Esercizi di Recupero

Qui necessita recuperare l’abitudine e l’attitudine alla scrittura quotidiana. E allora, anche se non sono sicura di avere qualcosa di rimarchevole da scrivere, meglio iniziare.

Sono cambiate tante di quelle cose da quando ho smesso di prendermi cura di questo blog, che non so da dove iniziare.

Sono alla mia scrivania, un regalo di mia zia e dei cugini; legno tosto e pesante e ben 4 cassetti per organizzare maniacalmente la mia cartoleria e tutti i documenti utili. Ho smesso di fare la logopedista – troppo vecchia, troppo stanca, troppo annoiata dagli stessi copioni e comportamenti e reiterazioni – e mi occupo di gestire lo studio.

Incapace è dire poco. Fare i conti è croce e delizia della vita mia. Mi soddisfa l’ordine che danno i numeri, i risultati, i fogli excel che fanno tutto da soli e tutti i meno i più e il rosso e il nero e i rettagolini ordinati e definiti.

La pace della mente proprio.

Ma resto una incapace, non so bene se discalculica o più probabilmente ignorante e con difficoltà conclamate nel ragionamento logico.

Odio amore per quello che ho cercato tutta la vita. Autoflagellazioni e trionfi narcisistici, perdite di sonno (ad avercelo avuto, il sonno, nella vita), e crisi di iperefficienza, giornate “non ho voglia” e giornate che mi fanno crescere di due o tre centimetri.

Sono la più vecchia, qui. L’unica digitalizzata e la sola con 35 anni e passa di esperienza alle spalle e finalmente mi pare di poterne fare qualcosa.

Non so voi ma io ho passato la vita cercando di fare di me una persona di sostanza. E quando sono arrivata in un qualche punto che mi è sembrato soddisfacente, mi sono accorta che non avevo che farmene di tutta questa “sostanza”.

Niente. Nada. Nisba.

Non che io mi penta, solo mi sembra sprecato tenere quello che ho imparato per me. Senza condivisione, (ed è una citazione), non c’è gioia.

Fortunatamente, essendo la capa, qui, sono costrette ad ascoltarmi.

E so’ soddisfazioni.

Paura

Soundtrack: Nekta No Need To Rumble

Non credevo fosse possibile, sotto i cinquant’anni e dopo trenta anni di lavoro, ritrovarmi ad avere paura. Proprio paura.

Nuovi pazienti, nuovi ciccipiccoli.

DGS, ADHD.

Quand’è che ho smesso di chiamarli per nome ed ho cominciato a chiamarli per sigla?

Trenta anni fa le sigle dietro cui nascondere i bambini non le avevo. E avevo anche il fuoco sacro e inestinguibile del delirio di onnipotenza e la crassa ignoranza che porta sorprese ogni minuto.

Oggi ho sigle, ho vista lunga, ho precisa percezione di cosa sarà e come sarà.

Cazzo dovrò lottare, consumare energie, comunicare, contenere, accogliere, fissare paletti di cemento, sfondare muri, rassicurare, prendere botte, trasformarmi in un gigante, ascoltare, fermare, lasciar andare, trattenere.

E tutto questo per cosa? Per metterli ad un cazzo di tavolino ad imparare a leggere e a scrivere, per insegnargli ad usare articoli e preposizioni nella frase, perché imparino ad essere aiutati, per dargli i fottuti tempi di attenzione necessari per acquisire nozioni, funzioni, autonomie, relazioni.

Ma io non so neanche più se ne sono capace, se so ancora farlo, se ho le energie, la fiducia e la voglia di accettare la sfida. Cazzo IO-NON-LO-SO.

E mi fa paura da morire. Uscire dalla rassicurante bacinella fatta di DSL e DSA già pensanti, parlanti, educati e pronti.

Io non lo so se ci riesco a ridargli un nome e non una sigla a questi.

Io non lo so se ho la forza di scavare dentro le loro paure, dentro la confusione dei loro genitori, dentro le scuole insufficienti e inadeguate. Dovrei essere quella che non ha paura per accogliere e sfumare le paure di tutto il resto del mondo che ruota intorno a loro.

Ma io non lo so più. Non lo so più. Non lo so più. Non lo so più.

E il mio è un mantra di disperazione. Perché allora, cos’è che so io? io non so fare altro. Sto solo cercando di trovare il modo per fare quello che può bastare senza troppo sforzo, coinvolgimento, fegato e viscere. Sto solo cercando di risparmiarmi. Solo un po’. Solo perché non credo di essere più in grado.

Cosa ancora posso dare io?

Io non lo so.

Non provavo una sensazione come questa da anni. Forse dovrei prenderla come una buona cosa.

Poi ho paura di avere l’alzheimer. Davvero. Con i miei vuoti di memoria, i miei sperdimenti spaziali, i miei risvegli confusionali, i luoghi che conosco e non riconosco, la mia insonnia galoppante.

E ho paura di cambiare casa, di preparare di nuovo gli scatoloni, di organizzare il trasloco, di ricominciare daccapo.

Ho paura di chi imbroglia, di chi mente, dei falsi sé, dei cazzi pieni d’acqua.

Ho paura della menopausa che avanza come una goccia d’inchiostro nero nell’acqua che ho nel corpo.

Ho paura di restare sola fino alla fine dei miei giorni.

Ho paura che stiano uccidendo mio padre (ma questa è una lunga storia).

Ho paura delle cose nuove.

Ho paura di addormentarmi in macchina.

Ho paura di perdere quello che ho.

Ho paura mettermi in costume la prossima estate.

Ho paura che tutto questo sia diventare vecchia. Non grande, quello lo sono già stata. Vecchia, come forse è giusto che sia a questa età, malgrado le stronzate che si dicono in pubblicità.

Abbracciami forte amore mio, perché una paura così, si può solo accarezzare e consolare, si può solo guardare con gli occhi teneri di chi ama.

E lasciami piangere per un po’.

Perché non so che altro fare.

