Napoli Pride 2010

Di corsa che sono al lavoro.

Una festa oltre che meravigliosa.

“Giuvinò, che rè stu burdell'” – “Niente signò, è ‘o sciopero re ricchiun'”

Bibbitaro al seguito del pride: “Lesbicaaaaaa, ‘a vuo’ ll’acqua?”

Tassista: “Agg’ accupagnat’ un arcigay all’albergo Vesuvio, marò, signurì, v’immaggginate ‘o burdell che possono fare stanotte tutti questi arcigay?”

A me, ovviamente, ne capita una diversa, al cesso del Mc Donald, una signora mi si rivolge: “Marò, at’ visto ‘o gay Pride?”, io: “Sì, signora, l’ho visto” lei: “Che schif”, io: “signora io vengo dal corteo”, lei: “ma chill stann tutti co’ cul a for…”.

Santa quella pazienza.

Un sabato veramente divertente e colorato.

Niente locale la sera; mi parte una lesione della cornea: occhio blu e rosso, dolore da non poter dormire, sosta al pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini domenica mattina. Non è un ospedale quello, è un cesso del Bangla Desh, con tutto il rispetto per il Bangla Desh che, magari, ha ospedali migliori dei nostri.

Cazzo, ci tenevo ad andare a ballare.

Le amiche. Molte non sono riuscita neanche a vederle tale il casino del corteo. Ma le importanti c’erano.

Trans pochi, con mio grande piacere,  non è politically correct, lo so, ma è l’unico modo per evitare che sui giornali o in tv vadano immagini solo di piume e tacchi a spillo. Almeno si poteva vedere che la gente, al corteo, è gente qualunque. Una questione non da poco e difficile da risolvere.

Napoli è una città assurda, l’ignoranza è tale che non arrivano manco gli stereotipi, si disperdono pure quelli nella incapacità di analisi dell’informazione. A volte è una fortuna.

Anziani e anzianissimi che ballano alle finestre. Belli da guardare.

Noi napoletani siamo un popolo, non siamo abitanti generici di una città. Un popolo. Nel bene e nel male.

Giornata bonaria, sole e venticello che non ti uccide.

Percorso lunghissimo e massacrante.

Bella l’idea dei cartelli di Amnesty International. Bravi.

Perché alla fine al questione è quella: diritti civili negati.

Gira che ti rigira e lì si torna.

E non si riparte.

 

Andatevi a cercare foto e filmati, ne vale la pena.

 

 

Etero e Lesbiche III (donne vs donne)

Soundtrack:

Eccoci qua.

Non ho neanche comprato il decoder, tanto sono attaccata ai giochini fb tutte le sere, sarebbe una spesa inutile e poi così posso dire che faccio bene a non pagare il canone.

Dunque.

Questa faccenda mi frulla in testa da un mesetto. Vediamo che cosa ne esce, ma non aspettatevi granché, ho ancora punti da esplorare.

Le lesbiche dicono delle etero:

  • che sono fondamentalmente zoccole;
  • che non riescono a fare a meno di troieggiare;
  • che pensano che nessuno possa resister loro:
  • che non sanno interagire sereneamente con le lesbiche, dato che pensano sempre e comunque che le lesbiche ci vogliano provare con loro;
  • che restano etero anche quando scopano con una donna.

 

Le etero dicono delle lesbiche:

  • che sono donne aggressive;
  • che hanno personalità prepotenti;
  • che sono manipolatrici;
  • che non sono femminili;
  • che sono drammatiche.

A me viene il dubbio, e non è manco tanto dubbio, che ognuna accusi l’altra della caratteristica che più le appartiene e, tutte insieme, si tirano addosso il peggio degli stereotipi sulla femminilità. In fondo, delle donne, si dice che sono zoccole e manipolatrici, drammatiche e gatte morte. Se ne cade la letteratura, dalla bibbia in poi, di questo.

Siete mai stati in un locale a prevalenza lesbica?

Dovreste.

E’ una lezione di vita.

Di solito, il locale lesbico, è un trioiaio senza precedenti. Si puttaneggia a destra e a manca, ci si prova con le fidanzate altrui, ci si ammocca (=pomicia, N.d.T.) in ogni angolo e si tromba sul lavabo. Bariste, buttafuori e dj comprese. E manco si fa tanta selezione.

Per quanto riguarda le etero, mi è venuto in mente un pezzo del film che ho postato (dal minuto 5). Del resto, ora che ci penso, conosco parecchie donne che iniziano una relazione con un uomo pensando: “io lo cambierò”.

Noi lesbiche siamo libere di manifestare, festeggiare, reiterare e regalare la nostra femminile quota di “seduttiva leggerezza” altresì denominata: trioiaggine, senza dovere temere o contenere. Una gran fortuna (non ben utilizzata, ma pur sempre una gran fortuna) e, in qualche modo, lo dobbiamo ritenere il nostro peggior difetto. Tanto da finire per assegnarlo alla categoria avversa, le etero.

Le etero sono abituate ad esercitare la sottile arte della manipolazione nei confronti degli uomini che vivono e frequentano (fondamentalmente ritenuti “fessi”), antica arte nata, credo, per ovviare alla differenza di prestanza fisica e alla conseguente impossibilità di imporre scelte con l’uso della forza bruta, Anche loro, evidentemente, se lo sentiranno come una cosa di quelle che “pare brutto”. E così diventa l’insulto per la parte oscura, le lesbiche.

Questa è, ovviamente, la fiera del pregiudizio. L’apoteosi dello sterotipo.

Mi rendo conto di aver ampiamente contribuito. Bisogna trovarvicivicisi nelle situazioni per vederne i limiti e le storture. Almeno io, mi ci devo trovare.

E la questione donne vs donne è vecchia come il cippo a Forcella, si ripete in ogni era ed epoca, come se nulla cambiasse mai.

Eppure molte di noi lesbiche dimostrano concetti validi e belli (anche se in questo momento non me ne viene in mente neanche uno). Quantomeno che una donna può essere indipendente e affettivamente autonoma o “diversamente femminile” senza che caschi il mondo.

E le etero stanno lì a dimostrare che è sulle donne che si regge il mondo.

Ah, ecco, è questo.

Qualche giorno fa Alice mi ha detto: “fra te e Biancaneve la più forte è sicuramente lei”.

Già. E’ così.

E cosa c’entra questo?

Per il prossimo capitolo: Coppie Lesbiche e standard imprescindibili.

La definizione di una lesbica.

strakerfoster

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Soundtrack: Terra Naomi Up here

Prima dei 12 anni ricordo poco e male. Succedevano cose, mi attaccavo a persone ma non avevo idea di cosa fosse se non, a tratti e da un certo punto in poi, la sensazione di avere un disperato bisogno di interagire con le donne. Pensavo fosse una questione di orfanitudine.

A 12 anni ho dovuto scegliere. Fuori dal cortile della mia scuola media, guardavo delle figurine. Allarme rosso attacco alla terra. Tutte le mia compagne avevano una passione per uno dei due protagonisti: Straker (il biondo) o Foster (il moretto).

Non me ne poteva fregà de meno. Ma decisi che dovevo farmene piacere uno, non era normale che non mi interessassero.

Non ricordo chi ho scelto, ma ho attaccato la sua figurina sul diario. Ecco qua, così va tutto bene.

Lo avevo dentro, il senso di anormalità e diversità, lo avevo dentro così forte e così netto che ci ho fatto la guerra per vent’anni.

Uomini tanti, che non si dicesse che non ero interessata all’articolo. Tutti quelli che volevano me. Ché io non volevo nessuno.

I primi brividi ghiacciati veri a 17 anni. Insieme alle droghe, al sesso e all’alcool, anche le donne. Tante. Adulte e ragazze. Belle. Guardare e non toccare e cerca di non farti sgamare. Magari solo un po’.

Avevo un fratellastro che si presentava a casa periodicamente fidanzato con dei pezzi di figliuola da svenimento. Soffrivo e sbavavo. Poi uscivo. E scopavo, Con uomini. Perché non sia mai detto che…

Ma il mio fidanzato di allora (un biondino adorabile col mio stesso nome, amato da amici e parenti) se ne accorse. E si incazzò. E io non sapevo cosa dirgli. Volevo morire se possibile. In alternativa sprofondare. Eventualmente svaporare.

Ma io ancora non volevo dirmelo. A nessun costo. Non quella parola. Non una cosa tanto strana e anormale. Non una malattia come quella. Poco importa se sospetto che la maggior parte dei miei amici sia come me. Poco importa perché non si fa. Non si deve. Non si può.

Eppure non vengo da una famiglia cattolica, nè una famiglia moralista (no, moralista proprio no), non ho avuto un’educazione improntata alla morale comune, non ce lo potevamo permettere.

