Category Biancaneve
la mia donna
Protetto: Shuinsen
Protetto: Non te ne accorgi
Protetto: E forse ha ragione
Protetto: Ancora
Protetto: Il rinculo
Protetto: Sherazade
Protetto: Lei, chi altri?
La solitudine di Biancaneve
La musica ancora no, non mi va.
Tempo 45″ e già dormi.
Profondamente.
Sei sfinita.
Da giorni.
Prima di addormentarti mi hai chiesto se ho cenato.
La cosa mi fa ridere. E non hai sentito la risposta.
isoldiibimbigliexmaritiillavorolemadrilesorelleipadrileamicheigiriinmacchinalacasaladonna. Il tempo che non c’è.
Parole e fatti che si attorcigliano a volte intorno al collo.
Soffochi.
La tua donna che non capisce le domande.
Sarà colpa tua? sarai tu che ti devi abituare ad avere a fianco una persona tarda di chiamata?
Non perdi il vizio del gioco a perdere.
Invece di incazzarti con me.
Il tuo sguardo scintilla come il filo di una katana appena uscita dalle mani del fabbro giapponese.
Pur di non incazzarti, Biancaneve, cosa faresti.
Pur di non incazzarti, Biancaneve, che cosa fai.
Che tanto non ci riesci a prenderti pure quello che non ti appartiene e la tua anima si dibatte e vomita fuori shuriken velocissimi e affilati.
Sei incazzata con me?
No. E mi fischia il primo shuriken vicino all’orecchio destro.
Ho la sensazione che tu sia incazzata con me.
No. E partono dischi volanti appuntiti lanciati a due mani.
Santa pazienza.
Ti ho detto che ho qualche difficoltà a cambiare continuamente i miei punti di equilibrio. Non sono tanto flessibile e mobile. A volte penso che ci vorrebbero le capacità dell’eletto di Matrix.
Ma semplicemente sono stata stupida e leggera a non capire. Questo è quanto. Basta darmi apertamente della stronza, senza farmi passare una giornata a schivare colpi e parlar di nulla.
Penso che potremmo vederci domani e che, ogni volta, bisogna riprender qualche filo daccapo e ritrovarci.
Mi piacerebbe sollevarti, lo dico spesso. Ma poi c’è poco che io possa fare.
Il tuo mondo è cambiato perché lo hai fatto cambiare tu e solo tu lo puoi sistemare come vuoi che vada.
Sei sola e questo, per ora, non può cambiare.
Se poi ti andasse di considerare che, comunque, da qualche parte, c’è una tipa che ti ama e ti cammina al fianco qualche metro più in là, guardando il tuo passo lungo e cadenzato con fierezza da demente, tienimi presente.
Post.it
Devo dire, e mi preme dirlo, che non riesco più a trasferire quello che vivo e penso su questo blog.
Vero anche che la mia vita è governata dalle emozioni e dai momenti che vivo con Biancaneve e che, di fatto, il resto mi sembra fluido e sempre risolvibile.
Al momento, e sottolineo al momento, mi sento forte abbastanza, lucida abbastanza, analitica abbastanza, coraggiosa abbastanza e strafottente abbastanza da affrontare la qualunque delle cose che capitano.
Avrei potuto, in questi giorni, scrivere post politici, religiosi e lavorativi in quantità, ma non mi va, non mi viene, non mi stanno nelle dita.
In compenso ho in mente una unica scena: Biancaneve che rovescia sulla cassettiera la foto del suo matrimonio. Le ho detto che ha fatto come lo psiconano con le foto della Lario sul comodino. Ma in verità mi sono emozionata come una bimba nuova.
Dormire con lei a casa sua, per tutto il resto c’è sticazzicard.
Detto questo, mi scuso per la scarsezza di post e di parole scritte. Non chiudo Penelopebasta perché non si sa mai, potrei sempre voler ricominciare. E non lo chiudo anche perché Penelopebasta racconta due anni di vita di una persona qualunque in ogni genere di sfumature e nella sua vitale e ovvia progressione.
Magari a qualcuno serve.
Baci e buona pasqua.
Il ritorno di Woody
Soundtrack: Gabin – Lost and found
Si grattava il Becco, Woody. Poi il ciuffo al centro della testa. Poi di nuovo il becco.
Seduto su un sasso grigio fatto di das.
“Come cazzo si fa a stabilire quale è la voce del cuore e quale quella della testa?”
Era la domanda che prudeva.
Avessero una voce diversa, diverse tonalità, magari proprio parlassero due lingue diverse, venissero da due punti diversi nello spazio, sarebbe facile, le orecchie sarebbero in grado di stabilire la fonte.
“Ma a me sembrano la stessa voce”, si diceva senza smettere di grattarsi.
Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Questo gli succede. Questo succede ad un uccello blu che poco altro sa fare che battere con il becco sui tronchi d’albero.
Aveva parecchie altre domande da farsi e, mentre cercava di fare ordine nei suoi pensieri anarchicamente disposti dietro al ciuffo blu, si accorse di essere sotto una coperta.
Come il sogno che aveva fatto la notte prima.
Nel sogno parlava a gente su un palcoscenico e altre cose di quelle tipicamente assurde e senza senso che succedono nei sogni, sempre e comunque da sotto una coperta di lana pesante e scura.
Woody credeva di poter sostenere qualsiasi cosa, di poter lubrificare ogni attrito, reggere ogni peso, ragionare su ogni sentimento, incassare ogni piccola sofferenza. Non si accorgeva mai che, da qualche parte, i liquidi cominciavano a ribollire, i fumi a crescere, le fiamme a scottare.
“E all’improvviso è troppo tardi” – si disse “troppo tardi per parlarne, troppo tardi per dirlo”.
“Dire cosa?”. Le domande ormai circolavano liberamente sotto la coperta come moschini in una sera estiva calda di scirocco.
“Dire che fa male”. Woody in fondo è solo un uccello eccentrico ed irreale, fa quello che sa fare e risponde al dolore come qualsiasi altro animale: attaccando e cercando di ferire.
“Forse Woody è cattivo”. Cattivo. Qualcuno aveva detto questa parola per la prima volta parlando di lui. “Sei cattivo”. Se la rigirava in testa questa parola. Con quell’aura un po’ infantile che si porta dentro, con quel senso così forte, preciso e definitivo. Senza appello. Senza possibilità di farlo dissolvere in una qualche sfumatura dialettica alternativa. Senza giustificazioni. Non si era mai sentito “cattivo”, non aveva mai subito l’onta di tale aggettivo in vita sua. Mai.
Si chiese che faccia aveva la sua cattiveria. Che forma e che colore. Ripescò ricordi e memorie di vendette più o meno sottili, più o meno velate, più o meno gratuite, più o meno necessarie.
Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Troppo neutra e matematica questa.
Occhio per occhio, dente per dente.
Sì, forse Woody ha questo comandamento scritto da qualche parte nell’anima. E la sua cattiveria ha la forma di un cane di quelli piccoletti, con le zampine miserabili legnetti pelosi e le orecchie dritte con le punte in avanti. Un cagnetto isterico e nevrastenico che lascia scattare la mandibola ogni volta che gli girano le palle. E sembra avere sempre buoni motivi per farsi girare le palle. Soprattutto quando qualcuno si spinge ad accarezzarlo.