Ostentami ‘sta dentiera

Soundtrack99 PosseCattivi guagliuni

Capitolo I

“quello che non mi piace è l’ostentazione. Poi, se qualcuno li picchia, se la sono andata a cercare”

Capitolo II

“La classe è la più accogliente della scuola, è lei che tende ad isolarsi. Forse trova il programma delle medie troppo pesante e cerca un modo per sfuggire”.

Capitolo III

Ma mi avete cordialmente rotto i coglioni. Questo ributtante 75% di popolazione italiana che crede di pensare, invece rutta cazzate stereotipate e bidimensionali. Voi. Voi che non riuscite a capire che qui si parla di persone e non di foto da pagine di giornale. Voi che non riuscite a connettere il cervello sulla realtà e immaginare che ognuno di questi ragazzi picchiati, vilipesi, umiliati e maltrattati perché diversi da voi, sono ragazzi. Carne sangue lacrime sudore vita dolore gioia madri padri nonni sorelle fratelli cazzi amari sorrisi baci amore cadute risalite passeggiate parole frasi e anima.

Cazzo anima.

Cosa vi impedisce di capirlo? quale neurone vi ha smesso di funzionare ed in quale triste e avvilente occasione? Avete bisogno di una risonanza magnetica per controllare se avete del materiale funzionante tra le orecchie?

Non vi fa schifo la puzza delle vostre parole inutili e cartonate?

Non siete stanchi di ascoltarvi ripetere sempre le stesse tre stronzate?

Davvero credete siano la realtà?

Tu, piccola miserabile segretaria rincoglionita. Tu, coacervo di luoghi comuni e buonsenso da rete fognaria. Tu come i permetti di parlare di ostentazione e di reazione ovvia? che cazzo ne sai tu? e come ti permetti di negare la sostanza di quello che hai detto? tu, stronza rincoglionita che non sei altro, non hai fatto altro che dire che al mondo, qualcuno, che non ti tocca, non ti riguarda, non ti conosce, non incide sulla tua monodimensionale e squallida esistenza, può essere aggredito e malmenato e ucciso perché ama. Questo è il cazzo del senso del discorso che stai facendo. Decerebrata piattola.

E tu, coordinatrice del cazzo di una prima media di provincia, come cazzo ti sei permessa di insinuare che una ragazzina ha inventato le umiliazioni, gli sputi, gli insulti, l’esclusione e l’ostracismo, perché le sue difficoltà la mettono in situazione di inferiorità rispetto alla classe?

Tu, chiavica della categoria, piccoloborghese provinciale e platinata, chi cazzo ti credi di essere?

Siete due rami dello stesso albero di sterco e odio e paura e cattiveria fine a se stessa.

Non so se riuscirò mai a capire cosa mai vi spinge ad essere vivi nelle vostre inutili esistenze e a ritenere degne di nota le vostre opinioni costruite a botte di canale cinque e rete quattro.

Che cosa vi devo augurare? un figlio gay o disabile? e perché mai dovrei maledire due persone in questo modo?

Un gay e un disabile proprio non se li meritano due genitori della vostra puzzolente sostanza.

Aah.

Ne avevo bisogno.

Penso

Soundtrack: Plan BPrayin’

Non voglio sentire nessuno, stamattina.

Neanche Biancaneve.

Voglio capire.

Dove è andato il mio coraggio, dove è andato il mio orgoglio, dove è andata la mia anima ebraica errante. Dove e quando ho dimenticato che i punti di riferimento sono aleatori, labili, aquei, trasparenti. Solo un piccolo indicatore di direzione lampaggiante senza altro senso che un consiglio da seguire o no.

C’è qualcosa nel mio karma che persiste e si ripropone, che reitera, che non smette di tornare.

Il mio punto debole.

Il cumulo di sassi che ferma le mie strade.

Sono io che ho bisogno di pensare che le mie scelte dipendono dai fatti, dai contesti, dalle persone, dagli affetti, dalle persistenze.

E quando fatti, contesti, persone, affetti si sgretolano e svaniscono, resto nuda e senza il senso del movimento.

Perché sono qui? cosa mi ci ha fatto arrivare? cosa l’ho fatto a fare? perché mi sono fidata? perché ho sbagliato di nuovo? cosa non ho saputo vedere?

Mi arrotolo nei dubbi e nei fallimenti, mi spalmo sul divano dell’errore, mi avvolgo nella melma dell’ingiusto.

Naturale attacco di vittimismo. Non si sfugge.

Penso.

E che cazzo penso a fare?

La gatta mi guarda. Dorme 23 ore al giorno ormai. E soffre il freddo di questa casa fredda.

Oggi non sopporto nessuno.

E non sopporto parole che mi riportino ai dubbi che ho. Al senso fallimentare che mi governa oggi.

Alle tre di notte ho spostato la scrivania. Mi viene in mente quella lamentela tipica da condominio: ” ma che cazzo fanno questi, spostano i mobili alle tre di notte?”. Sì, succede. Serve. Aiuta. Fa sentire un po’ meglio. Ad essere mano educata avrei pure trapanato il muro.

Non ho fatto l’albero di natale, neanche quest’anno.

Ho un micro alberello rubato al centro dove lavoro. Sotto ci sono tre regali di Biancaneve. Mi ha comprato cose che mi servono. Cose che non mi posso comprare.

Forse non ho detto che, oltre ad essere in cassa integrazione, non ci pagano il mese di novembre e la tredicesima men che meno.

Ho le bollette sulla scrivania.

Che cazzo vogliono da me oggi co’ ste telefonate.

Devo fare il cambio di residenza ed ho paura che servano soldi per farlo.

Negli ultimi anni ho cercato di fare scelte che mi portassero ad una stabilità, alla possibilità di fare affidamento su di me. Lenta progressione, ma il fine ultimo è sempre stato questo. Ho cercato. Ci ho provato. Ci sto provando.

Ma non funziona, a quanto pare.