Ma mio padre ci teneva alla figlia femminuccia, la voleva la biondina magrolina educatina e ben vestita. Anche se mi lasciava guidare la barca, la macchina, se mi chiedeva di risolvere i problemi pratici e meccanici. E la moglie aveva un intercalare fisso “due categorie di femmine mi fanno schifo: le ragazzine incinta e le lesbiche”.

Inutile dire che sono stata entrambe.

Arrivata a vent’anni la guerra era del tutto consapevole. L’avevo in fronte e tra le mani. Non ne uscivo. Dagli amori folli e forsennati. Dalle figure di merda. Dalla morbosità irrefrenabile, dal bisogno costante di frequentare, vivere e sentire le donne e la loro voce.

Bastava pochissimo per farmi innamorare perdutamente e farmi passare notti su notti sudando e piangendo.

Sudando d’amore  e piangendo di paura.

Terrore.

A chi lo dico? si guarisce? è normale? mi schiferanno tutti. Nessuno vorrà avere a che fare con me. Mi cacceranno di casa. Non lo posso dire. Non lo posso fare.

Picchi di delirio intervallati da sospiri e sogni di possesso.

Talmente tanto e talmente forte che in analisi ci sono dovuta andare per forza. Ma questo è successo dopo.

Nemmeno con il fab riuscivo a condividere “questa cosa”. Nemmeno con lui, che pure ha regalato due anni di pace ad un cranio frullato e shakerato.

Ma dopo di lui le dighe si sono aperte. Non c’era modo per fermare pensieri e necessità. Non c’era modo di fare finta, non c’era modo di coprire le tracce, non c’era modo più di restare nel mondo dei normali.

Dio la paura che avevo. Non so neanche più di cosa. E’ talmente difficile ricordarlo ora, che mi sembra non sia mai accaduto.

Invece ci vivevo immersa dentro e senza riuscire a respirare. Fino a sviluppare ogni possibile sintomo visibile o invisibile. Fino alle allucinazioni (che l’abuso di droghe e alcool sostenevano ‘na favola).

I primi due anni, al corso di logopedia, credevo sarei impazzita.

Solo donne. Mi sono innamorata di tutte loro. Una dopo l’altra. Perdutamente. Inutilmente.

Ho “confessato” il mio amore assoluto praticamente ad ognuna di loro. Sono ben felice di avere dimenticato quasi del tutto le conseguenze delle mie dichiarazioni. Quasi, non del tutto. Ero pressante, maniacale, testarda e ottusa. Vedevo segni dove non ce n’erano (questo mi ricorda qualcosa di fin troppo recente) e mi incaponivo fino a farmi sanguinare cuore e cervello.

Poi una  di loro si è innamorata di me.

Uh? ma davvero? quindi non è una cosa che si svolge solo su me e intorno a me e per me. Succede a qualcuna che non sia io. Succede e adesso che si fa?

Ci si mette in piedi una relazione folle durata 6 anni credo, in un delirio di simbiosi, tradimenti con uomini e donne, maniacalità patologiche. Non importa se mi piace o non mi piace o quanto mi piace o quanto ci voglio stare. Diventerà acqua e pane, ossigeno e cemento, benzina e riposo. Diventerà tutta la mia vita.

E l’analisi. Per guarire da me. Per guarire da lei.

Freudiana. Trisettimanale. 6 anni interrotti all’inizio da una disperata fuga a Washington.

Ma non bastava l’oceano. Ero con me lì. a Bethesda. Niente era diverso e il dolore era devastante.

20 chili di burro di arachidi e maionese all’aroma di cipolla in 6 mesi. Su tutto il corpo, anche sulle orecchie credo.

La parola “Lesbica” non mi esce di bocca neanche sotto tortura. “Omosessuale” è un suono indistinto pronunciato a labbra strette. Non sono io. Non si parla di me. Per me è diverso cazzo.

E’ che ho bisogno di riferimenti femminili, io. Poi passa, appena cresco. Non sarà così per sempre.

Non mi accorgo che nessuno dei miei amici o dei miei parenti si sogna neanche lontanamente di schifarmi. Non conta. Mi schifo io.

SI torna in analisi. Si cresce. Si impara. Ma ancora non basta.

Intorno ai 30 anni il fab mi porta a conoscere il mondo gay partenopeo.

Esiste? esistono luoghi dove si riuniscono persone come me? come te? come noi che non sappiamo neanche dire cosa siamo?

Fino ad allora le mie storie le avevo avute, tutte intorno allo stesso filo. La base dei quattro cantoni, appunto.

Comincia la mia gaia vita e finisce l’analisi. Spariscono persone che, incolpevoli, mi avevano aiutato a massacrarmi l’esistenza. Diminuiscono le domande imbarazzanti (quando ti sposi? ma con chi stai?) e io imparo a mentire fin troppo. L’inutile schermo. La fatica della bugia non richiesta. Il bisogno di sentirmi dire “sarà che non ho ancora trovato quello giusto”. Continuare a trovare scuse e montare cosmiche puttanate a mio padre che diceva “porta anche lei”.

Omygod quanta energia sprecata. Quanto dolore inutile e improduttivo, quanta sofferenza autoprocurata nel nome di niente.

Ma non se ne può fare a meno, pare.

La bocca mi si comincia a sciogliere dopo i 30 anni. Amici gay, vita gay e famiglia lontana lentamente decimata.

Più nessuno da turlupinare.

E un amore grande, sereno, profondo, reale e pieno di sole. La sua famiglia compresa.

Se ne può cominciare a parlare.

Lentamente i ghiacci si sciolgono, gli anni passano e le cose scorrono, sempre più libere e serene.

A prescindere.

La mia famiglia se ne fotte allegramente, avrei potuto essere un tapiro, mi tollererebbero lo stesso.

Mia sorella Albus Silente sempre e comunque al fianco.

Mia nipote che si gioca la carta della zia lesbica con le amiche e fa la figa.

Mio padre che parlando con la mia ex e la prendeva in giro perché usava la pillola.

Mia zia che, al suo settantesimo compleanno, mi presenta a parenti centenari mai visti prima dicendo: “Questa è Penelope e questa è la sua compagnA!” (naturalmente mi sono nascosta in bagno per 20 minuti, poi mi sono resa conto che poco prima era entrato mio padre con la terza moglie, mia coetanea, e ho deciso che non era il caso di formalizzarsi).

Gli amici ricchioni e quelli no, che è lo stesso le amiche lesbiche e quelle etero, che non c’è gran differenza.

Le/i colleghe/i con le/i quali condividere e giocare.

Le battute, la solidarietà, l’affetto, il sostegno, le lezioni di sesso e lesbicitudine, le confidenze, l’ascolto, il cambiamento delle persone. Il mio cambiamento.

Il mio blog.

La mia vita.

La vita di una lesbica qualsiasi. Di una persona qualsiasi.

Quanto cazzo c’è voluto per arrivare a questo e quanto cazzo non ce ne era bisogno.

I tests

Disorder Rating
Paranoid Personality Disorder: Low
Schizoid Personality Disorder: Low
Schizotypal Personality Disorder: Moderate
Antisocial Personality Disorder: Low
Borderline Personality Disorder: Low
Histrionic Personality Disorder: High
Narcissistic Personality Disorder: High
Avoidant Personality Disorder: Low
Dependent Personality Disorder: Moderate
Obsessive-Compulsive Disorder: Low

Take the Personality Disorder Test
Personality Disorder Info
What mental disorder do you have?

Your Result: ADD (Attention Deficit Disorder)
 

You have a very hard time focusing, and you find it difficult to stay on task without your mind wandering. You probably zone in and out of conversations and tend to miss out on directions because you cannot focus

Manic Depressive
 
GAD (Generalized Anxiety Disorder)
 
Paranoia
 
OCD (Obsessive Compulsive Disorder)
 
What mental disorder do you have?
Quiz Created on GoToQuiz
“You are 36% Narcissistic”
 

You have some symptoms of narcissism. You tend to take advantage of others and exaggerate achievements in order to get the praise and attention you rightly deserve.

Are you Narcissistic?
Take More Quizzes

 

Per colpa di Shuly, sono entrata nel gorgo dei test psicologici on-line. Sarà anche stata la cena thai.

Volevo dire che questo, per me, è un periodo delirante, bipolare, stravagante e ambiguante.

E infatti non scrivo per voi, o lettori di Penelopebasta, ma per me. E si vede.

Certo il mio disturbo narcisistico ne risente, c’è da dire.

Ma mi necessita, quindi fottetevi. Prima o poi passerà.