Un’altra domanda che circolava sotto la coperta era: “Perché non riesci mai a fare altro che questo?”.
Woody sudava sotto la coperta. In altri momenti gli era sembrato tollerabile, in questo momento gli sembrava di impazzire. Ma non poteva tirarla via. Doveva aspettare qualcuno che lo facesse per lui. Era una questione di buona educazione. No, era una questione di sentimenti. Evidentemente qualcuno aveva bisogno che lui restasse lì sotto. E lui non voleva far del male, a questo qualcuno, tirandosi via la coperta da solo.
Quindi ha trovato un altro modo di far del male.
“Complimenti?”
Chiesero le domande in coro.
“In genere questa è una affermazione”, disse Woody, “mica si chiede il permesso per fare i complimenti”.
“Noi siamo delle domande, sappiamo fare solo delle domande?” domandarono le domande volanti.
“E’ una conversazione assurda”. Mormorò Woody grattandosi il collo.
“ma tu sei una tale testa di cazzo che non potevamo farne a meno?”.
No, non sono una testa di cazzo. E’ vero, non so fare altro che colpire, non so fare altro che incazzarmi perché non sono capace di dire quello che sento mentre lo sento, e non lo so fare quando riguarda me, le mie intolleranze, i miei limiti, i miei punti deboli. E lo so che sarebbe bastato dire che ci ho messo 30 anni per imparare a volare e stare sotto una coperta, adesso, mi mette parecchio a disagio, so che qualcuno mi avrebbe risposto di avere un altro po’ di pazienza e fiducia. E io l’avrei avuta se fossi riuscito a dirlo. Se fossi riuscito a spiegare che io sono questo: un uccello blu che frantuma il legno a beccate e se mi tollerate bene, altrimenti andatevene affanculo. E mi è costato. A volte costa ancora. Potevo dirlo mentre lo sentivo, con calma e sincerità.
Ma mi pareva ci fossero cose più importanti da fare, da risolvere, da sistemare, da vedere, da concludere, Credevo di poter aspettare. Credevo non mi avrebbe fatto male. Credevo che dirlo avrebbe svegliato la bestia e acceso uno di quegli incendi che per domarli ci vuole il canadair. Ed ho avuto paura che, magari, alla fine, mi sarei bruciato ‘ste cazze di piume blu.
“Non è questo il punto? e questa è una affermazione?” le domande domandarono, con l’aria di prenderlo pure per il culo.
No, non è questo il punto.
Sono un cartone animato con la tendenza alla drammatizzazione. Che si incarta mani e piedi appena le emozioni superano la soglia di sicurezza.
E per quanto la soglia di sicurezza io l’abbia ampiamente e gioiosamente superata, Biancaneve, non ho ancora capito se dentro di me c’è altro che questo, altro che cattiveria, altro che mascelle da serrare, altro che silenzio fino all’urlo, altro che una bestia che si sveglia.
Io sto qua.
Sant Valentin
Soundtrack: proprio niente.
A me San Valentino mi fa strano.
Non lo so perché.
Credo di non averlo mai festeggiato.
Non mi ricordo.
Non mi pare.
Ma ho pranzato ieri con Biancaneve. Con la candelina rossa accesa sul tavolo della cucina. Addirittura.
Non mi piace fare una cosa codificata.
Ma non mi piace neanche sapere quello che so.
Evabbè, c’amma fà? gelosia retroattiva panica.
E pure panico nello specifico.
Ma questa è complicata da spiegar.
Intanto oggi non mi va di fare un cazzo.
Per quanto vorrei vedererla.
Son in pijiamino a cazzeggiar su fb.
Che post oscuro e dissennato.
No no, adesso mi attivo. Voglio vederla. E le porto pure un regalo.
A modo mio.
La mia donna
Soundtrack: Ludovico Einaudi – Lady Labirinth
Io ho lottato molto per non lasciarmi andare.
Ho lottato molto per non finire lessa come un pollo.
Ho lottato per resistere alla voglia di comunicare, costantemente, al mondo, quello che vivo.
Ho lottato perché non mi riempisse la vita.
Ho lottato perché non diventasse la gioia più grande e l’emozione più forte.
Ho decisamente perso.
Ho resistito alla voglia di vivere solo di questo.
Ho ceduto come un foglio di carta bagnato.
Sono scappata cento volte dai suoi abbracci.
Sono ritornata almeno una volta di più.
Mi sono detta che era necessario essere più dignitosa e realistica.
Non mi sono ascoltata.
Mi sono vergognata dei miei livelli da bacio perugina e mi sono vergognata delle parole melense e adolescenziali che mi scorrono nella gola e nelle dita.
Le ho dette e scritte arrossendo.
Mi sono sforzata di mantenere il mio personaggio, di restare cinica e disincantata, sarcastica e incazzata.
Vano, sforzo vano e senza risultato.
Ho cercato di restare presente nel mio mondo.
Non ci sono più.
Mi sono rifiutata di restare in attesa dei momenti da infilare in una qualche ora del giorno.
Per poco, per pochissimo tempo.
Ho ascoltato annuendo le voci degli amici dirmi che no, non è così che si fa, e che, per carità, stai diventando una donnetta sdilinquita senza personalità.
Ho smesso di ascoltare.
Io so di essere completamente assorbita, concentrata, tesa, direzionata, rincoglionita, incatenata, accecata da Biancaneve e dal suo passo lungo e morbido, dall’odore del suo ammorbidente, dal colore del suo rossetto e dalla sua voce di seduttiva manipolatrice di vecchie lesbiche rincitrullite.
Sono fiera di camminarle accanto, di ascoltare quello che sogna, di sentirmela addosso e di perdermi per trovarla.
E, in questo momento, è la vita più bella del mondo.
Arrossisco, gongolo, sorrido e posto.
Le trappole
Soundtrack: Jazzamor – Nuit Magique
Le trappole di facebook: non scrivo più, non comunico più, non mi informo più, non mi stacco più. Con la testa infilata tra una Farmville e un Cafè World, con puntate agli Happy Pets, non ho più scambi umani e non mi interessa nemmeno. Mi ritrovo a pensare a cosa piantare e a come staranno i 18 gatti che mantengo virtualmente. E Penelope rimane con la ciotola dell’acqua vuota. Non mi piace più. Se esco da questo gorgo, mollo tutto.
Le trappole di Napoli: Giri l’angolo del Maschio Angioino e mi ferisce gli occhi e il petto la luce di quel colore, di quella consistenza, di quell’odore. Capisco, improvvisamente, le Ladies in Gran Tour. Non che io ne sia all’altezza, ma non mi stancherò mai di ripetere che vista da fuori, questa città, è davvero una delle più belle del mondo. E poi il pater tutto sommato dolce, l’annuale albero di Natale con il Fab2, il suo presepe, le passeggiate, gli acquisti economici e risolutivi, la mazzamma (=termine specifico per indicare la torma di umanità di dubbia educazione che invade le strade dello shopping durante i periodi festivi, N.d.T.), il freddo mai mortale, gli amici che non si riescono a vedere, quelli che si incontrano inaspettatamente, il viaggio di ritorno con la pioggia e il carico dei doni rimediati qui e là.