Ho messo anima e cuore in un posto di lavoro che ho dovuto faticare per farmelo piacere, ho trasformato in qualcosa che mi fosse compatibile, ho adattato al mio modo di lavorare.

Perché io non sono una logopedista seria, sono una cialtrona riciclata logopedista e abilmente mimetizzata in un luogo dove posso cialtronare senza troppe rotture di cazzo.

Al momento ho il terrore di rimettermi in giro. Non reggerei il confronto neanche con il cane del portiere di un centro di riabilitazione.

Ma cos’è, la sindrome di stoccolma?

Minchia, spero bene questo periodo duri poco, perché stare così non mi piace per niente, mi da fastidio e mi irrita.

Fanculo.

 

Di male in peggio.

Lavoro.

Si parla di lavoro.

La letterina che accompagna la mia tessera sanitaria nuova, recita: “alla scadenza, se verranno confermate le condizioni per l’assistenza sanitaria…”.

Sarò pessimista, allarmista e particolarmente reattiva, ma questo mi preoccupa.

L’idroamministratore del centro di riabilitazione accreditato presso il SSN per il quale lavoro ha, ieri, lanciato ridacchiando le sue proposte per il futuro.

Fantastico.

Dopo Monterotondo chiuderà anche Ostia e, infine, visto che ci troviamo, un po’ di licenziamenti dei dipendenti a tempo indeterminato che, si sa, tecnicamente, alzano il costo dell’ora di lavoro con il loro essere inutilmente tutelati.

La Fiat se ne fotte degli accordi e fa quello che gli pare, notizia di stamattina.

Ridacchia, il coglione, si diverte credo. Sta cominciando a piacergli il potere che ha scoperto di avere. Il ragazzetto con la felpa quechua e le scarpe bucate, gioca a fare il potente.

Ma che allegria.

Vorrei firmare le dimissioni domani, ma la ragione mi dice di aspettare di avere altro da fare.

Ma questa barca sta affondando ed io ho paura di affogarci insieme.

Stamattina mi tocca avvertire le colleghe che non c’è nulla da fare ed è bene che ognuno trovi il modo di pararsi il culo e fermare i genitori dei nostri ragazzini.

Loro si stanno organizzando per trovare fondi per sostenere il centro e far rimanere aperta la sede.

Li devo fermare, mi sembra il meno.

Per il resto non so, sono cupa oggi. Almeno non fa caldo. Peccato mi sia dovuta svegliare presto.

Santa pazienza.

domani

Domani parlerò al nostro idroamministratore.

Perché? e perché davanti ai genitori che lui sta per sfanculare?

Perché non posso fare a meno di alzarmi in piedi e dare voce a qualunque sussurro mi arrivi da qualunque fottutissimo lato.

Mi fa sentire viva, attiva e operante. Costi quel che costi.

Da quando ho avvertito che avrei parlato, ho tenuto lontani i pensieri e le parole per dirlo.

Perché non ho idea di cosa sto per fare.

In realtà mi sento più depressa che incazzata. Il mio è un colpo di reni. Mi è necessario incazzarmi. E’ per la mia sopravvivenza.

Fermo restando che il lavoro e lo stipendiuccio mi restano, per ora non li perdo e, che, ulteriore benefit, lavorerò dietro casa mia, è la mia psiche che va a puttane.

Sono arrivata a Monterotondo cinque anni fa, mollando la mia città dalla sera alla mattina.

Mi sono chiesta dove cazzo ero andata a finire.

Beghe interne da capate in bocca, odi sotterranei e sopraelevati, microgruppi in contrapposizione, senso del territorio da pastore maremmano, sguardi obliqui, zizzanie come piovesse, noia mortale.

Dopo due anni sono arrivate persone e cambiate persone ed è stato possibile muovere il pantano.

All together.

Lavoro da 25 anni e di posti ne ho visti molti (ho visto cose che voi umani…) e quello che si è creato in tre anni è il miglior ambiente di lavoro che io abbia mai vissuto. Il miglior gruppo di lavoro.

E abbiamo buttato il sangue per metterlo in piedi.

Le tirocinanti del corso di logopedia di Ariccia chiedono di venire da noi (ad Ariccia non si fanno solo porchette, ma anche logopediste), siamo conosciuti come un posto dove si lavora bene, si riabilita bene, si sta bene.

Fanculo.

E tu chiudi l’unica risorsa che hai. L’unico centro che ti funziona. L’unico gruppo di lavoro che non ti ha mai rotto i coglioni con le cazzate. Le questioni personali ed interne ce le siamo sempre risolte da soli.

Una sola cosa non ha mai funzionato, Tu e la Tua Fottuta Amministrazione.

Ma questo non lo posso dire.

Non posso dire che penso non sappia fare il suo lavoro, che toglierci dal territorio è una sconfitta e una mossa autolesionista, che dimostra di mancare di rispetto al lavoro che facciamo.

E sulla lettera che ha inviato alla regione, alla sPolverini, alla asl e a mammeta, ha pure sbagliato il numero di terapisti che lavorano qui ed è stato impreciso e generico nello spiegare che lavoro facciamo.

Umiliante.

Eppure maciniamo quasi la metà del suo fottutissimo fatturato.

E se guardo le cifre di sui si parla mi sale il sangue agli occhi.

Il budget di questa azienda è di 2 milioni di euro e spicci all’anno.

Fanculo ancora.

Su quel territorio non c’è niente. Niente che sia neanche lontanamente simile al lavoro che facciamo noi. Niente che funzioni altrettanto bene. E, per noi, funzionare vuol dire dimettere bambini o attivare reti sociali che gli parino il culo, ai bambini.

Bambini.

E mi verrebbe da dire, ancora una volta, agli abitanti di questo paese di merda, di guardarsi intorno e guardarsi anche le spalle. Se una potenza industrializzata non riesce a permettersi un servizio sanitario decente e inizia a limitare il libero accesso alle cure anche ai bambini: siamo fottuti.