Stasera, durante l’attesa al thai per portarmi le mie belle mono-porzioncine a casa, ho incontrato una lesbica.

Per la terza volta e, per la terza volta, ci siamo scambiate uno sguardo feroce. Più lei che io. In fondo sono banana e non reggo più di 16 nanosecondi lo sguardo altrui.

Perché?

Perché c’è sempre un che di sfidoso e ferocioso?

Uh, che domanda del cazzo.

In realtà volevo scrivere tutt’altro post. Ma poi il coraggio mi è mancato.

Buonanotte, silenti.

Adult Toys & Peoples

Soundtrack: Emma Lanford – Pornorama

Come sapete mi vergogno sempre un po’ di parlare widely di faccende sesso-inerenti.

Quindi sarò cauta, piena di eufemismi e secondo me pure imprecisa, non potrò certo tenere il passo con Collezionediuomini o il Sarcotrafficante, epilati linguali frequentatori di penelopebasta.

Gli Adult Toys o Sex Toys sono attrezzi sessuali per adulti (e ci mancherebbe…) di ogni genere, forma e funzione, adattabili ad ogni necessità più o meno immaginabile.

Ma non è questo che mi interessa.

Sono questione di discussione da sempre.

C’è sempre qualcuno che dice: “Io? nooooo, mai!”

Mai è una parola inutile. E se poi qualcuno/a te lo fa provare e ti piace? e se poi te lo regalano a natale in carta dorata e fiocco rosso?

Ma neanche questo mi interessa. La gente dice “MAI” su cose ben più sostanziali di questa. 

Miii, coma la sto prendendo larga. Quindi mi atterrò al cosiddetto “schema descrittivo” che insegno ai cicci piccoli per facilitargli la vita.

1 – CHE COS’E’?

Non è uno, ne sono moltissimi. Sono oggetti. Sono sconosciuti ai più, creativi come nulla altro, maneggevoli, di supporto per coppie più o meno amalgamate e grandi amici di buona parte del mondo lesbico (chi lo nega è vergine). Spesso dotati di vita propria, in altre occasioni adattabili al corpo umano. Si possono utilizzare con una o due mani, con il telecomando, con un laccio (Strap-on) applicabile in vita, alle cosce, alle braccia, al mento (eh eh, questo secondo me non lo avete mai visto, andatevelo a cercare) uso protesi, possono essere mangiati, possono essere applicati sul corpo altrui al fine di tener finalmente fermo il/lo/la/i/gli/le partners e farlo/a/i/e stare cionco/a/hi/he e zitto/a/i/e (che a volte è meglio). Alcuni di essi sarebbe meglio usarli al buio, che a vedere il partner in tal guisa può far scattare crisi di risate incontenibili, altri sono esteticamente s-p-l-e-n-d-i-d-i, da poggiare in bella vista sul buffet del soggiorno. Le lesbiche finiscono sempre per comprarne uno. Le scene al sex-shop sono standard (guardo-non guardo, rido-non rido, indico-non indico, avrei domande da fare ma mi metto scuorno, parla tu-no parla tu). Poi si sostiene che è per divertimento, un paio di volte e poi basta, massai se volevo un pene mi fidanzavo con un uomo… Il problema è quando si lasciano, diventa necessario un avvocato per stabilire l’affidamento dello strap-on. Alcune arrivano ad accordarsi per due week end al mese e una vacanza per una. 

2 – COM’E’?

Oggetti sessuali riproducenti organi sessuali maschili e femminili nelle loro forme più semplici (roba standard da uso quotidiano), ma anche a guisa di oggetti che mai mente umana poco avvezza alla ricreazione sessuale. riuscirebbe a concepire se non con un po’ d’aiuto da parte di amiche scafate. Le dimensioni variano in modo impressionante. Ce ne sono di minuscoli da applicare sotto gli indumenti e utilizzare con il telecomando wireless (“Presto, autista, la signora si sente male!” “non si preoccupi, è un orgasmo, mi è partito il tasto on della butterfly nella calca”) e ce ne sono per gay irrefrenabili (mutanda con fallo anale incorporato all’interno). Palline, paperelle, coniglietti, monaci zen, penne, orsetti, pinguini, girasoli, delfini. Uno di tutto. Studiati per punti G e punti R, in grado di raggiungere punti degli organi interni che manco sapete che esistono (gli organi interni). Trasparente o color pelle (etnicamente parlando), matto o lucido, dal giallo al nero coloratissimi. In Asia riprodurre gli organi genitali è/era reato, così sono stati loro a inventare tutte le forme alternative a quella anatomica in commercio. Anche in questo caso, il proibizionismo supporta lo sviluppo tecnologico.

3 – Di COSA E’ FATTO?

Plastica, latex, plexiglass, vetro (quello pyrex, giuro), gel, cuoio, acciao, silicone, fintapelle (spero). Le lesbiche non vogliono sapere di cosa è fatto. Chissenefrega, abbasta che funziona. 

4 – A COSA SERVE?

Secondo il Fabolous, serve a provare che il mondo ruota intorno al pene (quello è assai cazzocentrico, il fab) e, che, fondamentalmente le lesbiche lo usano perché, sennò: “Che cazzo fanno?”. Non per niente si chiamano giochi. Credo serva a divertirsi, a giocare e fare cose nuove. Sono oggetti necessari per allontanare lo spettro della LBD (lesbian Bed Death) e per creare piacevoli diversivi a letto (“sì ma alla prossima lo uso io”, “No tu no”, “Sì dai”, “Aspetta, un altro giro e te lo do” Io! Io!”, “don’t bogart that strap-on my friend”).

5 – CHI LO USA?

Chi mente e sostiene di non usarlo, di solito.

6 – DOVE SI TROVA?/DOVE SI COMPRA?

Il problema vero, non è comprarlo, che qualcuno che non si vergogna ed entra nel sex-shop lo si trova sempre, ma ritrovarlo dopo averlo nascosto. Non so per gli etero, ma nelle case delle lesbiche c’è sempre una madre che rovista i cassetti, un’amica ospite per un mese e mezzo, un nipotino di 4 anni e così via. Dopo i primi tempi di uso reiterato e ossessivo, come sempre nelle grandi passioni, bisogna pur nasconderlo da qualche parte. Dove? Nel marsupio all’interno della valigia dentro la cesta sul soppalco, nella scatola delle scarpe dentro alla sacca da tennis chiusa nel box ikea sull’armadio, nella scatola degli attrezzi (ogni lesbica ne ha una capiente) avvolto nella carta di giornale dentro all’armadietto dei medicinali sotto al lavello.

“Tesò ‘ndo cazzo sta?”.

“Dove lo hai lasciato l’ultima volta”

 

 

Lesbiche_Banana

Soundtrack: Gabriella Cilmi Sweet about me

Le Lesbiche_Banana sono una categoria trasversale. Se ne possono trovare elementi in ogni specifica classe di lesbiche conosciute. Le manifestazioni tipiche della Lesbica_Banana prescindono da censo, livello culturale ed educazione. Non sono riconoscibili al tatto, a naso o a vista, spesso sono tranquille lesbiche senza particolari orpelli o grilli per la testa.

Ad un più attento esame si potrebbe affermare che, coloro che sono consapevoli del proprio livello di bananaggine, tendono a tenersi ai margini delle situazioni, defilate e mimetizzate. Esse, infatti, sanno di cosa sono capaci e preferiscono tenersi fuori dai guai.

La L_B, pur dimostrando, in vari settori teorici e pratici dell’esistenza, la presenza di un barlume di intelligenza, è in grado di disfarsene in un nano secondo di fronte ad alcune situazioni più o meno tipiche.

La manifestazione più eclatante di Bananite la possiamo osservare quando una L_B è in presenza di altre lesbiche.

Potrete notare che ascolta con attenzione ed interesse, tende a donare credibilità all’interlocutrice, si fida e, in qualche caso particolarmente grave, è in grado di modificare la propria opinione in base alle puttanate insulse espresse da chiunque.

Non che non abbia una propria personalità, la Lesbica_Banana, lei cerca semplicemente di considerare gli altri degni di ascolto e considerazione, ma dimentica patologicamente che le chiacchiere delle lesbiche sono, generalmente, prive di: fondamento, motivazione, sostanza, spesso intelligenza. Insomma la nostra L_B si illude sempre e comunque di avere di fronte persone dotate di neuroni funzionanti e non ciò che, in realtà è noto a chiunque: tra le orecchie della maggior parte delle lesbiche, infatti, c’è il nulla (peloso, ma pur sempre nulla).

Oltre a questa caratteristica che, in verità, rende difficile la vita solo all’oggetto della nostra disamina, ne troviamo un’altra che, volendo, è anche peggiore.