Le trappole del corpo: questo week end dovevo essere di nuovo a Napoli. Con Biancaneve. Mi sono ammalata. Uno straccio. Mi sarei presa a schiaffi da sola. Non è dato sapere quando avremo un’altra possibilità per passare la notte insieme. E io mi ammalo. Freud ormai si è consumato a furia di rivoltarsi nella tomba. E io le impedisco di restare da me, perché se si ammala lei sono cazzi. E lei mi dice “se fossimo una coppia dormiremmo insieme” e io le dico “se fossimo una coppia sarei lì a portarti il brodo di pollo a letto se ti ammalassi tu”. Ma io sono qui e lei è là. Il brodo di pollo e i bicchieri d’acqua fresca, via sms, non si possono inviare. Ma era il nostro week end, e io l’ho svampato.
Le trappole della mente: “tu sei talmente preoccupata di prenderti cura di me, che non permetti a me di prendermi cura di te.” Dice Biancaneve. E ha ragione. Mi guardo indietro per vedere se è sempre stato così. E, sì, è sempre stato così. Ho amato donne più giovani di me e ad alto tasso di confusione mentale. Me ne occupavo io. Fino a quando non mi prendeva lo sclero assoluto da mancanza di attenzione. Bel modo di sfangarsi l’impegno di lasciarsi coccolare. In quale nodo dell’anima è incastrata la mia paura nel darmi (perché permettere a qualcuno di occuparsi di te è darsi, non prendere), io non lo so. Deve essere in qualche angolo polveroso tra la paura di perdere e quella di soffrire. La più banale delle cose umane. La più stupida e comune. A volte penso che in questo rapporto non faccio altro che portare panico e terrore, ansia e angosce primordiali. E ben poco altro. Per ora Biancaneve resiste, bisognerà farla santa subito (seeeee).
Quello, quell’è.
Imparare
Soundtrack: gnente, non mi va di cercarla.
Sei all’altro capo dell’auricolare.
“Ho spento la luce”, hai detto.
Hai detto “mi basta il tuo silenzio”.
Ho detto “non lo so se è una cosa buona”.
Hai detto “neanche io lo so”.
Cercare di spiegare, cercare di spiegarsi, cercare di ascoltare, cercare di ascoltarsi.
Sì, è vero, c’è una cosa che non dico.
Mi manca il coraggio, probabilmente me ne vergogno anche un po’.
Quel tanto che basta per tapparmi la bocca.
Lo sai che potrei venire a vivere con te domani mattina?
Con tutto quello che significa.
Ma non è ragionevole.
Lo sai che sto talmente bene con te che ho il terrore che tu non stia altrettanto bene con me?
E non è neanche così semplice da spiegare.
Dici che sono furastica.
Sono furastica.
Di questo mi vergogno.
E non è la sola cosa.
Mi fidassi di più di me, non avrei paura dei colpi di vento.
Mi fidassi di più di me, non interpreterei ogni cosa come un segno delle nostre distanze.
Il grande lago di casini e quotidiani impegni e priorità reali nel quale navighi, mi sembra sempre più grande e interessante e tuo di quanto lo possa essere lo spicchio di mare che posso offrirti.
Mi sono abituata a starti dietro, a osservarti la schiena, a coprirti le spalle e aspettare.
Non sapevo neanche di essere capace di aspettare e lasciare che fossi tu a guidare.
Oggi mi hai detto molte cose al telefono, una di queste me l’hai riportata detta da qualcun altro.
Come spiegarti quanto conta per me?
Come far capire fino a dove mi penetra?
Rinuncio.
Poi scatto come una tagliola invece di condividere.
Avevi detto che non avevi sonno.
Dormi già.
Il ritmo del tuo respiro, per quanto distante, mi riscalda.
Avercelo vicino.
Tenerlo tra le mani.
Per la prima volta in decenni mi ritrovo da sola a pensare e riflettere, senza poter scambiare e parlare con le persone alle quali tengo.
Il Fab è in Francia, il docfab non mi risponde, la R* è arrabbiata e perduta, Alice è lontana, M* è morbida come la gomma pane ed io non sono abituata.
Incredibile, la prima relazione non collettiva in una trentina d’anni.
Anche Penelope dorme, con la testa sul mio piede. Almeno lei è qui.
Sapessi quanto mi manchi, Biancaneve, anche ora che sei attaccata al mio orecchio.
Anche ora che ti ho mandato affanculo da una mezzoretta.
Anche ora che non capisco bene quello che vuoi dirmi perché ho i condotti uditivi inquinati. Ci si è arenata una petroliera dentro. E non da oggi.
Ti risvegli e non vuoi dirmi cosa ti succede.
Il mio stomaco protesta, niente cena, stasera.
Urge sigaretta.
Hanno tentato di farmi una truffa in questi giorni. Uno strano meccanismo basato sull’altrui ignoranza e sull’altrui presunzione di meritare qualcosa. Hanno trovato me, che non credo di meritare qualcosa. E poi capisco l’inglese, ‘sto truffatore era un coglione che scriveva malissimo.
Forse sono riuscita a vendere la moto. Quattro soldi e molto dolore. Per quanto strano sia, a quella moto tengo molto. Significa molto. Mi ha accompagnato molto. Mi rappresenta molto. Ma non sarebbe ragionevole tenerla.
Non trovo coinquilina nuova. Mi angoscia sottilmente lo stringere dei tempi.
A fare caso sugli annunci, gli uomini sono sempre disposti a spendere di più, per il fitto, delle donne. perché?
Al lavoro stanno saltando gli equilibri e non capisco perché. Forse la stanchezza. Ma il presepe è molto bello. Il più bello, credo.
Stai dormendo, ormai. Non ho il coraggio di chiudere la “conversazione”. Non ho il coraggio di chiudere il canale. Voglio sapere cosa hai dentro perchè penso che riguardi me.
Certe volte ho paura che tu sia troppo etero, Biancaneve.
E fa male.
Non ho l’età
Soundtrack: Israel Kamakawiwo’ole – Somewhere Over The Rainbow/What A Wonderful World
Ho dormito due ore e 45 minuti, stanotte.
Ballato la salsa, che mi vergogno a dirlo. Odio la salsa e odio i balli di gruppo. No, ad essere precisi, mi vergogno. Come una foca tetraparetica.
Non ho più la tempra per reggere.
Non mi regge.
Non riesco poi a lavorare e mi trasformo, invariabilmente, in una bambina capricciosa di età variabile tra i 5 anni e i 7 (appena compiuti).
Ne fa le spese Biancaneve.
E non dovrebbe essere così.
Se voi poteste vedere, la fierezza negli occhi che ha e la sua fatica orgogliosa e serena.
Se tutti riuscissero a vedere la libertà che ha dentro e nelle mani, che ha nelle parole e nei fatti, negli affetti e nelle carezze.
Se io non chiudessi gli occhi (e non solo quando mi cala la palpebra) di tanto in tanto, vedrei quell’espressione da impunita che rivolge a me, e la scritta in sovraimpressione che dice “embé, ho scelto te, il resto non conta”.
E smetterei di metter su quei siparietti di drammatizzazione che, evidentemente, mi piacciono tanto.