Ma il nostro idroamministratore è come quella chiavica che ci governa. Né più né meno.

Arrivano tempi duri e, allora, per prima cosa si taglia quello che funziona. Per meglio giustificare il macello che verrà dopo, quando sarà rimasto solo fango da spingere nelle saittelle.

Oh, ma non è questo che dirò, almeno non credo.

Vorrei cercare di restare neutra e un filino oggettiva.

Che sarebbe a dire che esiste babbo natale e il PIL è in crescita.

Idealista del cazzo che sono.

Questo gli dirò. Che sono un’idealista e credo che anche un Donatore di Lavoro debba sentire la responsabilità dei suoi dipendenti, del servizio che offre e dei “clienti” che son creaturi e famiglie sbandate e confuse.

Che spazzare via una risorsa è da folli, perché io mi sento una risorsa, mi sento spazzata via e penso, incazzata come un varano, che lui sia folle.

Che i bambini non sono bulloni, sono bambini.

Che noi non siamo cinesi, siamo logopediste.

Che né noi né i genitori dei nostri ragazzini siamo deficienti abbastanza da perderci il nucleo della scelta che lui sta facendo.

Vorrei spiegargli cosa facciamo. Vorrei spiegargli chi sono questi ragazzini. Vorrei capisse cosa ci è voluto per arrivare ad essere quello che siamo.

Vorrei non chiudesse.

Non credo di convincerlo.

Non credo.

 

 

La foto che posto stasera è la sala d’attesa del Pronto Soccorso Oftalmico dell’Ospedale Pellegrini di Napoli.

Perché quello, quell’è.

@work

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Soundtrack: George Michael & Mary J. Blige As

Equipaggiamento personale:

  • n°1 fucile a pompa;
  • n° 2 pistole;
  • n° 50 palloncini;
  • n°3 cambi di vestiario,
  • n° 1 bacinella;
  •  asciugacapelli;
  •  asciugamano;
  • ciabatte;
  • costume.

Preparazione:

Allago la cucina per riempire i palloncini. Conosco i miei colleghi, so quanto sanno essere bastardi dentro. Meglio essere preparati.

Alla prima ora ho counseling con i genitori di un ciccio piccolo assieme alla TNPEE, allo Psicologo e alla NPI.

Eravamo d’accordo per cominciare subito dopo.

La segretaria mi chiama mentre sono per strada per mettermi prescia.

[Bastardi]:

Arrivo al cancello del posto di lavoro (ricordo a tutti che faccio la logopedista e lavoro in un centro di riabilitazione, casomai vi foste dimenticati o vi fosse passato per la mente che fatico in un circo) e vengo aggredita vigliaccamente dallo psicologo, e sottolineo psicologo, dotato di un fucile con gittata 6 metri.

Ma sono pronta.

Nella mia bacinella ho fucile e pistole e palloncini carichi.

NON MI AVRETE.

La NPI è dotata dell’arma finale: “la figlia seienne”. Alta strategia di guerra, ma non mi intimorisco.

La battaglia è dura ma sopravvivo con la testa inzuppata e i vestiti così e così.

Tregua. cazzo abbiamo i genitori che ci aspettano.

Entro nel corridoio per andare a cambiarmi.

Ed è l’inferno.

Logopediste, tnpee e bambini mi assalgono mentre cammino faticosamente nella palude che ha preso il posto del pavimento.

E sono disarmata.

Vigliacchi.

Mi chiudo in stanza e mi cambio.

Costume e copricostume e ciabatte.

Tregua per riunione.

Noi dell’equipe ci presentiamo grondanti e in grotteschi abbigliamenti. Riusciamo persino ad essere seri. Non so come.

Fine riunione, si ricomincia. E’ delirio.

Una segretaria cerca di salvare i computer, una madre cerca di cazziarci perché il figlio di 4 anni è una zuppa d’acqua, si bagnano documenti e fogli firma, ma ce ne fottiamo altamente.

La NPI che, ricordo per i più distratti, è la NeuroPsichiatra Infantile responsabile dell’equipe, improvvisamente, alza il tiro e si procura UN SECCHIO.

E’ guerra globale.

I genitori fuggono. Letteralmente.

Bagno totale. Lo Psicologo scorrazza in calzoncini da mare. L’unica logopedista sopra il metro e 80 riesce a contrastare la furia delle secchiate della NPI che non rispetta nemmeno i “momenti ricarica”. A una certa stacca la doccetta del lavandino e ci doccia tutti.

E oggi non c’era il sole.

Il corpicostume era talmente zuppo che mi impediva i movimenti. Vedo una TNPEE a terra colpita da due persone armate, febbrili operazioni di riempimento palloncini, una segretaria colpita a tradimento mentre parla al telefono.

Fa un cazzo di freddo e siamo stanchi e fradici come purpetielli (=polipetti, N.d.T.). Si decide di smettere.

Mi cambio ma non metto i vestiti definitivi. Non mi fido, devono ancora arrivare due colleghe, ho il terrore che si ricominci.

Lo Psicologo va via, la maggior parte delle terapiste pure. Rimaniamo in poche. La NPI si è asciugata e ha fatto svampare il fon.

Mi rilasso.

Decido di mettermi cose asciutte e le colleghe rimaste pure.

E’  in quel momento che la NPI effettua un blitz veloce ed efficace e ci rifracica tale e quale. Pistole e secchiate e bottiglie e palloncini e qualsiasi cosa contenga almeno una goccia d’acqua.

Tre ore di battaglia.

Sono sfranta.

E starnutisco pure.

Non ci ho l’età.

Ma, santa pazienza, che ridere.

 

Pienezza

 

Soundtrack: Morcheeba Wonders never cease

Difficilissimo spiegare.

Riguarda il mio lavoro, ma non solo, in fondo. Riguarda me, su un tale numero di piani, che mi riesce difficile contarli.

I fatti sono banali, e forse neanche tanto.

Sono fiera, piena, orgogliosa, emozionata e vibro come un diapason da ore. Senza riuscire a smettere.