Se la L_B si trova in un contesto pubblico, in compagnia delle sue sorelle di lesbicanza e ben protetta da sponde e spalle, sa comportarsi in modo brillante, sagace, ironico e cinico.

Se puta caso si trova da sola e viene interloquita da un’altro essere di specie femminile che possa superare la soglia della guardabilità anche di un solo punto percentuale, la Lesbica_Banana si produce in una serie di comportamenti da film comico degli anni 50.

Ella balbetta, arrossisce, fornisce risposte senza alcun senso, giustifica verbalmente la sua esistenza e, in qualche caso, si stampa in faccia un sorriso ebetoide che farebbe fuggire anche una ninfomane.

La Lesbica_Banana, se non viene incatastata (=sbattuta, N.d.T.) in faccia a un muro,  non sarebbe in grado di trovarsi una sola fidanzata per tutta la vita.

Perché, la fragile creatura, crede un no sia un no e un sì un sì, dimenticando la natura intrinseca femminile che prevede una interpretazione fantasiosa (il “forse” è il sottotesto in entrambi i casi). Se un’altra donna la ignora, lei crede di non interessarla, non che si tratti di una strategia bellica. Se un’altra donna le dice NO, lei si ritira nell’angoletto (sebbene incazzata come un armadillo) e non baderà più ai segnali che l’altra, ovviamente, le manderà ad ogni piè sospinto. Se un’altra lesbica la guarda con interesse, infine, ella crederà di avere macchie sul vestito, capelli malamente scompigliati o un ictus in itinere che le deforma il viso in una maschera orrorifica.

A questo proposito si possono citare casi emblematici di approccio tentato e di risposta di Lesbica_Banana.

Donna che guarda con insistente interesse tra la folla: alla L_B iniziano sintomi come sudorazione delle mani, secchezza delle fauci, tremore alle estremità, tachicardia e appannamento della vista. Così fuggirà in preda al terrore e, quando il giorno dopo cercherà di nuovo quella donna, non la troverà più perché è partita per l’Australia.

Donna stesa sul letto che finge di dormire al primo appuntamento: la L_B cambierà stanza per non disturbare;

Donna che si avvicina per approccio standard: la L_B risponderà balbettando arrossendo: “Nnno è cheeee, mi dddispiac’ nonnonnnn lllo so, cosa?” (la domanda era “mi fai accendere?”), oppure “No” con acidità e sopracciglia contratte (la domanda era “di dove sei?”);

Donna che l’abbraccia con trasporto: risponderà all’abbraccio irrigidendosi e dispensando virili ed amichevoli pacche sulle spalle.

Mille altri esempi potrebbero essere riportati in questa sede.

La Lesbica_Banana è, in fondo, una romantica sognatrice, timida e fiduciosa, una infanta della lesbicaggine. Ed a nulla valgono gli anni di militanza, i calci in culo e e le numeroserrime sole.

Niente da fare, non capisce.

 

 

Siamo fottute

Soundtrack: Vedi video

Dunque ieri autostrada sotto al diluvio universale senza l’unico equipaggiamento necessario: il sonar. Mangiatoria clamorosa in quel di Caianello (agriturismo di un amico) con I**.

Stamane Garbage City, recupero Miss I e C** all’aeroporto, vado a trovare il pater, poi dal dentista, poi a fare il pieno di calore ed affetto al Centro dove lavoravo.

Ho attraversato la città da est a ovest, da ovest a sud, da sud a nord.

Maledico il berlusca ininterrottamente. Il bastardo non ha fatto altro che il gioco delle tre carte. La munnezza è dappertutto. DAPPERTUTTO. Tranne che nei quartieri perbenini. Ma comunque il livello di sporcizia della città è da terzo mondo. Cerco anche di far capire a chi ci vive che non è una città normale, che niente ha un senso, una direzione, una traccia di amorevolezza. Niente. Non riesco nemmeno a farmi capire.

E mi si propone di tornarci.

“Tornare” non è la stessa cosa di “andare”. Basta questo.

Il pater è moscio, il dentista mi ha finalmente limato il dente gigante e le collegucce del Centro sono delle delizie al cioccolato che ti lasciano addosso tracce di zucchero e crema chantilly.

La mattina l’aereo delle roditrici dotate di appendici ossee frontali (zoccole cornute) era in ritardo e mi ritrovo, alle 9 e mezza di mattina, a guardare la TV. Metto MTV. Di seguito becco il video di Feist e feisteggio come una groupie col parkinson, poi quello di Fabri Fibra con la Nannini e penso che il pezzo è proprio interessante e notevole. Ma lui nun se po’ verè. La Nannini è in gran spolvero lesbico con giacchetta di pelle, collare al collo e capello sparato. Evito di soffermarmi a discutere con me stessa sulla questione del mancato coming out (che è diverso da outing, spiegheremo) dell’unica musicista lesbica famosa in questo paese bacchettone e vomitevole. E’ troppo poco che sono sveglia per tirarmi una questione con la mia parte aspirante-militante.

Subito dopo un video che mi porta, inesorabilmente, a far staccare la mascella dalla faccia. A bocca aperta e without words. Non lo so come si chiama questa cessa (scopro che si chiama Katy Perry), il pezzo si chiama “I Kissed a girl”.

Vedetevelo un attimo. Io cerco anche le parole. Casomai qualcosa.

This was never the way I planned/ Not my intention/I got so brave, drink in hand/Lost my discretion/ It’s not what, I’m used to/Just wanna try you on/I’m curious for you/Caught my attention

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

No, I don’t even know your name/It doesn’t matter/You’re my experimental game/ Just human nature/
It’s not what, good girls do/ Not how they should behave/ My head gets so confused/ Hard to obey

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

Us girls we are so magical/ Soft skin, red lips, so kissable/ Hard to resist so touchable/ Too good to deny it/ Ain’t no big deal, it’s innocent

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

Rendiamoci conto che siamo fottute. Fottutissime. Circola una canzoncina adolescenziale da tormentone estivo che si esprime in questo, specifico modo: ho baciato una ragazza e mi è piaciuto il sapore del suo chap stick, ho baciato una ragazza giusto per provare, spero che il mio ragazzo non si arrabbi…

Saranno almeno 50 anni che si combatte qui in lesbolandia per non finire nel buco nero delle fantasie erotiche maschili. 50 ANNI.

Potreste pensare che il mio sia un discorso isterica da lesbica/militante/veterofemminista/vintage ed avreste ragione, ma anche no.

In fondo è una canzoncina del cazzo, che vuoi che sia? ma anche no.

In realtà significa che la questione è definitiva.

Non siamo un genere, non siamo una categoria caratterizzata da una tendenza sessuale specifica, non siamo donne che non necessitano di interagire con il genere maschile per sessualità e riproduzione.

No, siamo una moda adolescenziale.

Si porta fare la lesbica.

A beneficio maschile.

Fottute. Non esistiamo più.

P.S. To whom it may concern:

Maybe I need to stay alive, first. Maybe I won’t forgive the unforgiveness. Maybe it is hard. Maybe u’re not the kind of person I can walk with, in any way. Maybe I’m not ready enough to jump over. Just wait.

Male-minded Lesbians

Soundtrack: Peaches Boy wanna be her

Esiste una categoria lesbica del tutto trasversale, che potremmo definire le Male-Minded Lesbians, ovvero le lesbiche che ragionano come gli uomini.

E, devo dire, ci sono prove a supporto della mia teoria, le trovate qui.

Codesta tipologia è quella che ritiene che le “donne” siano una sottospecie animale caratterizzata da due soli elementi: scopabilità e stupidità.

Non è contemplata la possibilità che le donne siano portatrici di elementi specificatamente umani quali: sensibilità, emotività, sentimento, dignità, orgoglio e altre cosette del genere.

La frase che si sente più spesso pronunciare dalle MML è: “Marò, ‘sti femmene ragggionano tutte taleequale, quando te la vogliono dare te la fanno sudare e poi rompono pure ‘o cazz.”.

Perché loro sono, naturalmente, esenti dalla bassezza della mentalità femminile, loro sono libere, tranquille, sessualmente evolute e illuminate.

Sono talmente esenti, da non considerare mai la donna che hanno di fronte portatrice di una qualche forma di intelligenza e capace di avvertire cose, fatti e malandrinate sottilmente costruite ai suoi danni (che, naturalmente, la MML non considera affatto ordite ai danni di lei, dato che non ne riconosce individualità e personalità).

Perché la MML ha la tipica necessità maschile di provare a se stessa di potere qualsiasi cosa, di essere superiore, di essere troooppo figa, di avere in mano la chiave dell’esistenza e di essere l’unica capace di interagire con le donne nel giusto modo.

