
Domani parlerò al nostro idroamministratore.
Perché? e perché davanti ai genitori che lui sta per sfanculare?
Perché non posso fare a meno di alzarmi in piedi e dare voce a qualunque sussurro mi arrivi da qualunque fottutissimo lato.
Mi fa sentire viva, attiva e operante. Costi quel che costi.
Da quando ho avvertito che avrei parlato, ho tenuto lontani i pensieri e le parole per dirlo.
Perché non ho idea di cosa sto per fare.
In realtà mi sento più depressa che incazzata. Il mio è un colpo di reni. Mi è necessario incazzarmi. E’ per la mia sopravvivenza.
Fermo restando che il lavoro e lo stipendiuccio mi restano, per ora non li perdo e, che, ulteriore benefit, lavorerò dietro casa mia, è la mia psiche che va a puttane.
Sono arrivata a Monterotondo cinque anni fa, mollando la mia città dalla sera alla mattina.
Mi sono chiesta dove cazzo ero andata a finire.
Beghe interne da capate in bocca, odi sotterranei e sopraelevati, microgruppi in contrapposizione, senso del territorio da pastore maremmano, sguardi obliqui, zizzanie come piovesse, noia mortale.
Dopo due anni sono arrivate persone e cambiate persone ed è stato possibile muovere il pantano.
All together.
Lavoro da 25 anni e di posti ne ho visti molti (ho visto cose che voi umani…) e quello che si è creato in tre anni è il miglior ambiente di lavoro che io abbia mai vissuto. Il miglior gruppo di lavoro.
E abbiamo buttato il sangue per metterlo in piedi.
Le tirocinanti del corso di logopedia di Ariccia chiedono di venire da noi (ad Ariccia non si fanno solo porchette, ma anche logopediste), siamo conosciuti come un posto dove si lavora bene, si riabilita bene, si sta bene.
Fanculo.
E tu chiudi l’unica risorsa che hai. L’unico centro che ti funziona. L’unico gruppo di lavoro che non ti ha mai rotto i coglioni con le cazzate. Le questioni personali ed interne ce le siamo sempre risolte da soli.
Una sola cosa non ha mai funzionato, Tu e la Tua Fottuta Amministrazione.
Ma questo non lo posso dire.
Non posso dire che penso non sappia fare il suo lavoro, che toglierci dal territorio è una sconfitta e una mossa autolesionista, che dimostra di mancare di rispetto al lavoro che facciamo.
E sulla lettera che ha inviato alla regione, alla sPolverini, alla asl e a mammeta, ha pure sbagliato il numero di terapisti che lavorano qui ed è stato impreciso e generico nello spiegare che lavoro facciamo.
Umiliante.
Eppure maciniamo quasi la metà del suo fottutissimo fatturato.
E se guardo le cifre di sui si parla mi sale il sangue agli occhi.
Il budget di questa azienda è di 2 milioni di euro e spicci all’anno.
Fanculo ancora.
Su quel territorio non c’è niente. Niente che sia neanche lontanamente simile al lavoro che facciamo noi. Niente che funzioni altrettanto bene. E, per noi, funzionare vuol dire dimettere bambini o attivare reti sociali che gli parino il culo, ai bambini.
Bambini.
E mi verrebbe da dire, ancora una volta, agli abitanti di questo paese di merda, di guardarsi intorno e guardarsi anche le spalle. Se una potenza industrializzata non riesce a permettersi un servizio sanitario decente e inizia a limitare il libero accesso alle cure anche ai bambini: siamo fottuti.
Ma il nostro idroamministratore è come quella chiavica che ci governa. Né più né meno.
Arrivano tempi duri e, allora, per prima cosa si taglia quello che funziona. Per meglio giustificare il macello che verrà dopo, quando sarà rimasto solo fango da spingere nelle saittelle.
Oh, ma non è questo che dirò, almeno non credo.
Vorrei cercare di restare neutra e un filino oggettiva.
Che sarebbe a dire che esiste babbo natale e il PIL è in crescita.
Idealista del cazzo che sono.
Questo gli dirò. Che sono un’idealista e credo che anche un Donatore di Lavoro debba sentire la responsabilità dei suoi dipendenti, del servizio che offre e dei “clienti” che son creaturi e famiglie sbandate e confuse.
Che spazzare via una risorsa è da folli, perché io mi sento una risorsa, mi sento spazzata via e penso, incazzata come un varano, che lui sia folle.
Che i bambini non sono bulloni, sono bambini.
Che noi non siamo cinesi, siamo logopediste.
Che né noi né i genitori dei nostri ragazzini siamo deficienti abbastanza da perderci il nucleo della scelta che lui sta facendo.
Vorrei spiegargli cosa facciamo. Vorrei spiegargli chi sono questi ragazzini. Vorrei capisse cosa ci è voluto per arrivare ad essere quello che siamo.
Vorrei non chiudesse.
Non credo di convincerlo.
Non credo.
La foto che posto stasera è la sala d’attesa del Pronto Soccorso Oftalmico dell’Ospedale Pellegrini di Napoli.
Perché quello, quell’è.