Se qualcuno vedesse gli sguardi, l’energia, il calore, la potenza.
Sono una nana, una nana dentro e fuori.
Non ce la faccio, a volte (miii, che autoindulgenza), a contenere tutto quello che mi arriva da lei.
Istinti primari, i miei. Sento dolore: mordo.
E non è lei che mi procura dolore. Ma i denti scattano e si chiudono sulla sua mano.
Mi procurano dolore una gran quantità di cose che, di fatto, non le appartengono.
Gli stereotipi, mi fanno male.
La donna che sceglie diventa una zoccola isterica e torturatrice, l’uomo che non sceglie un tenero senzapalle castrato che cerca di far ragionare la virago, porello, ma nulla può contro la potenza della lussuria femminile.
Il matrimonio che da libera scelta d’affetto e ottimismo e fiducia, diventa un contratto pieno di postille, un luogo non virtuale dove rovesciare il peggio di sé e soprattutto, una buona scusa per sparare giudizi inutili e pesanti.
Sempre sulla donna, ovviamente.
In questo paese non c’è il burqa, non è necessario. Siamo oltre. Qualsiasi donna sia in grado di affermare scelte e personalità, quali che siano, è una fottutissima zoccola posseduta dal demonio e cattiva dentro.
Nel 2009.
Oggi ascoltavo lo psicologo del mio centro, quello fattone (che poi non è vero, ma sembra un fattone preciso preciso) e impazzivo di rabbia.
E dolore.
Si parlava di uomini senzapalle.
Strana caratteristica tipicamente maschile, questa delle palle retrattili.
Vengono fuori pure all’ultimo dei coglioni quando si tratta di minacciare, prevaricare ed esercitare potere su chi non può o vuole reagire.
Poi “sciuap”, si nascondono e diventano introvabili di fronte a fatti da risolvere, persone che hanno cose da dire e da rispondere, situazioni complesse, critiche, richieste di cambiamento.
Il mio capo è un senza palle, poverino.
Poverino un cazzo. E’ un coglione strafottente e presuntuoso. I testicoli non c’entrano una mazza.
Il marito della signora con l’amante (e quindi zoccola) e isterica (perché si vuole separare) è un senza palle. Lui ci prova a parlare con la moglie, ma lei è una stronza che non vuole parlare. E lui è ancora lì, a casa con una che lo schifa. Non schioda.
A me non fa tenerezza, fa rabbia. E le palle non sono in discussione. E’ in discussione la capacità di riprendere in mano la propria vita, quella di affrontare un dolore, il rispetto per le scelte di una donna, la considerazione per le emozioni, di una donna, l’onestà intellettuale di accettare la chiusura di un “progetto” senza dover per forza dare la colpa a qualcuno. E, porca puttana, se lei non ha più niente da dirgli, che cazzo deve “parlare”, ancora?
Allora anche io sono stata una senza palle. Lo sono stata quando ho spaccato i coglioni a chiunque sulla colpevolezza e sulla stronzaggine e sulla zoccolaggine della mia “ex” pur di non ammettere che il progetto non aveva funzionato, pur di non dover affrontare il dolore di tornare nella mia vita, una vita che non c’era. Da riscostruire. Con tutta la paura e l’insicurezza che comporta. Non era questione di palle, ma di comodità, vigliaccheria e disonestà.
Di nuovo, mi accorgo che i miei post stanno diventando confusi e inzeppati di cose dette e non dette, mescolate che neanche un minestrone findus.
Ricapitolando, mi hanno rotto il cazzo questi stereotipi che pretendono di governare la vita della gente in generale, e delle donne in particolare. Mi hanno rotto il cazzo i giudizi non richiesti, l’assenza di rispetto per l’altrui sentire, il non ascolto, l’orgoglio a cazzo di cane. Mi hanno rotto il cazzo quelli che, su queste basi, rendono la vita spinosa a Biancaneve. Mi hanno rotto il cazzo ma non posso fare niente. Non sono wonder woman, non ho i superpoteri e non sono la Fenice degli X-men che può controllare altrui pensieri e azioni.
Poi avevo pure dormito troppo poco.
Ma a me Biancaneve non basta mai. Vederla andar via perché deve, mi svampa i neuroni e mi attorciglia l’anima.
Pazienza, ci vuol pazienza.
Con una nana in terza età, isterica e manco zoccola. Come me.
Supermercati e pensieri
Soundtrack: GUARDATEVELO TUTTO CHE NE VALE LA PENA
Entro al supermercato e mi investe il pensiero di te.
Niente affatto inaspettato.
Ma violento.
Il pensiero di quello che penso di dirti e mi muore in gola quando riesco a vederti. Il pensiero dell’attesa di te, del sogno di te, dell’immaginazione di te.
Lunghi discorsi nella mia testa di ricotta di pecora. Litigate feroci a volte. Cariche di energia lanciate per investirti e nutrirti manco fossi Goku Super Sayan.
Poi niente. Niente di quello che la mia testa produce in solipsistico onanismo.
Sì, lo so. Lo so che quando racconti qualcosa ti frena il conoscermi. Sai che mi liscerò le corna e partirò sollevando polvere alla ricerca della prima cosa in forma di fottuto torero per incornarlo e sventrarlo.
Mi sento di parte, priva di obiettività, incapace di pensiero limpido e ascolto le voci che mi arrivano credendo capiscano e sappiano più di me. Capisco ora che non è vero. Non è vero affatto e che è inutile, per me, provare a mediare e raffreddare una testa che brucia e l’adrenalina che sale.
Inutile provare a proprorti una versione di me che io non so essere.
Ti vedo stanca e provata. Dovrei fissare di più la mia attenzione sulla luce degli occhi.
Rossa. Una luce rossa come quella delle pietre che si sciolgono nel calore della bocca aperta di un vulcano.
E mi basta. La verità è che mi basta. Per pensare che ci sei, che stai facendo, che ti stai muovendo come meglio credi di poter fare. E non c’entra una mazza il “saperlo”. E’ il movimento che conta e pesa e definisce.
Realizzo che buona parte della stanchezza non è nel tuo muoverti, ma nello star ferma. Nell’essere costretta ad attese che non senti e stand by che non si accordano con la voglia che hai di scattare in avanti.
Stupida io a lasciarmi inquinare dalle mie paure.
Stupida un migliaio di volte.
Stupida a non porgerti calore e legname sul quale appoggiarti.
Il mio narciso è forte e viziato, presuntuoso e superbo. Quanto il tuo, Biancaneve.
Si dispera del suo nutrirsi di sogni e immaginazione e visioni e potenzialità. E rompe il cazzo a cadenza settimanale.
Non voglio metterlo da parte, è il mio motore e la mia forza. Voglio che impari.
Così metto, nella lista delle cose fatte e da fare, anche questa.
Sta zitta Penelope e, se proprio non riesci a tacere, dille quello che hai dentro tu.
Dammi la mano, Biancaneve, dammi la mano che ti passo quello che ho.
Dammi la voce che te la liscio e lucido e restituisco limpida e morbida.
Soprattutto, baciami.
Videocracy e anche le promesse spose
Iersera Videocracy.
Ulcera.
Paese di merda. Paese piccolo, vecchio, campagnolo, psicotico.