Un uomo, insomma, e del tipo peggiore. Di quelli che qualsiasi donna sulla faccia della terra considera poco al di sopra di un animale e totale horror vacui.

Le MML desiderano essere come Shane di L-word (che non è poi tanto diverso da un uomo che cerca di essere come Rocco Siffredi) e provocare drama ogni volta che entrano in un locale (pensa che meraviglia: due esseri inutili che si battono per lei, la unica e sola MML, una figata pazzesca), hanno, da qualche parte, un oggetto su cui incidere le tacche per ogni scopata, non tornano a letto con una donna una seconda volta e, se ci tornano, lo considerano un bonus preziosissimo di cui la “fortunata” deve sentirsi beneficiata e grata e, naturalmente, questo poi sarà il leit motiv per giustificare e far passare qualunque genere di comportamento successivo da bestia maschile.

Quindi, le Male-Minded Lesbians sono una categoria che sarebbe meglio evitare, tantopiù se siete lesbiche dotate di sale in zucca o di una qualche forma di personalità.

Oppure scopatevele a casa loro e poi andatevene dopo un paio d’ore dicendo: “credevo ce l’avessi più grande” (non importa a cosa vi riferite, è l’effetto che fa).

Buona giornata a tutti e auguri alla mia sora che è il suo compleanno.

 

 

 

 

Quando si incontrano due lesbiche

Soundtrack: Propaganda – Duel

Succede che entro al bar, magari per un caffè prima di andare a lavorare e vedo una lesbica.

Ci si riconosce sempre, non si sa il perché, non si può definire quale particolare ti fa suonare il gaydar (radar gay, per i neofiti).

Il gaydar, di tanto in tanto, esplode in un allarme assordante, luci rosse e blu intermittenti e altri segnali poco discreti che festeggiano ingenuamente l’incontro tra simili, in questo caso lesbiche dichiarate e/o radicali. Altre volte sibila e, allora, sai che si tratta di una criptolesbica. Altre ancora vibra a intermittenza con una certa timidezza, nel qual caso si tratta di “piccole lesbiche crescono” ovvero lesbiche in pectore ancora in fase di definizione.

A far scattare l’allarme potrebbe essere un accessorio, il modo di essere vestita, il taglio di capelli, la gestualità. O tutti insieme. So per certo che le mie amiche etero, ormai da me ampiamente edotte su caratteristiche e categorie lesbiche, sono ora in grado di riconoscere i segnali con il proprio friendly radar. Quindi tutto ciò non  è mitologia omosessuale, è realtà.

Comunque tu sai lei chi è e lei sa chi sei tu. In un nanosecondo.

E poi?

Ci si guarda per un tempo infinitesimale e si lancia il messaggio non verbale in lingua lesbica: “ti ho riconosciuta” che si manifesta con un irrigidimento posturale, fessurazione delle palpebre, chiusura ermetica delle labbra in posizione “rido sotto i baffi”, spalle alzate che non si sa mai, magari è aggressiva o, al contrario; sorrisone, sguardo ammiccante, battutina a mezza bocca, postura conciliante che, non si sa mai, magari me la da. Seguono reazioni che possono variare:

  1. Non ti azzardare neanche a pensarlo perché ti taglio la gola con l’apribottiglie;
  2. Non ti permettere di pensare che siamo uguali, io non sono come te, lesbica di merda;
  3. Questo è il mio territorio, non mi costringere a farti pipì in testa, non c’è niente per te qui, sparisci:
  4. Apperò, sei passabile, ci guardiamo di nuovo?
  5. Ci diamo il cambio per lasciare inalterata la percentuale di presenza lesbica nel bar?
  6. Sei un cesso, la solita lesbica camion del cazzo e levati dalle palle;
  7. Non mi guardare che mi vergogno;
  8. Vieni a casa mia adesso.

Generalmente, comunque, la camion tende alla protezione del territorio, la lipstick ad ignorare con nonchalance, la cripto a fingere di non capire e l’impegnata ARCI a fare amicizia.

Personalmente, o mi spavento a morte o mi viene da ridere. non so dire perché.

 

 

Gay pride 2008

Soundtrack: Bikini Kill & Joan Jett Rebel girl

(Ho provato a rileggerlo e, devo dire, è lungo e annoia facilmente, questo post, ma ci tengo, ha molto senso per me, quindi impegnatevi un po’ e siate carucci)

Allora.

Ho molto da dire su tutto. Immagino che ai più interessi poco e penso che, ormai, del Gay Pride si pensa solo il peggio e nessuno ricorda i perché, i percome, i perquando e chi e cosa. Vi tocca quindi

  1. un post chilometrico, mi congratulerò vivamente con chi riuscirà ad arrivare in fondo;
  2. un ripasso;
  3. cenni storici arraffazzonati;
  4. clamorose e imperdonabili anomie;
  5. critiche mie;
  6. reportage dalla sera di venerdì a tutto sabato;
  7. link a varie cosette;
  8. riassunto degli interventi finali.

Quasi una cosa seria, direi.

Ripassiamo qui (anche se è uno schifo di spiegazione), ricordiamo che quello del 2000 vide la partecipazione di circa 300.000 persone (giubileo… prima feroce condanna della chiesa… strumentalizzazione vatican/politica… do u remember?). Voglio ricordare quello del 2000 perché vorrei che tutti noi recuperassimo dalla memoria collettiva che, 8 anni fa, questo era un paese laico, pensante, aperto e pronto all’evoluzione sociale.

8 anni fa. 96 mesi fa. 416 settimane fa. 2.920 giorni fa.

Il Gay Pride di ieri era una pena. Diciamocelo. Non dico le 10.000 persone indicate dalla questura, ma circa trentamila ad essere buoni assai. Ma per la cronaca aspè, devo dire prima un’altra cosa.

La Sonica, la R* ed io decidiamo, venerdì sera, di partecipare ad una riunione di FacciamoBreccia (quelli di NO VAT) che si tiene a Forte Prenestino.

Arriviamo tardi, siamo lesbiche con fuso orario alter (soprattutto lavoriamo, nun se po’ organizzà ‘na riunione che comincia alle sette durante la settimana). Giusto in tempo per vedere la conclusione del discorso della tipa di NO VAT che si autocelebra per la resistenza pacifica fatta a Verona (non ne so un cazzo, a dire il vero e non riesco a trovare un articolo che riguardi questa cosa, mi farò aiutare poi), insulta e tuona contro i fascisti ed il fascismo, contro il governo di destra e contro il pericolo dello squadrismo emergente. Applausi di circostanza dalle 50 persone presenti. Molti pischelli. Il resto vetero-vintage.

Prende parola Helena Velena, persona della quale nulla sapevo. Mi dicono le informate (Sonica e R*), che è un personaggio contestato e discusso ma di brillante e dimostrata intelligenza. Inizia con una affermazione molto interessante, ovvero che magari esistessero dei nemici identificabili e delimitati.

Il succo del suo discorso è: “il problema non sono i fascisti, ma la strisciante mentalità sessista, omofoba, razzista e cattolica che appartiene, ormai, a tutti gli italiani. Il problema è il menefreghismo italiota, l’individualismo esasperato. L’ideologia non esiste più. Nei licei fa figo essere di destra ed essere di sinistra fa sfigato e tossico. Gli zingari (scopro che bisogna dire Sinti, da un paio di giorni a questa parte) e gli extracomunitari non li vuole nessuno. E’ la destra che rappresenta le classi sociali più deboli, mentre la sinistra se ne strafotte e ha perso ogni contatto con le realtà sociali in generale.”.

E’ un riassunto uso Bignami, mi rendo conto, ma credo si capisca bene il senso della cosa. qui si fanno pippe e ci si concentra su una minaccia che, di per sé, non vale nulla (fascisti). Il vero problema è che TUTTI, ormai, si sono rinchiusi in realtà individuali e considerano benvenuto chi, in qualunque modo, difende quei privilegi e quelle posizioni (anche minime, anche sulla soglia della sopravvivenza, anche di merda). Vedi Pigneto, vedi circumvesuviana di Napoli, vedi sgombero campi rom eccetera eccetera, il tutto nel silenzio generale.

La tipa di Facciamo Breccia, a metà dell’intervento della Velena, si alza e la prende per il culo rivolgendosi alla platea, quindi la interrompe. I 50 la applaudono applaudono però, e con molta partecipazione. L’intervento cui doveva lasciare spazio era quello di una pischella che sciorinava, con un linguaggio che NUN SE PO’ SENTI’ (mi pareva di stare ad un Collettivo Studentesco del mio liceo, addì 1978), le aggressioni fasciste di questi giorni, concludendo con “se non facciamo qualcosa questi ci ammazzano”.

