orario apertura negozio. Mi addormentavo dietro al bancone a ora di pranzo longa longa sulla moquette. E non avevo 20 anni…

Insomma V** è persona speciale, con carattere speciale e nessuna definizione da attaccarle addosso.

Esistono frasi stereotipate che si usano in specifiche occasioni che io trovo orribili e inutili. Una di queste è “ha combattuto la sua battaglia e ha vinto”. Per carità, la questione proprio non è questa.

V** ha cercato di non scoprire di non stare bene, poi lo ha scoperto e poi lo ha accettato.

Da sola.

Ha imparato a proteggere se stessa e anche gli altri dal dolore (fisico e mentale).

Ha attraversato le cose facendosi aiutare – cosa nuova e dolorosa per lei -, non è entrata in nessun ruolo precostituito (la malata, la sofferente, l’incazzata, la depressa) e si è presa tutto quello che è successo senza filtro. Compresa la dottoressa che la curava.

Adesso sta bene. Non poteva essere altrimenti. E ha cambiato espressione.

Non si è indurita, come sarebbe facile pensare, non si è inacidita, non si è messa sullo scannetiello a esprimere la forza della sua esperienza. No.

Ha una espressione di bimba ora. Un’espressione che non le avevo mai visto. Una bimba curiosa, leggermente spaventata, aperta, incantata. Uno sguardo dolce sulle cose e le persone che so bene esisteva anche prima, ma non così pubblico e accessibile. La giusta distanza esiste ancora, con l’affettuosità di fondo che le appartiene e gli schermi sono spariti. Tutti.

Adesso ha un gran numero di fidanzate virtuali, dice che va meglio per telefono che di persona con le donne, ha meno attenzione ossessiva per l’estetica e mi fa ridere come sempre.

Certo, continua a fare promesse che non mantiene, come quella di venire a trovarmi, ma è marinaia dentro (una donna in ogni porto, racconti favolosi, partenze continue e improvvise…).

Meno male che ci sei.

La favolosità degli amici

fenice1.jpgSuccede che scrivo qualcosa che lascia trasparire concetti e immagini che non sono veri.

Succede che mi ritrovo un amico che mi chiama e mi onora della possibilità di non essere mandata affanculo senza una spiegazione prima.

Succede che mi accorgo, ancora una volta, che tutta questa storia mi ha portato, meravigliosamente e fortemente, nel favoloso mondo dei miei amici.

Perché cazzo, quanti ne ho. E quanto mi concedono. E quanto mi perdonano.

Se fossi in grado di misurare me stessa con il metro che applicano i miei amici con me, avrei grossi problemi di sovrastima e sicurezza eccessiva e pienezza rospesca. Meglio che io ne sia incapace per ora, sarei una pericolosa lesbica vagante.

Dunque, il mio amico M** si è giustamente risentito per una frase che riguardava lui e la sua partecipazione a tutta questa storia. La frase non la troverete più, l’ho cambiata perchè aveva ragione.

Così come erano scritte, le cose, non rendevano merito  a lui, al suo carattere e a quello che ha cercato, faticosamente di fare.

Ha ritenuto di non dover esprimere le sue posizioni per non prestarsi a giochi inutili che lui vedeva benissimo (lo chiamai la prima volta per attaccargli la pippa su come fosse stronza l’amica sua e di quanto avessi ragione io) e per consentirmi anche di risolvere questioni pratiche che altrimenti mi avrebbero obbligato ad un contatto diretto con la senzapalle.

Mi ha chiamato tutti i giorni (malgrado la sua nota oculatezza), ha cercato di smorzare e ridimensionare l’insmorzabile e l’inridimensionabile. Mi ha sostenuto con i suoi modi e i suoi principii.

L’ho conosciuto come uno dei più cari amici della senzapalle, abbiamo creato un rapporto insieme, ma ho sempre ritenuto che, partendo suo amico, non avrei avuto né voluto priorità. Nei momenti di lucidità ho anche pensato che non fosse giusto chiamare lui, l’ho fatto lo stesso e forse con sentimenti non proprio limpidi, ma lui mi ha ascoltato.

La metà basta.

Lui (che sarebbe Massimo,), Marco, Francesco, la Raffa, Betty, Chiara, Imma, Loredana, Loredana e Mario, Francesca e Marco, Margherita e Luigi,  Simona e Gianluca,  i miei cugini, mia nipote, mia sorella, persino mio cognato, tutti i colleghi del centro dove lavoravo prima e quelli del posto dove lavoro ora – certo che questo elenco pare la parte finale di un necrologio – mi hanno dato quantità di affetto e sostegno che non ci sono quelle parole per dirlo. Si sono sottoposti alla tortura dell’ascolto, all’impegno della telefonata quotidiana, al trasloco a mano, alla nutrizione semiforzata, al supporto economico; hanno elargito coccole e aiuti pratici, hanno fatto regali e speso parole.

Ma si può far meglio di così? Non credo proprio. Ho ancora qualche difficoltà a credere di meritarlo, noi piccole half/jewish tendiamo alla autosvalutazione. Ma è successo esattamente a me, e non a 17 anni, a 44.

Cazzo, ma che meraviglia…

 

P.S. M***, ho strisciato abbastanza? 🙂