Abbiamo chiesto l’aiuto dei genitori dei nostri cicci piccoli per ottenere cose che non sto qui a spiegare. Banalmente una mobilitazione a supporto dei problemi economici del centro.

Li ho visti stamattina. Ero preoccupata, in ansia e incazzata come un varano perché, all’ultimo momento, l’amministratore ha deciso di presentarsi all’incontro. Ero terrorizzata all’idea che avrebbe rovinato tutto il lavoro fatto in queste settimane.

Sono arrivati in tanti, non tutti, ma thanxgod quelli in grado di capire e dotati di strumenti per analizzare.

L’amministratore, per la prima volta, ha parlato decentemente e correttamente.

Loro, i genitori, hanno parlato poco, con precisione, con strategia e accordo.

Già questo basterebbe.

Hanno dato disponibilità alla qualunque, ma con cognizione di causa e precise condizioni.

E anche questo già basterebbe.

Si sono offerti di fare una raccolta fondi per integrare gli stipendi mancanti.

E questo è il primo colpo al cuore.

Siamo abituate a vederli quasi tutti i giorni, per anni, in un rituale (prendi ciccio piccolo-restituisci ciccio piccolo) talmente uguale a se stesso che ti abitui a pensare che tu o un’altra non faccia differenza, che questo posto o quel posto sia la stessa cosa e che dei cazzi tuoi non gliene possa fregà de meno. Vederli proporre di farsi carico della nostra quotidiana sopravvivenza, emoziona.

Non so, forse esagero, ma l’ho vissuta così.

E poi loro, i genitori, ci hanno ringraziato per il nostro lavoro, per il nostro continuare anche in queste condizioni, per i risultati che otteniamo, per esserci, per essere noi e non la qualunque.

Cosa mai di più ti può dare questo lavoro?

Quale cazzo di lavoro ti da questo?

Minchia è difficile spiegare cosa significa per ognuno di noi. Chi fa una  professione d’aiuto non ha una missione, ma avverte sempre e comunque il senso del compito, della responsabilità, dell’obbiettivo e del senso di questo tipo di lavoro.

Noi mettiamo in conto battaglie, incomprensioni, fallimenti e delusioni praticamente da subito (non proprio all’inizio, no, ci vogliono quei 4 o 5 ceffoni che ti riportano sulla terra, che ti ridimensionano e che arrivano inesorabilmente). Impari a non aspettarti niente se non i risultati che vedi tu e a volte tu sola.

Una cosa come quella che è successa stamattina è un uragano, un’emozione così violenta che non sai nemmeno dove metterla, non ti c’entra tutta dentro.

Io so solo che mi veniva da piangere.

20 anni che lavoro ed un momento così non l’avevo mai vissuto.

E sono fiera delle mie colleghe tutte, dei miei cicci, dei loro cicci, di ognuno di questi genitori e anche di me.

Persino dell’amministratore, il che è quanto dire. E sono fiera del fatto che lui abbia avuto modo di fare quello che gli sto chiedendo da mesi: guardarci. E l’ha fatto. E io non so trovare un modo per spiegare l’enormità del mio orgoglio.

Non riesco a calmarmi, uagliò.

Alla faccia della leggerezza

piuma

Soundtrack: S-Tone Inc. – Some Kind Of Blues

Un paio di considerazioni prima di andare a dormire, che è tardi e che mi devo alzare prima dell’alba ed ho persino sonno che è quanto dire.

Ci sono persone che si lasciano divorare dall’invidia. E non è questo il punto, sull’invidia ho poco da dire, it happens e, oltretutto, a volte è pure utile. Resto esterefatta quando l’invidia diventa la persona, quando si trasforma da aggettivo a soggetto attivo. Quando questo succede, la persona è capace di odio vero, profondo, distruttivo. Odio che ti fa desiderare, davvero e non tanto per dire, di vedere qualcuno star male o soffrire o morire.

Se ci penso bene, sono persone fisicamente riconoscibili nella loro forma verde/giallognola e asciutta fino all’aridità.

Ci sono persone che hanno in testa solo obiettivi e traguardi. E anche su questo, di per sé, non ci sarebbero questioni da sollevare. E’ un buon modo per costruire qualcosa, un buon modo per arrivare da qualche parte. Mentire, nascondere, omettere, manipolare e fingere per arrivare a quegli obiettivi e quei traguardi, mi fa tremare le vene dei polsi (che espressione meravigliosa).

Queste persone si riconoscono con maggiore difficoltà, sono brave a dissimulare e brave a cogliere i punti deboli delle persone nemiche o di quelle che è meglio avere come amiche.

Non mi piacciono (mava?), mi fanno un po’ paura. Ho sempre la sensazione di non sapermene difendere a sufficienza. Perché quello che non capisco, lo vedo solo all’ultimo momento e può far male.

Ma ch’ ‘rè? na lezioncina sulle aberrazioni umane? Forse.

Poi ci sono persone che prendono la vita come fosse una mulattiera delle Alpi Carnie. Passano su sconnessioni e voragini sempre con lo stesso passo e lo stesso sguardo negli occhi traparenti.

Si fermano di tanto in tanto a guardare il panorama e scacciando le domande come fossero mosche cavalline.

E ci sono anche persone che sanno esattamente come sono e chi sono, ma non vogliono far dispiacere nessuno e fingono di essere quello che altri hanno deciso per loro.

Io a queste persone voglio bene. Molto bene.

Alle mule che conosco vorrei alleggerire il basto e lisciare il pelo. Vorrei si sedessero sul muretto a secco della mulattiera e si domandassero cosa mai le ha portate lì e dove, in realtà, vorrebbero essere. Quando ci provo e le vedo piangere, vorrei secernere miele e manna. Ma non si può. Non lo so fare, più che altro. Credo nel potere della parola e insisto a lacerare veli nella ferma convinzione che sia utile. Magari, invece, faccio solo male. Maledetto delirio di onnipotenza. Ma il mio è un gesto d’amore, per quanto orribile possa sembrare: una ferita se è chiusa male e fa infezione la devi riaprire. E pulire la carne viva. Mah. Convinzioni del cazzo.