Noi tre decidiamo di andare via. No. Non si può vedere ancora una cosa del genere. Non si può restare in un posto dove la libertà di espressione è pari a quella del resto dell’Italia ovvero nulla. Non si può partecipare quando finalmente senti qualcuna che dice quello che pensi tu e gli altri la mandano affanculo.

Tra parentesi ragioniamo (le tre grazie) sul fatto che ormai ci sentiamo rappresentate da uomini. La Velena come la Lussuria. Trans, ma sempre a base maschio. Che impressione.

Dunque ce ne andiamo avvilitelle anzicchennò.

Sabato 7 giugno.

Orario di raggruppamento a piazza della Repubblica alle ore 16.00. orario tipicamente gay, direi. Avevamo appuntamento con varie persone, ma ci siamo perse o non trovate mai. Formazione base: Sonica, Penelope, C** (che è amico della Sonica e uno dei tre ricchioni non misogini che conosco) e la sorella di Sonica.

Ovviamente nelle immagini del Pride la sorella della Sonica appare ovunque. Noi mai…

Recuperiamo R&B e A* dietro al carro dei No Vat e partiamo.

Pochi carri. Miseri. Il migliore è quello degli Orsi, sia per la musica che per lo spirito. Mi sono pure rotta il cazzo della mentalità omosessuale maschia perfezionista e impietosa verso le umane storture estetiche. Almeno loro se ne fottono.

Percorso breve ma allegro. Si approda a Piazza Navona. Dal carro dell’Arcigay partono gli interveti (le pippe?) dei soliti di sempre. La Sonica urla, polemizza e insulta fino a perdere la voce e si incazza perché nessuno la supporta. Poi un paio di persone le si avvicinano e le dicono che sono d’accordo con lei. Il momento clou è quando un tipo del Coro Gay (?) intona l’Inno dei Mameli con la mano sul cuore.

OH MY GOD. L’Inno di Mameli al Gay Pride. Telefono a mia sorella nelle Marche perchè qualcuno lo deve sentire e mi deve dire che è vero, io non ci credo.

Poi i soliti Grillini (che parla di Berlusconi, ancora?), De Simone (che parla del governo come di una entità aliena, lei dov’era l’anno scorso? non si sa), un tipo che esordisce dicendo: “Sono un ex-senatore”, come se fosse un fatto che ci fa piacere (quindi prendi una pensione da migliaia di euro per non aver fatto un cazzo, bastardo che non sei altro), il Presidente dell’Agedo e tutta quell’umanità dirigenziale che, da anni, appara sempre le stesse quattro cazzate ad ogni Pride e che, negli scorsi 8 anni, avrebbe dovuto lavorare per il riconoscimento dei Diritti Civili e non ha combinato un cazzo di niente.

Ascoltiamo Vladimir Luxuria prima di andare via. Dice cose ragionevoli e ben espresse, come al solito, ma non è consolante.

Non una proposta, non un richiamo al fancazzismo del governo precedente, non una dichiarazione di intenti, non una promessa, non un rimando alla necessità di organizzarsi e premere per diritti e riconoscimenti.

Quest’è.

Sorry per il chilometraggio, ma mi sono sentita in dovere di riportare le cose per quello che sono.

Io mi sono divertita, devo dire. Ma a piazza Navona mi è venuto da vomitare e non per le quantità di birra spropositate da me ingerite prima e durante il corteo.

Dibattito please. interventi, commenti e insulti, se credete. E’ l’unica cosa che mi farebbe sentire meglio.

 

 

Ikea e Vecchi CD

Soundtrack: Frou FrouBreath In

Guarda guarda cosa è uscito dal cappello, Frou Frou. Incredibile.

Stasera ho meticolosamente sistemato i miei circa 300 Cd nel nuovo portacd dell’Ikea.

Rosso.

Le lesbiche all’Ikea si riconoscono sempre.

Sono quelle che si portano a spalla l’armadio Pax.

Tutto, compresi gli accessori.

E riescono a sistemarlo in una city car, non dico in una Smart, ma in una Twingo sicuro. Giuro.

E le lesbiche sanno montare qualsiasi mobile Ikea in 57 secondi netti senza invertire i pezzi. Hanno gli strumenti, il know-how, la pazienza e una infaticabilità che gli uomini se le sognano.

In comune con gli uomini, durante la ricostruzione del mobile Ikea, le lesbiche hanno le bestemmie, le maledizioni e la tendenza compulsiva a litigare con la propria compagna.

E adesso eccolo qui il mio totem rosso. Montato mentre in forno cuocevano i bastoncini di pesce.

Pieno pieno e diviso in: Italiani in ordine alfabetico per cognome; stranieri (sempre alfabetico per cognome, con qualche dubbio su dove sistemare la J e la K: prima o dopo la I?), compilation per titolo (l’articolo non conta) e – a parte perché non c’entrano più – la classica.

E’ uscito di tutto.

Non ho gusti musicali specifici, mi pare. Più che altro una inverosimile accozzaglia di roba dagli anni ’70 al 2000 e qualche punta anche anni 50. Dove cazzo li avrò presi?

E’ che ho anche lavorato in un negozio di CD. Avevo il conto aperto e potevo prendere qualsiasi cosa. Un intero album per un pezzo solo e, ora, non ricordo più quale pezzo mi interessava. E questi cd sono la metà di quelli che avevo, una parte consistente li ho lasciati alla mia ex fidanzata storica nel 1995 circa.

Il lavoro al negozio era allucinante e divertentissimo. C’era chi arrivava e canticchiava una canzone in una delirante tonalità pensando tu la potessi riconoscere, chi chiedeva “quel pezzo che dice: i love you”, chi voleva ascoltare qualcosa ma non sapeva dirti di che tipo, chi non sapeva pronunciare i nomi stranieri e chi lo faceva troppo bene. A natale mettevamo le casse fuori e ballavamo per strada. Il volume interno era da intervento ASL. C’era un settore denominato “new age” che raggruppava qualsiasi cosa non si sapesse definire, nei periodi di uscita di album sgamati, camminavamo tra pile di centinaia di Cd poggiati a terra (Mina-Napoli, per esempio, fu un delirio). Una tipa assurda telefonava e ordinava una cinquantina di Cd a nostra scelta per la barca o per la festa di capodanno o per il compleanno. Quando eravamo esaurite (tutte donne anche lì…) mettevamo i Prodigy a palla e chi entrava doveva urlare, non si abbassava mai il volume, MAI. Alla cassa ho combinato dei casini che la metà bastava e so impacchettare un cd in 2 secondi. Con il nastrino a rotolini.

Una vacanza ogni volta, devo dire.

Il negozio è fallito e io non ho pagato. Sarà fallito per questo? Naaaaa.

 

Cervelli & Piselli

 

Soundtrack: Feist  So Sorry

Stasera si chiacchierava, con la nipotazza preferita detta Elide, delle difficoltà tipiche dei post-rapporti lunghi.

Uno di quegli argomenti dei quali tutti sanno tutto, perché a tutti è successo e perché tutti ne portano i segni.

Le paure, le paranoie del cazzo, le resistenze, l’illusione che esista un tempo, un modo, una persona che siano giusti, esatti, millimetrici.

Ad ognuno il suo.

Parlavo quindi del mio. Del mio terrore di rimettermi in una relazione non già (ma che meraviglia di espressione ottocentesca) per questioni sentimentali, ma proprio per cose quotidiane e piccine piccine.

Paura di perdermi in qualcun’altra e sputtanarmi la vita, paura di rimettermi in situazioni uguali e mai diverse dallo pseudo-annullamento di me, sensazione di tempo insufficiente alla personale ricostruzione e così via dicendo liberamente e tanto per.

La Elide, reduce anche lei, conveniva.

Le ho detto, con noscialanz: “per te è diverso, avrai un uomo davanti.”

Ridevamo pensando ad una futura scena che si potrebbe svolgere più o meno così: Elide che parte con pippotti paranoici sul passato, il presente e il futuro, sulla vita, la morte e i miracoli, sugli ex e su ciò che è stato e che è e che sarà e Lui, occhio a mezz’asta, mormora un “sì, sì” procedendo nel countdown verso il prossimo futuro momento Sesso.

E si sono accese le luci del San Paolo.  Flash accecanti nel mio esiguo cerebello. Illuminazione totale. Ascensione a più alti livelli di consapevolezza. Trascendenza…

ESATTO.

A me tocca un’altra donna.

Una presumibilmente come me, che può ritenere argomento di conversazione una fragorosa, immane, cataclismatica bugia che è lì a coprire le poche cose vere che brillano tra le macerie.

E si può andare avanti per ore, fra donne. Anche 9 ore di discussione si possono fare. Senza spostarsi di un millimetro, fino allo sfinimento (e le donne SONO più resistenti degli uomini).