Mi ricorda la salita del nazismo. Senza neanche la stessa grandiosità scenica.
Come allora ai posti di potere solo narcisisti patologici, psicopatici compensati, serial killer in pectore e deliranti minuscoli personaggi senza valore ma con una assurda quantità di potere.
Un potere ridicolo, ma pur sempre potere.
E le donne solo tette e culi.
E troppe ragazze a far le veline, con il sottotesto “sei una donna, quindi sei una zoccola, quindi la puoi dare a tutti”.
Mi si sono corrose le pareti dello stomaco.
Il massimo è stato scoprire che esiste una canzone che dice “meno male che silvio c’è”. Non lo sapevo e, dirò, non mi è venuto da ridere per niente.
Meno male che mia nipote è partita, perché vivere in questo paese è un segno di idiozia.
Eccoci qui, dunque, le donne puttane, i froci di merda, chi lavora è fesso. Fantastico.
Per il resto, mi abbruciano le cervella. Non posso vedere Biancaneve. Ma vi pare normale?
Mi pare “le promesse spose”. Ci manca il rapimento.
Mi girano i coglioni.
A 3000.
Fanculo a tutti.
Biancaneve va alla guerra
Nel 2009.
Si può ancora partire per la guerra.
Una di quelle chirurgiche, una di quelle che non lascia segni visibili e macchie di sangue sulla maiolica della cucina bianca immacolata. Non sia mai qualcuno possa pensare che non c’è pulizia qui.
Niente materia cerebrale sui muri, niente Csi.
Solo il dolore delle orecchie. Le orecchie che devono sentire.
Sentire madri che insultano figlie. Sentire uomini piccoli e acquosi ricattare. Sentire amici che mettono in fila parole affilate dal giudizio “popolare”
Biancaneve non pensava potesse accadere. Non le era passato per la mente.
Pensava che amare bastasse. Pensava che essere felice bastasse.
Che avrebbe messo d’accordo tutti con la forza della sua energia pulita e attenta.
Ma non sta andando così.
Arrivano bombe chimiche da tutte le parti. Da ogni angolo dei suoi luoghi protetti partono proiettili per stenderla e riportarla “dove deve essere”.
Perché una moglie e una madre non può impazzire dalla sera alla mattina. Non può mettere in dubbio lo stato delle cose, le scelte fatte, i codici e i canoni e gli schemi e le aspettative di tutti.
Piuttosto a Prozac.
Meglio una figlia ad antidepressivi che una figlia che sta con una donna.
Meglio una moglie automa a casa che una donna che sceglie un’altra donna.
Biancaneve è stata una brava ragazza, una di quelle che fanno felice la famiglia, madri fiere e maschi orgogliosi.
Ha fatto quello che doveva, ha dato quello che doveva dare. Una brava ragazza che diventa una brava laureata, una brava moglie, una brava madre.
Non si mette caos in quest’ordine perfetto.
Non si doveva permettere.
E la guerra è dura e violenta e conta morti e feriti che non ha fatto lei.
Non posso fare niente, io. Se non ragionare su quanto mi sia costruita, in tutti questi anni e con muscoli e vene, una vita a mia misura. Una vita nella quale non ci sono giudizi e pregiudizi, ben protetta in luoghi denominati “friendly” e con amiche e amici e parenti stretti che sanno stringere senza cercare di uccidermi.
E avevo dimenticato.
E non pensavo fosse possibile.
Ma il mio mondo è piccolo e attiene a poche anime che si portano appresso una lucetta di quelle USB. Un po’ azzurrata e forte che riesce ad illuminare quello che hanno dentro e che hanno davanti.
Il resto del mondo, quello vero, evidentemente no.
Il resto del mondo ha un’altra griglia. Diversa dalla mia. Lontana dalla mia. Incompatibile con la mia.
Ascolto Alice e Da Queen chiacchierare di cose di casa, di mutande e calzini da comprare, di cibo da condividere, di questioni di coppia. Come la maggior parte della gente. Come la maggior parte delle coppie. Come la maggior parte delle persone che si amano.
E’ così difficile da capire?
Ho incontrato una donna, l’ho riconosciuta, me ne sono innamorata. Ho cercato di ignorarla perché non volevo far casino, non volevo casini.
Biancaneve ha incontrato una donna, l’ha riconosciuta, se ne è innamorata. Ha cercato di ignorarla perché non voleva incasinarsi l’esistenza.
Ma è andata così. E anche se io non credo alle cazzate disneyane, ai trionfi ed alle vittorie, abbracciarsi è stato più forte dell’ignorarsi.
E, come detto, so’ cazzi.
Dalla Sardegna con furore.
bah!
Soundtrack
Quando litighi con uno: è stronzo lui.
Quando litughi con due: è una pessima giornata.
Quando litighi con tre: hai un problema.
Certo non è alta filosofia, devo averlo sentito in un serial televisivo pomeridiano, ma mi sembra sensato.
Mi vengono in mente molte cose sulle quali riflettere.
Fermo restando che sull’ultimo episodio si è trattato solo di “giusta reazione”, qualcosa non va lo stesso.
La prima cosa che mi viene in mente, al di là di quello che le persone importanti per me mi dicono, è che questo vivere costante in orrore economico mi sta trasformando in una bestia da sopravvivenza.
E’ il primo item e non casualmente. E’ risolvibile con poco, lo comprendo, vedo possibili soluzioni e mi fa anche cordialmente schifo. E’ come essere un tossico, un alcolista, un giocatore d’azzardo. Hai un pensiero in testa e mantieni lo sguardo fisso e penetrante su occasioni, opportunità, opzioni e soprattutto persone che ti possano tenere la testa fuori dal fango. Appunto: “una bestia da sopravvivenza”. Vedo anche che si è trasformato in un punto dolorante e debole, sul quale è facile colpirmi e farmi male. Un ottimo modo per distogliermi da altro. Non capiterà più.
Mi accorgo di essere monotematica e ossessiva nel comunicare. I temi sono due: Biancaneve e sopravvivenza. Immagino lo sfracantamento di palle. Suppongo anche si possa tollerare, ma solo nel caso in cui, di tanto in tanto, la bocca taccia e le orecchie si accendano. Cosa che evidentemente non succede secondo chi ho di fronte.
Sul secondo tema ho già detto; sul primo imparerò a tacere. Sulla accensione delle orecchie sospetto sia meno facile. I miei neuroni gemelli sono ossessivi, vanno a loop e questo, decisamente, si nota. Ho da imparare a mettere da parte la mia vita sentimentale, per quanto sia ancora in piena tempesta e formazione, per quanto sia ancora densa di astrusi colpi di scena e soggetta a variabili irreali, devo imparare. Non so come si fa, ma è una buona occasione, di quelle necessarie.
Più di una persona mi ripete, negli ultimi mesi, che la mia assenza si sente. Qualcuna mi dice anche che la mia assenza fa rabbia. Altre mi dicono che poi, nel mio esserci di questo periodo, metto solo in atto una sapiente strategia cartonata che suona più o meno “faccio finta, in realtà sono assolutamente altrove”. Nella quale strategia è prevista una durezza di quelle che non ammettono repliche.