E per quelli che si sforzano di essere quello che non sono, mi sento profondamente responsabile. Io che so cosa significa non essere uguale, io che so cosa significa crescere in un altrove che non è di tutti, io che so quanto costa costruirsi senza l’aiuto e l’appoggio delle certezze del “comune” e dello “standard”, non avrei dovuto permettere che succedesse. Avrei dovuto fare di più e combattere di più, prendermi il rischio e provarci. Testa di cazzo, come al solito un lavoro a metà, iniziato in ritardo e finito troppo presto.

Infine, concluderei con un paio di domande epocali sulla mia persona. Pare che io ispiri istinto protettivo. Perché mai. Non lo capisco e non me lo spiego. So di avere spesso bisogno di aiuto, che siano questioni pratiche o emotive, mi manca sempre una lira per apparare (=raggiungere, N.d.T.) 100 lire e finisco per annaspare in giro in cerca di chi mi aiuterà per rimettermi in piedi. Non so sei sia una cosa della quale mi dovrei vergognare, ma comunque sono così e non mi sembra particolarmente orrendo. Mi pare ci sia di peggio.

Ma proteggermi da cosa? Non sono buona, non sono imprudente, non sono avventata. Al massimo sono un po’ cretina, a volte. Immagino capiti a tutti.

Magari la penso così perché mi si protegge talmente tanto bene che manco mi accorgo dei rischi che corro.

 

 

Noia

noia

Soundtrack: Me’Shell Ndegeocello Ft Herbie Hancock – Nocturnal Sunshine

Ho come la sensazione che codesto blog sia in perfetta sintonia con i miei stati emotivi.

Il che non è assolutamente normale, è ovvio.

Con l’adrenalina che avevo in corpo ieri, ho raggiunto il record delle visite. Con la uallera di oggi, un numero miserrimo.

Truman Show. Sospetto.

Oggi due palle come una casa.

Meno male che ci sono certi cicci piccoli che ti fanno arripigliare la giornata.

Alle volte mi sento un vampiro che succhia energia da loro e dalla loro rabbia. Più sono incazzati più mi diverto e mi carico.

Neanche questo mi pare tanto normale.

Le magie del mio lavoro.

Comunque mi sono annoiata a morte e scrivo noioso.

Mancano tutte le mie colleghe preferite. Persone dalle quali, ormai, dipende la mia motivazione lavorativa. Senza di loro che cazzo ci vado a fare a lavorare? diventa una cosa vera, una professione, un momento codificato e prevedibile. Routine.

Orrore.

Con loro presenti non lo è mai. C’è sempre qualcosa – un fatto, un racconto, un umore – che rende la giornata unica e sola. I caratteri si mescolano random e non sai mai quale sarà il mood della giornata, per chi o per cosa ci si dovrà attivare, chi verrà tormentata, chi sostenuta e chi cazziata.

Mi manca F** che tornerà d’estate. I suoi modi solari, la complicità e la leggerezza con la quale prende a culate l’esistenza.

Mi manca M**, presa in un vortice di doveri e cataclismi familiari dai quali, se potessi, la staccherei a colpi di machete.

Mi è mancata anche la SR**, la sua rigidità e la voglia che mi fa venire di romperle il cazzo in tutti i modi possibili.

Persino le pischelle che son delicate, dolci ed energetiche come meringhe.

Insomma, na palla. Come lavorare allo sportello delle poste.

Notavo che, invariabilmente, e nel luogo deputato alla massima serietà (ovvero la stanza della NPI), si finisce per parlar di sesso. SEMPRE.

Perché?

Lo facciamo poco? un desiderio di groupage latente?

Immagino sia perché il sesso, alla fine, è assolutamente trasversale. Ne possono parlare tutti indistintamente con la stessa , scarsissima,cognizione di causa.

Mette d’accordo tutti e nessuno mai si metterebbe davvero a parlare del modo in cui lo vive, il sesso, di come lo vuole, di come lo fa veramente. Tranne me forse? No, neanche io. Faccio la figa, però.

E’ lo strumento di conoscenza più potente che esista al mondo. Non è solo piacere procurato e procacciato. Se si incastra nel quotidiano come il pranzo da preparare o la tv da accendere, tanto vale cucirsela o ridursi consapevolmente alla cecità con il sostegno attivo di youporn.

E molte di noi lo fanno. Cucirsela, intendo. La cecità è per poche. Purtroppo.

Il sesso dovrebbe restare un’avventura permanente, la scoperta dell’America ogni volta e il gioco più divertente al mondo. Ma è praticamente impossibile, credo. Sarà per questo che si diventa scambisti o fetish o amanti del bondage o la qualunque del sesso fuori dal letto di casa: per risvegliare il sesso dal coma.

Ma questo non è argomento di mia competenza.

Mi chiedo perché la maggior parte della gente ne sappia così poco e si stupisca pressocché (ma si scrive così?) di tutto.

E perché la maggior parte delle donne sappia così poco di sé.

In fondo anche io.

Argomento bramato e sempre trattato con malizia (ohmygod che parola obsoleta) e ambiguità delirante. Qualsiasi uomo sogna sesso orale ad ogni ora del giorno e della notte, ma dare della pompinara a una donna è un insulto denigrante e divertente. Qualsiasi donna guarda il pacco degli uomini che ha di fronte, ma non sia mai detto si possa ammettere liberamente. Tanto per dirne un paio anche piuttosto banali.

Che stasera non ci ho la capa per dare un capo e una coda a quello che penso. E’ che il crollo della tensione mi ha atterrato in modo sorprendente.

E, comunque, la sensazione di mettere qualcuno in difficoltà non è mai piacevole.

Per un sacco di buoni motivi.

Umanamente parlando e considerando che nulla cambia e che nessuno è armato.