Per prepararsi a questo possono non bastare anni di yoga e di psicoanalisi. Che poi, in fondo, sono attività che forniscono straordinario nutrimento alla masturbazione mentale femminile.

Quindi, se Lesbica=donna al quadrato, 2Lesbiche=?

Non so se voglio saperlo.

Mi viene in mente una vecchia barzelletta sulla differenza uomo donna, quella di Adamo, Eva e il Padreterno che decide di fare loro due regali. Il primo regalo è il pisello. Adamo si precipita ad appropriarsene e poi comincia a correre in giro facendo pipì ovunque, tenedoselo tra le mani e agitandolo e urlando come un matto. Eva resta un po’ perplessa e poi chiede: “e l’altro regalo?” Il Padreterno risponde: “Il cervello Eva, è il cervello”.

Considero questa barzelletta una metafora (insieme ad un altro paio, delle quali una è quella di Ciro) ma, stavolta, mi viene da pensare che, in fondo, noi donne facciamo del nostro cervello la stessa cosa che gli uomini fanno del loro pisello:

PIPPE

 

Double Q

Soundtrack: Bananarama – Venus

Ovvero delle coppie lesbiche. Che hanno caratteristiche peculiari, riconoscibili, standardizzabili. Sempre.

Immagino che a qualcuno di voi possa maggiormente interessare come è andato il mio week end a Capri con i Fabolous. Vi basti sapere che, malgrado il freddo islandese, sono state splendide giornate sotto ogni punto di vista. Le seccie, non hanno avuto effetto. Ma niente bagno, sarà per il prossimo ponteperontepponteppì. Aggiungo anche un paio di cose alla mia wish list del compleanno: un GPS e un tatuaggio.

Manuale di lesbicologia.

Assumendo che, per lo più, chi si somiglia si piglia, è ovvio che le coppie lesbiche siano composte da due donne appartenenti, quasi sempre, alla stessa categoria. Quasi sempre.

A volte, invece, la coppia è sorprendentemente incompatibile. Ma resiste. Sulle modalità della resistenza, sorvolerei.

Ci sono le coppie che dopo qualche mese si mescolano in un tutt’uno senza soluzione di continuità: stessi vestiti, stesso taglio di capelli, stessa palestra di full contact, stesso lavoro, stesso linguaggio. Le gemelle omozigote del sentimento.

Esse tendono, nel tempo, a cancellare i nomi propri sostituendoli con nomignoli neutri e, generalmente, abbastanza standardizzati: Amò, Tesò, Cicci, Bibi. In questo modo, inesorabilmente, viene eliminata anche l’ultima parvenza di personalità, laddove ne fosse sopravvissuta  una.

Ma anche quelle che appaiono diverse tra loro tanto diverse non lo sono mai. Magari una sembra più labrador dell’altra, la prima rivolge parola al suo prossimo, la seconda si trova il suo angolino nello spazio e si limita ad una apparentemente distratta osservazione della realtà circostante.

In realtà si tratta di una diabolica operazione congiunta e, perlopiù, quella che appare più socievole e giocherellona, è quella depressa. L’altra controlla, vede, provvede, teorizza, classifica, programma e sta una meraviglia.

Ci sono quelle che sembrano talmente incompatibili da rimettere in discussione la teoria della relatività. Non è detto che sia solo una questione estetica, affatto, anche se quella un certo peso lo ha. No no, è questione sostanziale.

Una adora la folla della discoteca, l’altra preferisce luoghi di eremitaggio in Afghanistan. Una compra scarpe compulsivamente, l’altra concepisce solo polacchine e infradito al cambiar stagione. Una beve, l’altra fuma (e mai nella stessa serata che stiano fatte tutte e due), una vuole viaggiare solo in moto, l’altra non ha la patente ma preferisce il tassì.

E poi ancora la coppia storica, la coppia vintage, quella che ha dato il via alla mitologia delle unioni lesbiche: la butch e la femme. Quasi sempre quella che mette lo strap-on, a letto, è la femme. Significherà qualcosa? Non mi voglio addentrare, per carità.

Il sesso è l’unico luogo della mente e del corpo dove ognuno è libero di fare, essere e mostrare quello che gli pare.

E di questo argomento, parleremo ancora.

Prima o poi i “comportamenti sessuali delle lesbiche” divisi per categorie, vi toccano.

Ponte-peronte-ponte-ppì

Soundtrack: Zap mama – Iko Iko

Ultimo post prima di pausetta week end, sufficientemente sconnesso. Non ho una idea precisa, quindi si va a cazzo.

Prima di tutto il resto, che è stato scritto un’oretta fa, c’è una cosa che devo dire worldwide, perché sia chiaro che, per quanto bestia io sia, non sono una belva: so’ lemure.

[Ho da dire che, nei miei incontri, sono una persona fortunata e che, malgrado sia a tratti una guerra, è spesso una meraviglia e che, senza dubbio, sono onorata. Ho da dire che forse c’è un piccolo intoppo sul piano comunicativo e che forse dipende dalla mia totale disabitudine alla comunicazione verbale emotiva. Forse dipende anche dall’incredibile elettricità che esiste tra personalità che hanno similitudini e differenze quasi intollerabili, forse dipende solo dal fatto che sono una testa di cazzo.  Forse dipende dal fatto che si pensa sempre, qualche attimo prima, di conoscere la risposta e i suoi retroscena. Ma non è sempre così, sto imparando. Alla fine ognuna sta come sta; ferite, sangue e potenza. Passeggiamo per questo tratto di strada ed è già abbastanza. Prove tecniche di trasmissione. Test strutturali. Revisione progetti. Comunque grazie sempre, che ringraziare non fa male.]

Ora, quello che ho scritto stamane.

Io voglio imparare a dire quello che penso anche con l’apparato fonatorio, non solo su carta.

Voglio essere fuori dai meccanismi del giudizio. Voglio imparare a fottermene che, a 45 anni, sarà pure ora.

Farò festa di compleanno a Roma. Regali che voglio:

Libreria Expedit – cd Alanis Morrissette – pentole nuove – lenzuola – roba da mettere in cuollo – orecchini/collane/anelli luccicanti – macchina fotografica digitale – altri pezzi lego. Al resto penserò.

Perché io costruisco fantastiche casette con il lego. Anche di 9 piani con terrazzi e portici. Faccio anche disegni colorati organizzati sui muri portanti. Per fare questo, prima raggruppo tutti i pezzi per colore, forma e misura. I raggruppamenti hanno strutture precise che, ormai, conoscono anche le mie colleghe di lavoro (perché le casette le costruisco al lavoro) e mentre costruisco, nessuno deve toccare niente (e lo sanno pure i cicci piccoli che mi chiedono di giocare con i pezzi che non uso, per non incorrere nelle mie ire).

Ognuno è complulsivo a modo suo.

Dico sempre al mio amichetto Fabolous, grande sostenitore della ricchionitudine maschilistica, che “Asso e asso fanno fracasso”. Chi vuol intendere intenda.

Ma le regine di cuori, messe vicine, più che fracasso fanno spettacolo da circo. Trapeziste che non si fidano, caroselli equestri con cavalli che vanno per i cazzi loro, contorsioniste della parola e del sentimento, funambole che scivolano sulle corde, domatrici che si lasciano mangiare dalle tigri.  Quasi quasi divento etero. Che ogni lesbica è donna a modo suo, ogni lesbica ha le sue paranoie e deliri e crisi ormonali. Ma ogni donna, è lesbica a modo suo?

Non mi voglio fidanzare. Perché quando mi fidanzo divento baccalà. Non voglio proprio più. Ahhh, sia chiaro, non mi riferisco a nessuna in particolare, ma all’intera categoria. A me in particolare, che ormai sono più lesbica che Penelope. E pure banana. Se cominciassi ora a corteggiare qualcuna, finiremmo a letto nel 2050. E non so più neanche che tipo di donna mi piace. E una delle poche che mi è piaciuta integralmente, non me l’ha mai voluta dare. Banana. Non me la darà mai più, mi sa, ormai quel che perso è perso. Però potrebbe venire a casa mia a citofonare, lo prenderei come un buon segno e ce la sbrigheremmo entro il 2010.

LESBICHE. Possibile che non esista una parola un po’ più ironica di questa?

Masculillo. Si diceva a Napoli. Ma non si dice più.

Si sappia che voglio fare uno spettacolo con i miei monologhi e i pezzi musicali della Sonica. Ce la faremo? Non so, mi pare che abbiamo la stessa tendenza alla permalosità ed alla protezione delle proprie creature. Ma ce la faremo.