Questo ho più difficoltà a capirlo. A sentirlo. A figurarmelo. Ma ci sto lavorando, ci arriverò. Mi viene da giustificarmi e so che, fin quando reagisco così, non ho capito l’essenza della questione (che è un modo gentile per dire che non ho capito un cazzo).
Penelope incazzosa tende a starnazzare come un’oca e ad affermare il proprio bisogno di essere dov’è, ad imporre la propria necessità di seguire i fruscii delle vesti di Biancaneve come e quando ne ha voglia. L’incazzosa Penelope si chiede cosa c’è di male in questo, nel suo essere dentro qualcosa che ha desiderato a lungo e che neanche sperava. Si chiede perché dopo due anni così difficili e lupeschi non le venga perdonato il bagno nei suoi privati sentimenti. Penelope si chiede anche se è questo il punto e ne dubita, ma ha bisogno di dirlo.
Ancora ci devo pensare, non mi torna e non mi basta. Ci deve essere altro e non so neanche se ci sono vicina, alla realtà delle cose.
Buon week end a tutti e passate a vedere le magliette: http://www.eshirt.it/gs/4a4b5e1008a29
The Flying Freghnas
Non ho tempo per immagini e suoni.
Potrei andare avanti a cambiare tema fino al 2012. In fondo mi piace quello che avevo, ma ho voglia di cambiarlo e non ne vengo a capo.
Ho anche voglia di cambiare modo di stare in coppia.
Non voglio vedermi come l’unica che “ha bisogno”.
Non voglio essere governata dalla sindrome abbandonica.
Perbacco.
Quel senso di autocompiacimento/autodenigrazione che si tatua nell’orecchio: “ommioddio, ama me! come è potuto accadere?” mi ha un po’ sfragnato le palle e ne faccio a meno volentieri.
Fatti delle scorse settimane:
Incontro la mia ex al mare e penso che, cazzo, non me ne fotte neanche di chiederle come sta. Non abbiamo costruito granché in 6 anni.
Biancaneve è il mio pensiero costante. Adolescenziale. Che meraviglia. Ma c’è da recuperar qualcosa che si è perso/incrinato perché ci son questioni in gioco che son cazzi.
Siamo un gruppo strutturato in web. Una rete che si attiva sulle necessità di qualcuno e riesce a trasformarsi in una squadra efficace ed efficiente. Perché siamo quasi tutti senza riferimenti fissi, senza famiglia (omosessuali e pure emigranti, niente più?) e pieni di inutili conoscenti. Domenica le “Flying Freghnas”, ovvero Alice, Da Queen ed io, abbiamo organizzato un soccorso volante perfetto. Racconterò. Questa struttura mi affascina, mi piace, mi riscalda e mi rassicura anche. Non è da tutti.
La mia situazione economica è drammatica (ma che palle, Penè).
Feisbùk mi ha rotto.
Ho dei progetti.
Su di me.
Voglio scrivere un altro spettacolo.
Volevo parlare di tutt’altro.
Se non la smetto di perdermi per Roma e dintorni, mi infilo un tom tom in parti del corpo insospettate.
Buona settimana.
Nel frattempo
Soundtrack: ce vo’.
In macchina mi ritrovo a pensare che è arrivato il momento di lasciar andare delle cose. Di abbandonare. E che abbandonare non è sempre sinonimo di uccidere. Non so se ce la farò, è una impresa enorme. Devo pensarci ancora un po’. Mi chiedo molte cose, trovo molte risposte qua e là.
Entro a Napoli da via Marina. Buffi tentativi di abbellire con le palme una strada che sarebbe, senza nulla aggiungere, bellissima. Basterebbe lasciare libero il mare.
Mangio pesce. Vedo il Fab. Indurito e scintillante come la lama di una katana. Mi festeggia e demolisce con le medesime parole. Mi dice: “non sbagliare”. Mi dice: “sii felice”.
Dormo come ‘na bimba dopo i miei rituali di buonanotte con gli amori sparsi.
C’è il sole, poi la pioggia. Sembrava umidità solida. Napoli ha un odore preciso quando piove. Un misto di polvere e sabbia e sterco e sale e catrame.
Ziasaimon mi regala un pantalone. Ferma in un punto preciso incontro almeno 5 persone che conosco. Via i capelli.
Cammino raccontando ogni passo via sms.
Mi allungo sulla città e mi commuovo a guardare le palme morte e moribonde e i pini con la corteccia rosso sangue. L’energia di questa città, in questo periodo, è malattia e morte. Come il resto del paese, ma, come al solto, qui si vede di più.
Vedo il pater, c’è da convincerlo a spostarsi. E’ tempo. Lui resiste, vedremo. Gli racconto di me. Non so se è più stupito, imbarazzato o disinteressato.
Passeggio, incontro, guardo le vetrine, mi maledico per l’indigenza cronica e chiacchiero con Biancaneve in testa e via cell. La nostra vita immaginaria.
Di nuovo il fab. Lo ascolto e vedo la nebbia che ha saputo tirar su intorno alle sue motivazioni. E’ bello il fab. Stronzo e bello. Lui è così, inutile stare ad aspettare altro da questo.
Cena con i soliti. Mi addormento di colpo. Sonnambulo sul divano. Non li saluto neanche.
Mi risveglio per sistemarmi alle 2. Alle 4 inizia l’inferno di tuoni e fulmini e vento e pioggia. Non riesco a dormire. Dalla finestra non si vede neanche il palazzo di fronte. Assordante. Accecante. Mi addormento alle 5.
Chiacchiere, cibo, ancora sonno, è saltato l’impianto. Il docfab è stanco morto.
Trovo la mia macchina con la fiancata devastata e lo specchietto penzolante. Non riesco neanche ad incazzarmi. Mi avvilisco.
Ascolto il concerto delle cantanti italiane per l’Abruzzo. bello. Ascolto Biancaneve cambiare voce e stringere la gola. Come sempre quando non è dove vuole essere. Non è bello.
Abbandonare. Lasciar andare. Separarsi. Imparare a farlo.
Improvvisamente mi sembra importante. Prioritario. Basilare.
Son cazzi.
Ho scelto
Soundtrack: Joe Jackson – Steppin’ Out
Ho scelto lei.
Con la sua camminata lunga e ritmata, con la sua voce sinusoidale, con il suo profumo di pulito ed energia.
Mi siedo, dopo due giorni densi come caramello, e mi accorgo che sono stanca e fortunata.
Ché a 46 anni amare in un modo che non conosci è una gran botta di culo.
Incontrarsi è una gran botta di culo.
Sì, lo so, avevo da andare al gay pride, avevo da andare a trovare mia zia, avevo da.
So anche che non è una novità che io abbia scelto lei e non il resto. Che ho sempre fatto così.
Ma non mi importa.
Un momento con lei è un momento rubato. Io non ci rinuncio.
Imparerò a mediare quando non dovrò più centellinare.
Mi fa anche paura questa mia già nota monogamia mentale e pratica. E parecchio.
Son fatta così.
E’ che svegliarsi all’alba e trovare il suo sorriso sul cuscino accanto al mio è il festival di Rio e i fuochi d’artificio della notte di ferragosto a Positano.
Ridere con lei raccontando storie fantastiche e senza senso è sole e vento ed aria fresca.
Sognare futuri alternativi è bello come l’acqua quando hai sete e il pane quando hai fame.