Sic transeat gloria mundi, direbbe il fab, sapendo quello che sta dicendo.

 

 

Di risvegli, lavoro e amici vicini e lontani.

risvegli

Soundtrack: Sylvie Vartan Zum zum zum

1 – Risvegli.

La nana si destò. Dormiva da seimila anni, mi sembra. E sognava di altri mondi paralleli dove accadevano cose e si poteva lusingare tutta quanta. La nana, al risveglio, ci ha messo un pochetto a realizzare che era uscita dal coma. Se l’è cantata e se l’è suonata per qualche tempo, subito prima del caffè. Poi ha dovuto aprire la finestra e fottersi. Sveglia sei e sveglia resterai. Vai a costruire seduzioni altrove, che qui ‘un c’è trippa pè gatti.

Sopravviveremo, si disse la nana. Un po’ mesta e un po’ consapevole che quando si desidera qualcosa e questo qualcosa non avviene, con un po’ di talento e qualche pezzo di carta e ferro, si può far finta che sia avvenuto.

O’ munn’ è come t’o fai ‘n capa (=il mondo è come te lo costruisci nella tua testa, N.d.T.). Come prova una famosa conversazione avvenuta più di una decade fa tra me e la mia amica Gabriella:

“Penelope, ho capito che A* mi ama!”

“E come lo hai capito, Gabriè?”

“Perché mentre baciava R**, mi guardava”.

Detto questo, stasera ci ho un poco le pive nel sacco, malgrado i maldestri tentativi di rassicurazione della Alice. Rien a faire. S’è fatto finta. Vabbè, format c:.

2 – Lavoro.

Giornata fantastica, under questo aspetto. Un tripudio di successi personali e collettivi. Un trionfo.

Absolutely.

Un ciccio piccolo comportamentale, riportato nei parametri di una modalità socialmente accettabile in meno di un anno, è un risultato più che gradevole. Manco a dire che non c’entro un cazzo, as usual. Come al solito si trattava di ascoltare, mettere paletti e dare fiducia. Nè più, né meno. Poco impegno, gran risultato da ascrivere a chi ve pare, quindi perché non a me? Rimane il problema della mamma che, come spesso accade, a veder il figliuolo cambiare, entra in paranoia, manco lo preferisse ingestibile e ciuccio. Ma si risolverà anche questo. La superlogopedista e la superequipe son qui per questo…

Poi un bel colloquio con genitori sfranti. Bello non di per sé, ma di per me. Quando mi sento sicura di quello che faccio e mi pare di avere in mano il mitologico polso della situazione, gli è una bella soddisfazione. Quando poi mi accorgo che i genitori hanno talmente intrioettato la figura della logopedista/signorina Rottenmeir, da vedersela davanti quando fanno qualcosa che non dovrebbero fare, è la vera onnipotenza: “IO… SONO… LA… LUCE!”. Per quanto anche questo potrebbe rientrare nel capitolo “risvegli” perché, e non poche volte, son convinta di dire le cose giuste e di aver centrato la questione mentre, nella realtà del mondo quotidiano, ho combinato un casino che la metà basta. Questo è il rischio, non si può avere tutto e, d’altra parte, questa volta mi pare di averla sfangata. Si vedrà.

Nel frattempo, il presepe di quest’anno è monumentale.

3 – Amici vicini.

Che io adoro, dei quali parlo e riparlo più che spesso. Devo supporre siano stati così gentili da entrare nel mio coma e sostenere la realtà parallela con affetto e fiducia illimitata. Ringrazio tutti, devo dire. Rassicura sapere che qualsiasi puttanata dico, mi credete, mia cara Alice&V**, mia cara R**, mio caro Fab2 e mia cara sorella adriatica. Abbiate la pazienza di darmi meno credito in futuro, bisogna pur tener conto delle salienti caratteristiche della mia personalità border line. Ma meno male che ci siete, sennò sarebbe una vita agra e sereticcia (=generalmente riferito al cibo, sta per stantia, secca N.d.T.), priva di sfumature e di fantasia.

4 – Amici lontani.

Il fab mi manca assaje assaje. Mi manca il suo sguardo impietoso, la sua cronica inabilità al gesto d’affetto limpido, la sua capacità di versarti addosso la verità delle cose con la rabbia dell’impotenza. Mi mancano le manone rassicuranti e il suo over-narcisismo che mi fa sentire a casa. Mi manca la sua tempistica, i suoi occhi preoccupati, il sorriso da gatto del Cheshire. Mi manca il suo sgamarmi, il mio sgamarlo. E le schermaglie dialettiche stremanti che perdo sempre (ché non c’è storia e chi lo conosce lo sa). Mi manca anche il suo digrignare i denti quando gli prendono i moti d’affetto e le domande inutili e inverosimili che tira fuori quando non ha voglia di parlare o quando vuole che TU dica qualcosa di preciso e insindacabilmente deciso da lui. Infine mi manca il suo cervello sguarrato (=aperto fino all’inverosimile, slabbrato, N.d.T.) e la sua presenza bionda.

Non te lo aspettavi eh?

Mostro.

Per quanto attiene a Biancaneve, resta inteso che la mia disponibilità è assolutamente invariata. Non sia mai detto che una gentillesbica come me venga meno ad eventuali, reconditi, sogni comatosi.

 

Aggiungo, infine, che ho declinato la richiesta di amicizia su facebook fattami dall’Amministratore Unico del centro per il quale lavoro, inviandoGli una mail che sì recitava (+ o -, mi so’ scordata):

Ciao °°°, niente di personale, ti assicuro, ma avere il mio capo tra gli amici di facebook mi fa un poco impressione e mi fa anche sentire un po’ limitata. Ti assicuro che non appena non sarai più il mio capo (cosa alquanto probabile, mi sembra), ti verrò a cercare.

Spero di non avergliela mandata proprio così, che mi pare una minaccia. Aspè che controllo. Ah no, ecco: “Quando non sarai più il mio capo (cosa che non mi pare improbabile), prometto che ti contatterò”. Era così. Suona meglio.

