I mostri, i cani, i gatti, il sonno

Il Mostro della mia pubertà ed adolescenza era il rimanere da sola in casa.

Ne ero terrorizzata fino allo sfinimento. Soprattutto in estate.

Inventavo ogni genere di implausibili scuse per scappare di casa, la notte e non restare sola, neanche per un’ora.

Una volta ho costretto il mio cane (Sara, un groenlander nano di rara saggezza) ad uscire dalla porta e scendere in paese per poterla inseguire e fingere di recuperarla.

Avevo bisogno di luci accese, radio accese e quando anche l’altoparlante della stazione di Mergellina smetteva di annunciare treni, mi saliva un’ansia dietro le sopracciglia che mi bloccava la mascella.

Intorno ai 25 anni (un tempo infinitamente lungo per decidermi) ho stabilito che questa cosa doveva finire. Sono andata alla casa estiva, a Positano, da sola, per una settimana.

O sopravvivo o muoio, non c’è terza via.

Un inferno.

I primi giorni non ho dormito o mi sono addormentata in terrazza. I rumori ovattati, gli strilli improvvisi dei motori, il vociare che di affievoliva fino a sparire. Il buio e la risacca, il silenzio e l’odore di sale e umidità.

Una notte di disperazione e terrore scesi in spiaggia.

I ristoranti chiusi, la gente a casa, il molo deserto, gli stabilimenti vuoti e un guardiano che mi caccia via. Non è stata una bella idea.

Per niente.

Mi sono seduta su quella bastardissima ghiaia spuntuta che componeva la spiaggia, mi sono appoggiata alla chiglia di una barca e ho iniziato, ovviamente, a piangere.

Piangevo quella sensazione disperante di essere l’unica sveglia al mondo, l’unica viva in un mondo morto, sola da ora e per sempre in una terra deserta. Piangevo la sconfitta che mi costringeva ad aspettare la luce dell’alba per sentirmi al sicuro. Piangevo il fallimento del mio tentativo di trasformarmi in una persona normale, che va a letto, spegne la luce e dorme. Insomma, mi piangevo addosso.

È arrivato un cane nero e grosso. Uno di quelli che crescevano in paese senza avere un vero padrone ma cane di tutti. Cane di paese.

Si è accucciato di fianco a me e mi ha fatto compagnia fino all’alba.

Abbiamo guardato insieme l’orizzonte cambiare colore, sentito quel momento di freddo freddissimo prima dell’arrivo del sole.

È andato via e io mi sono incamminata verso casa per andare a dormire, con la luce, finalmente.

Mi sono impegnata molto per andare oltre il terrore e l’angoscia. Davvero molto.

Mi addormento ancora con la tv accesa e raramente prima dell’una di notte.

E, comunque, ho un gatto. Da almeno trent’anni.

La notte

Soundtrack: Alanis Morissette Fear of bliss

Dormire con il tuo respiro è la mia droga.

Non posso farne a meno.

Ho le orecchie devastate dagli auricolari e divento sorda ogni giorno un po’ di più.

Me ne fotto.

Non posso farne a meno.

Mai stato facile addormentarmi per me. Da sempre.

No, da quando avevo 12 anni.

Per disperazione, dopo un anno passato con gli occhi spalancati fino all’alba, avevo messo su un rituale preciso e inderogabile.

Svegliare qualcuno in casa – non appena addormentati tutti -. Di preferenza la mia Signorina, la fantastica governante che ha regnato a casa mia per 30 anni.

Persiane alzate per vedere se, per caso, qualche finestra fosse illuminata negli altri palazzi.

Radio accesa, per avere la certezza che qualcuno fosse vivo in giro per il mondo.

Luce accesa, per non essere sorpresa dai mostri al buio.

Occhiali sul naso, sennò anche alla luce ogni oggetto della stanza poteva diventare un mostro. E poi non c’è niente di peggio, quando si ha paura, che non poter mettere a fuoco i dettagli.

Spalle al muro. Coperta sull’orecchio. Attesa del crollo definitivo.

Avrò dormito così quasi 10 anni.

E’ per questo che i rituali dei bambini li capisco bene.

Mi verrebbe da prendergli l’anima tra le mani per spiegare che i mostri non sono fuori mai. Non sono sotto al letto né fuori dalla finestra, né nascosti nel buio.

Stanno dentro e c’é da guardarseli un po’.

C’è da capire che se stanno dentro sono tuoi e, in qualche modo, fanno parte di te.

C’è da capire che stanno lì perché hanno paura quanto tu hai paura e che si nascondono quanto tu ti nascondi.

Bisognerebbe guardarli quando dormono, i propri mostri.

Son mostri con la faccia da bambini ed il corpo da adulti. Mostri che sognano il loro peggio e quando si svegliano dall’incubo non trovano nessuno che gli accarezzi i capelli e sussurri che tutto va bene, che era solo un brutto sogno.

I mostri che abitano l’anima dei bambini, e a volte anche dei grandi, sono cicci piccoli soli e senza calore.

Se gli insegni che non sono soli e che il calore, da qualche parte, c’è sempre, si sciolgono senza lacrime e si liberano di loro stessi.

E diventano alleati, qualche volta, perché aver paura di qualcosa è necessario, è vitale, è sano.

I miei mostri, ormai, hanno capelli bianchi e facce stanche, non si può fare i mostri tutta la vita.

Ci parlo, a volte, ci aiutamo a capire dove siamo e dove stiamo andando, ci facciamo compagnia e ci scambiamo carezze per nutrire la parte migliore.

E sono sempre gli stessi, non cambiano mai.

Quelle paure, quelle insicurezze, quelle contraddizioni, quel peggio di sé.

Ora come allora. Quello che cambia è la tenerezza che mi fanno. Che mi faccio.

Di sicuro il tuo respiro aiuta i miei mostri ad addormentarsi, la notte.

Dovessi diventare sorda, sono sicura che troveresti un altro modo, Biancaneve.