Io lo voglio un equilibrio tra il mio perdermi con lei e la mia enorme e colorata famiglia di sangue e sudore e denti. Voglio arrivarci senza perdere niente.
La mia gatta dorme, meglio che vada anche io.
Vi amo tutti, sappiatelo. Sono in fase peace & love.
La Prima e pure la Seconda
Soundtrack: The Gossip – Listen up!
Travolta dall’emozione.
Fuori di me.
Alle prove avrei cambiato ogni singola parola scritta. Mi sembrava tutto troppo e tutto soverchio.
La sera gran bordello. Tutti amici. Una festa di compleanno. Amiche venute apposta da Napoli. Ziasaimon a dormire da me, C&I in andata e ritorno. Colleghe praticamente tutte.
Io una cremolata di mandorle frantumate.
Alice concentrata come un’astronauta.
La regista fatta a biancospino.
Da Queen con tachicardia.
Un dipartimento di salute mentale, in pratica.
A me, lo spettacolo, è piaciuto. Alle 31 persone presenti pure. Anche ai proprietari del teatro.
Alice è, come detto, di una bravura mostruosa. Passa da un personaggio all’altro magicamente. Completamente.
Chi ci ha visto una cosa, chi un’altra. Chi ha pianto, chi ha riso, chi ha riconosciuto me, chi non ha capito una mazza, chi ha trovato riferimenti a cose vissute insieme. Ognuno il suo.
Adrenalina a fiumi, serotonina da arresto immediato.
La seconda: 7 persone mai viste in vita mia.
Agitazione diversa. Stanchezza cosmica. Discesa verticale di adrenalina e strane sensazioni di protezione verso Alice e il testo tutto.
Nel frattempo sul privato ho fatto un paio di clamorose cazzate da pipparola impenitente. Se Biancaneve non avesse la pazienza di Giobbe, avrebbe fatto bene a mandarmi affanculo di prima.
Ma possiede la pazienza di Giobbe, thanxsky.
Stasera la terza.
Vediamo cosa c’è di nuovo.
Hot week
Soundtrack: Questa
Molte cose, in realtà, sono successe in questa settimana.
Lo spettacolo è pronto e, per la prima volta, mi hanno permesso di assistere alle prove.
L’ho trovato bellissimo.
Alice è brava, veramente brava e, per quanto si possa pensare che le mie siano parole affettive, io mi sento obbiettiva e seria. Invece.
E’ tutto anche meglio di come l’ho immaginato. Da non credere.
Sono rimasta paralizzata come al solito. Senza riuscire a dire una sola parola. Faccia inespressiva. Respiro assente. Occhio vitreo.
In pratica più mi emoziono e più vado in tetraparesi. E meno male che con gli anni uno dovrebbe imparare a gestire il proprio lato emotivo.
Mi sa che il mio non è un lato. Sennò si risolverebbe con una emiparesi (battuta accessibile a pochi, mi sa).
Lo spettacolo è nel Calendario Eventi del Gay Pride.
E così è andato anche l’anonimato…
Sul lavoro mi ritrovo, per l’ennesima volta, ad avere a che fare con gente che ha la segatura nell’anima e che, per uno scampolo di potere da miserabili, venderebbe non la sua, ma la mia, di madre.
Thanxgod ho altro. Lo spettacolo, gli amici, Biancaneve.
Ho il dubbio che qualcuno si sia fatto una immagine di me del tutto fuori sincrono e fuori realtà. Si vede che ho sbagliato qualcosa.
Soffro per la situazione economica oltre ogni ragionevolezza. Al di là delle impossibilità quotidiane che ho e che, di base, dejà bastano, il non poter fare un regalo, offrire una birra, pagare qualcosa, mi strappa dentro. Non sono abituata, non è da me, mi sento una scroccona avara e ingrata. Orrendo. Assolutamente orrendo.
Trovo richieste di aiuto su questo blog e non so cosa rispondere. Non ho risposte, appunto, e non sono d’aiuto. So scherzare con gli stereotipi, so giocare con le parole, so far la figa a chiacchiere, ma non so cosa dire ad una persona che non conosco e che vorrebbe sapere chi cazzo è e che cosa vuole dalla sua vita. Questo neanche alle persone che conosco.
Tra poco torna il fab. Non so come sarà rivederlo. Mi fa rabbia il solo pensarci e non credo neanche verrà a vedere lo spettacolo. Immagino se ne strafotta. Anche di questo.
Oggi mare. Niente bagno che l’acqua di Ostia faceva schifo pure alle zoccole di fogna. Ma molto sole.
Sono stanca. Stasera sono stanca e non so perché.
Bonne nuit
Tempi morti
Soundtrack: Dido – It comes and it goes
Aspè che mi arrotolo una sigarettina.
Questa mi è venuta veramente orrenda. Con la gobba. Almeno il filtro non me lo ritrovo in bocca. E’ già una cosa.
Raffreddata in modo vergognoso da venerdì. A casa. Pensosa nei momenti nei quali il raffreddore non mi lìquefa il cervello.
Molto tempo per riflettere, anche troppo.
Non so se sia un passaggio necessario, usuale, fisiologico standard. Io non so se tutto questo pensare a come sono stata nelle mie relazioni di coppia sia sensato o del tutto onanistico come al solito.
Ma succede che io ci rifletta.
Vuoi perché ho una donna adulta davanti (ed è, in pratica, la prima volta), vuoi perché non è semplice dirimersi tra ragione e sentimento (op. cit. Maria Nazionale) anzi no, questo è facile. Me ne fotto delle ragioni e di qualunque conseguenza. Vuoi perché non è strappamento di fica e lacrime e struggimenti cosmici. E’ bello e basta. E’ caldo e basta. Entusiasmo ed energia e non solo perché è un inizio. E’ nella sua natura.
Forse, semplicemente, ho il tempo per ripensarci, alle vecchie cose.
“Penelope tu non ti appoggi sulla persona che hai a fianco, ci collassi sopra!” – (op. cit. Fabolous 2008).
“Penelope tu, nella relazione di coppia, ti spegni” – (op.cit. R* 2006/Ch* 2007 et al.).
“Non sapevo come dirtelo” – (op. cit. St* 1998/Ex 2007/S* 2008 et al.).
Sono stata tradita praticamente sempre e praticamente sempre lasciata per un’altra. Fino all’ultima goccia di lesbodramma.
Sivabbè erano molto giovani e io pure. Sivabbè hai sempre scelto donne estremamente fragili per necessità tue. Sivabbè però.
Devo avere la testa di legno.
Così mi ritrovo, improvvisamente e ben oltre i 40, a chiedermi se ci ho mai capito una mazza di rapporti di coppia. Persino a chiedermi se il mio modo di sentire è compatibile con “la coppia” e se sono davvero in grado di costruire una relazione
E son cazzi, le risposte non le ho.
Perchè mai mi faccio queste domande?
Perché per me è importante saperlo ORA.
Biancaneve mi dice: “sei tu, tu senti così”.
Lei non mi permette giochini di controllo tipicamente lesbici. E lo fa con delicatezza. E io allora cosa so fare?