Settimana densa

Soundtrack: Minus 8 – Breathe

Sono stanca come una foca.

Mi ero disabituata a lavorare una settimana intera.

Ma lavorare è meglio che pensare, a volte.

Scrivo meno perché il gorgo di feisbùk è micidiale.

Su feisbùk ho trovato gente della quale non ricordavo il nome finché non l’ho letto.

Ora mi verrà anche la fissa dei sondaggini.

Cazzi vostri che tanto ve ne fottete e non votate.

Al lavoro succedono cose che voi umani non potete immaginare.

Mi sta venendo pure la paranoia che mi cacciano perché so’ lesbica. First in my life.

La gatta ha sempre fame.

Ma vederla socchiudere gli occhietti serpenteschi quando le gratto la gola è fantastico.

La nipote è il tulipano nero.

Ma sapere che sta bene mi fa star bene.

Il fabolous non scrive più e mi lacrima il pericardio.

Immagino sia perché ha da fare, ma anche no. La mancanza di informazioni crea mostri.

Vivo di fantasie prive di fondamento.

E meno male così mi annoio meno.

In realtà sto bene.

Certo ho una tosse da ottantenne che fuma toscani. Ma sono dettagli.

Vorrei uscire più spesso.

Ma sono stanca come una foca.

* Sospiro*

 

Piccolo Omaggio di un certo qual livello:

Parentesi lavorativa

Niente foto e niente soundtrack, perbacco, che sto nervosa.

Sono a casa con una serie di sintomi vaghi ed eventuali.

Più che altro arrabbiata. E mi rode di dover far partire la settimana con tale mole di incazzatura dopo un così bel week end.

Mi rode anche che il lavoro debba diventare una faccenda che incide sull’umore e sulla vita quotidiana fino a questo punto. Non dovrebbe essere così.

Per inciso è giunta comunicazione, sotto richiesta scritta sul blog della community del mio centro (ma parliamone, un centro di riabilitazione che ha una community on line? messa in piedi dal capo? che si occuperebbe di questo nella vita, se non gli fosse capitata una struttura convenzionata tra capo e collo un giorno di luglio del 2007) da parte mia, che verremo pagate nelle primE settimanE di ottobre.

Quali primE settimanE? tra 7 giorni? 14? 21? quando brutto stronzo incapace e fedigrafo?

Ho ricevuto l’ultimo stipendio e non tutto (solo il 40%, finito nel buco nero del conto) l’8 agosto. Siamo al 30 settembre.

Lo so, non ve ne fotte proprio, ma io ho bisogno di sfogarmi.

Quindi pazienza.

Io ho voglia di fare quelle cose alla napoletana, tipo inviargli un topo morto in una scatola, capire quale è la sua macchina e rigarla con un grattaparmigiano, sapere il suo indirizzo e spalmargli la porta di cacca di mucca, conoscere la sua fidanzata e farla diventare lesbica, riempire il suo caffé di guttalax come alle medie e poi rendere il cesso inagibile e inarrivabile, iniettargli testosterone nel cuoio capelluto e farlo diventare calvo (che ci ha il ciuffo emo, il malefico), introiettargli un virus nel computer fatto con nanocomponenti che escono dal mouse e lo aggrediscono riducendolo a brandelli radioattivi.

Non me ne vengono in mente altre, ma suggerimenti sono bene accetti.

Come ho già detto, difficile uscire da questo loop.

I’m sorry.

Energia sprecata 2

Soundtrack: Santogold L.E.S. Artistes

Ero lì, inginocchiata a terra con un pennello in mano a scrivere uno dei cartelloni di protesta da affiggere sul posto di lavoro.

Ero lì e le colleghe mi guardavano.

Ero lì e mi sono sentita un’idiota.

Mi sono accorta, definitivamente, che i diritti li pretendono solo quelli che hanno il pepe al culo. Chi ce lo ha apparato, il culo, non ritiene utile sforzarsi e/o pretendere il suo.

Ho capito che tanto più mi incazzo come un animale nello scoprire che vengo presa in giro, usata, manipolata, ridotta a pietire 10 euro per comprarmi le sigarette e il latte (nell’ordine) a chiunque mi passi davanti, tanto più sono un’imbecille.

Ad attaccare gli striscioni mi hanno aiutato i genitori dei cicci piccoli. Loro vogliono sapere cosa possono fare per aiutarci.

Domani mettiamo un contenitore trasparente in sala d’attesa con sopra scritto “ADOTTA UN TERAPISTA”.

Mi è sembrata una idea carina. Mia, ovviamente.

Sono incazzata e non vorrei esserlo. Mi pento e mi dolgo di essere una post-settantasettina, veterofemminista ed ex-comunista che non resiste al fascino della affermazione dei diritti.

E questo non è neanche vero.

Sono solo una impiegata incazzata come un varano perché non prende lo stipendio da due mesi.

Ovviamente, dopo una giornata così, basta una frase. Non per farmi saltare i nervi, ma per farmi partire un delirio consolatorio al profumo di banana senza precedenti.

Una frase che, al momento, mi scivola addosso senza significato, il momento dopo monta come un bidone di albumi in un furgone che corre su una strada sterrata.

E fantastico così forte da ritrovarmi contromano sulla Salaria.

– E se? e se? e se voleva dire altro? e se quell’altra cosa significava questo? e se? e se? –

E se anche fosse, mia cara Penelope, tu non sei una giocatrice di poker. Potresti restare seduta al tavolo verde con gli occhi puntati sul piatto ad aspettare che entri una regina nel tuo ventaglio senza mai, assolutamente mai, guardare negli occhi l’avversario per capire se ha intenzione di scartare il suo re o tentare una scala.

Nel frattempo passi il tempo ad inventare interpretazioni di parole e gesti che non significano altro che quella parola e quale gesto.

Ma se non fosse così?

Che meraviglia inventarselo.