Improvvisamente mi accorgo che non mi è facile sentirmi amata per quello che sono e senza essermelo guadagnato con strategie belliche e alta finanza dei sentimenti. E’ esattamente questo che non so fare.
Pare una cazzata.
Ma quando ti si riesce a “vedere” per quello che sei anche dietro le cazzate, i capricci, la teatralità, l’ego e la maschera, non ha nessun senso cercare di sembrare meglio o peggio. Non ha senso cercare di infilare un aggettivo a quello che sei.
Questa cosa mi commuove, in realtà. E mi sconvolge, in fondo. E mi smonta paraculate e mani avanti. Non posso dire “non sono capace”, non posso dire “non lo so fare” o “non mi appartiene”. Diventa impossibile. Per me.
Sì, lo so, questo è un pippone inarrivabile. Un Magister Pipponis. Sono una segaiola, diciamocelo.
Ma cazzo come si fa? manco a spiegarlo mi riesce. La vedrò pure poco, ma è infilata in una piega impensabile di me. Non manca mai.
Saranno pure molti anni che non mi innamoro, saranno molti anni che non sento una mazza di niente e saranno molti anni che. Ma non può essere solo questo.
E sono perfettamente consapevole di quello che sento. P-e-r-f-e-t-t-a-m-e-n-t-e.
Ohhhhohh. Non ne vengo a capo.
Lasciamo stare e lasciamo che le cose scorrano. Non devono far altro.
Baci ai vecchi e ai nuovi.
P.S.
Al teatro dal 28 al 31 maggio. Ore 21.00 – la domenica ore 18.00. Prenotare che la sala è piccola. Lo spettacolo si chiama:
“IO STO UNA FAVOLA, E’ NAOMI CHE NON E’ NORMALE”
Fiato corto
Soundtrack: Koop ft Cecilia Stalin- Baby
Come avessi corso per chilometri (il numero è ininfluente, a me ne basta uno per avere il fiato corto).
Come se il cuore non reggesse.
Come se avessi trovato qualcosa che avevo perso da anni, compresa la speranza di ritrovarlo.
Bocca spalancata, petto in subbuglio, la guardo e l’anima mi sviene.
“Le cose accadono” dice una mia collega.
Ho davanti a me una donna che danza sul filo di cotone. Egregiamente. Non posso che stare a guardarla cercando di recuperare ossigeno.
Ohh.
Si terrà, in Roma, tra un po’, lo spettacolo da me scritto e da Alice interpretato.
Trattasi di faccenda ironica e cazzeggiante, ma non troppo.
Si terrà in un teatro around via Nazionale.
Un teatro vero, mica l’oratorio della parrocchia.
Quale parrocchia poi? figurati che infarto prenderebbe a loro…
Postcompleanno
Soundtrack: Big Soul – Pick up the telephone
Santo cielo, mi hanno linkato su miss777 e ho avuto un botto di visite nuove.
Lo considero il regalo di compleanno di tale “Cigno”. Grazie.
I dettagli dello spettacolo li avrete la settimana prossima. Sotto sotto.
E’ che mi si sputtana per nome e per cognome. Son cauta. Un anno e mezzo che riesco a tenere l’anonimato…
Dunque.
Pochi regali ma buoni.
Un video della Alice & Da Queen che mi ha fatto venir i lucciconi.
Una sorpresa alle 11 e 30 della notte che più sorpresa non si può.
Uno splendido paio di orecchini.
Perché Biancaneve è assolutamente sorprendente.
Mi rendo conto che non ve ne fotte proprio.
A me sì.
Fare l’amante è faccenda complessa e delicata. Non si sa mai bene quando essere ragionevoli e quando impazzire.
Si aspettano i momenti condivisi con una fame africana e si comprende, in fondo, che è la rarità di quei momenti a rendere il tutto denso e intenso.
Il pensiero è uno. Una forma di tossicodipendenza. Meravigliosa peraltro.
Tra un po’ mi licenzieranno, credo, visto l’elevato numero di assenze e di fughe.
Se ne andassero affanculo.
Io sto bene così.
Alta antropologia
Soundtrack: Wouter Hamel – Don’t ask
Siamo fatti per stare in branco, non siamo fatti per stare in coppia.
Diciamocelo.
E, per giunta, branchi di omologhi.
Gira che ti rigira, si vive meglio così. Tutti viviamo meglio così.
La coppia, da sola, soffre, si danna e non resiste.
Perché mai lo penso da giorni?
Sospetto motivi poco nobili. Sospetto di aver bisogno di trovare buone giustificazioni. Ma anche no.
Poter conservare tutta la mia vita e i miei legami e le mie cazzate e le mie narcisistiche sceneggiate mi sembra, per la prima volta, una gran bella cosa.
E poi adoro il mio branco. La Famiglia. Con quel po’ di senso meridionale del termine. Vagamente camorristica. Adoro vedere il branco muoversi verso qualcosa, qualcuno, attivarsi per, preoccuparsi di, aver cura. Meraviglioso.
Poi.
Preavverto che a maggio ci sarà grande evento. Almeno per me. Non ha a che vedere con i numeri del blog. Anche se col blog ha a che vedere sì.
Sento la mancanza del pater. Deve essere l’influsso della mela di Biancaneve. Che fa effetto ecstasy: peace&love.
Ho chiacchierato, in questi giorni, con chi nulla ne sa, della vita standard di una lesbica metropolitana.
Mygod siamo infarcite di paure come un cannolo siciliano. Ma non se ne può fare a meno.
E lo sappiamo solo noi. Fuori da qui, non si ha una idea di cosa significa essere apertamente lesbica. O apparentemente lesbica. Quando ne parlo ricordo perché mi importa ancora così tanto definirmi e definire.
Sono nella peggiore situazione economica degli ultimi due anni. Zero risorse. Zero assoluto. Mi so’ un po’ rotta il cazzo di ciò.
Buona giornata abbelli.
Per quanto
ahahahahahahahahahahahahah
Così mi strappi l’anima dal petto, Biancaneve.
Per quanto io ci provi a restare qui senza impazzire e correrti contro.
Lanci fili di seta e io li tengo in una mano senza poterli tendere e arrotolare.
Per quanto io creda di sapere o immaginare, è sempre troppo poco con te.
A volte mi viene il panico. Starò mica per morire? una cosa tipo: “ti esaudiamo gli ultimi desideri e poi te ne puoi andare affanculo”. Se proprio deve essere così, aggiungiamo anche il superenalotto così sistemo amici e parenti e abbiamo concluso.
Notare che, in un nanosecondo una sua parola (ovvero un sms tra il quarto e il quinto rigo) mi cambia il colore delll’anima.
Detto questo, vorrete sapere della serata di ieri.
NON CI SONO ANDATA AL CHOICE!
Ci siamo intalliate a casa di R*. Mi hanno fatto pure cucinare. A me. Da non credere.
Siamo rimaste spatasciate sul divano con Da Queen alla chitarra e B* alla tastiera e R* all’Iphone e Alice all’ipocondria e io al Biancaneve moment.
Un’immagine delirante. Ma una bella serata. E ho cucinato anche bene (pasta e zucchine, patate al forno, insalata).
Ho voglia di suonare il sassofono.
Ora vado a fare la handy lesbian a casa della R*. Me lo porto e suono con B*. Tiè.