Vado a fare il week end in un posto che, puntualmente, mi tira fuori senza controllo ricordi del secolo scorso. Non ne posso fare a meno. Ci andavo con mia madre e ogni volta diventa una mappazza di sensazioni violente e dolcissime.

Ma stavolta voglio fottermene. Mi rilasso e prendo il sole. Se nessuno mi mette la seccia (=cattiva sorte, sfiga N.d.T.).

Ho voglia di prendere il sole e nun fà nu cazz’.

 

 

beata solitudine

Soundtrack: Ambersunshower – Rythm Child

Alone. At home.

Quando è una scelta, è la migliore scelta possibile. Quando non hai alternative, provoca colorito verdastro, rotazione del capo a 360 gradi e crisi ossessivo compulsive multimediali.

Ogni tanto mi ci vuole. La vecchia pazza con rigurgiti postadolescenziali che è in me si assenta e viene fuori la voglia di starmene a fare cose che mi rilassano, riposano, aiutano a riflettere.

Stirare?

Sìssì. Togliere le piegoline, dare una forma geometrica rifinita alle cose, come ai pensieri. Una pausa incredibilmente liscia tra una discesa di montagne russe e una ondata di piena.

Scrivo poco e male, ultimamente. Forse non ho il tempo di riflettere o di dare una forma precisa ai pensieri. Di solito macino ragionamenti come le rotative della Gazzetta dello Sport (riferimento non casuale, sia per qualità del pensiero che per numero di copie). In questo periodo la frase più illuminante che mi passa nel cervello deneuronato è “vabbuò, poi vediamo”.

E neanche stasera ho molta voglia di pensare. Ho un po’ di tempo ancora e voglio prendermelo tutto.

Poi vediamo.

Eppure cose sulle quali riflettere ce ne sono in quantità industriale. Anche (soprattutto?) about le mie relazioni umane. Relazioni umane? no, relazioni donne.

Ma anche per questo ho ancora un po’ di tempo.

Ho sempre in testa un post sul mio lavoro, ma non prende mai una forma definitiva e definita, manca qualcosa o qualcosa mi sembra eccessivo da dire (a me?), ma mi piacerebbe spiegare che cazzo faccio 7/8 ore al giorno chiusa in quel posto.

To whom it may concern.

C’è qualcuno che non parla inglese? – oltre me, dico -.

Noto che tendo inevitabilmente al delirio decontestualizzato. Segno di poco da dire.

Sono dove volevo essere. L’ho già detto? mi pare di sì. La faccenda mi stupisce e, stasera, mi stupisce anche la calma che mi gorgoglia in petto.

Mi guardo intorno e, quando riesco a formulare forme verbali, mi rendo conto che molte, davvero molte cose, sono cambiate per me. 7 vite, a occhio. Credo sia quello che mi piace fare malgrado i miei lamenti, le mie sbattute di piedi e le mie recriminazioni. Ho camminato e corso, sudato e preso capate contro i muri, strepitato e sussurrato quello che avevo da dire, massacrato altri e me stessa. E sono ancora qui.

Dato che mi sembra probabile che, vista la vita che conduco attualmente, una di queste mattine io non mi svegli affatto (4 ore di sonno a notte, lavoro, alcolici, cibo scombinato e postura standard da giudatrice di automobile metropolitana, il tutto senza fare uso di droghe chimiche), si sappia che mi è andata di lusso. Lussissimo.

Ma mi auguro che la genetica familiare prevalga, ho ancora un po’ di cosette da fare, non me le vorrei scansare. Ci tengo. Vorrei avere il tempo di diventare adulta, soprattutto. Cosa che avviene con una procedura piuttosto farraginosa e lenta quando si è lesbiche.

Perché non è pensabile che una le responsabilità se le vada a cercare, se non ne ha la necessità. Sarebbe una follia pura. Quindi i tempi si dilatano a dismisura e all’adultitudine non ci si arriva mai nei tempi giusti. Che poi quali sarebbero i tempi giusti? Bah.

E se essere adulti non è solo prendersi responsabilità, cos’altro è?

Esperienza. Esperienza? quella te la puoi fare anche a 8 anni, ma non ti fa né sentire né essere una adulta. L’esperienza serve per sfangarla, per bypassare, scappottare, scansare quello che non si vuole affrontare: responsabilità. Vedi che torna? lesbiche adolescenti permanenti. E, secondo me, siamo quasi tutte così.

Con la patente di bimbe un po’ furbette in un loop ludico senza spazio né tempo.

Giochiamo a fare le coppie, le donne, le adolescenti, le arrabbiate, le fuori schema, le esperte della vita. Giochiamo fra di noi ai quattro cantoni, a rubabandiera, a palla avvelenata. Giochiamo a fare le invisibili. Giochiamo a fare quelle che bastano a loro stesse. Giochiamo a “ignoriamo il mondo” e a “vaffanculo, tu no”.

Giocherellone incorregibili.

Lesbiche irresponsabili.

Donne al quadrato.

Che meraviglia e che culo.

Detto Fatto

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Soundtrack: Liza Minnelli – Money Money

Appunto: espresse mie paure e riserve sulla possibilità di finire nuovamente culo per terra, nel giro di 6 ore mi arriva comunicazione amministrativa che, questo mese, non si sa se e quando ci pagheranno.

E io sono infognata 36 ore alla settimana in quel centro di merda.

Tant’è, vediamo cosa riesco ad apparare. Arrabbiarmi non ce la fo. Sarà un fatto karmico.

Un po’ di persone hanno amarcordato con me i tempi di Cappella Vecchia, mi aspettavo qualche intervento in più da parte di chi c’era e l’ha vissuta. Tant’è.

Stasera Tumbler in piccolo branco. Per poco, però, perché mi sveglio alle sei e mezza. Poi ho il corso: “il rapporto Terapista/Genitori/Paziente “, poi cena con le amichette della Sonica; insomma, qui ci rivediamo non prima di sabato.

Il piccolo branco di lesbiche al Tumbler, stasera, risente dell’avvento della primavera e ho sentito frasi che hanno uguali solo nei circoli del dopolavoro ferroviario. Siamo vergognose. Peraltro sedute sui trespoli, uso le civette sul comò, speranzose di far l’amore con la figlia del dottore.

Non tutte, però, ci sono anche civette che l’amore con la figlia del dottore già lo fanno e civette rilassate.

Allora vada per sabato al mattatoio, stavolta senza premio (per ovvi motivi appena esplicati), ma decideremo un punto di raccolta. Ho poche idee, mannaggia, non mi viene in mente una cosa sensata. E comunque è da coinvolgere anche Elide.

Mi impegnerò un po’ di più domani (seee).

Oggi è venuta F**, col suo pancino e la nuova espressione da adulta che le si è impressa sulla faccia in questi quattro mesi, le voglio un bene esagerato, mi manca e mi dispiace non poter vivere minuto per minuto il suo cambiamento.

Santa pazienza, ho come qualcosa sulla punta della lingua e non mi esce. Sono stanca e pure un po’ rincoglionita, I wonder why tanti flashback e ho una gran voglia di appoggiarmi sul pelo dell’acqua e lasciarmi portare senza muovere un dito. Ma anche no. E’ che non voglio arrivare da nessuna parte in particolare e non vedo perché sbattermi. E non so se è la cosa migliore o un modo per scansarmela. E mi scoccio di pensarci. Epperò ci penso. Eccheppalle. Vorrei ricordarmi come si fa a fare il vuoto mentale.

E godermi il panorama.

 

 

Ah, le femmene…

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Soundtrack: Erykah Badu – Bag Lady

A volte nutro sentimenti di profondo affetto e comprensione per gli uomini. Inteso come genere maschile. Mi capita raramente, ma capita.

E’ che loro hanno a che fare con noi. Genere umano femminile.

Vero che sono pieni di inutili pregiudizi e immani quantità di stereotipi, ma molti li abbiamo confezionati noi. Impacchettati e serviti su vassoietti lucidi.

Perchè non c’è mai una cosa, dico una, che sia quella che appare.

Essendo io appartenente anche al genere umano lesbico, mi capitano cose che rasentano la fantascienza e, per giunta, sono costretta/portata a capire, interpretare, giustificare. Ma a volte, che palle. Altre volte, in quanto in forza al genere femminile, mi scemisco a cercare di capire e interpretare cose che non hanno nulla da significare.

Vorrei faceste mente locale sul rischio di schizofrenia al quale sono soggetta. Perlopiù le due parti di me (femmena e lesbica), pensano contemporaneamente, decidono contemporaneamente e interpretano in simultanea due cose diametralmente opposte.

Perché la terapista “man ‘n cuollo” mi si appoggia addosso? e perché lo fa solo con me? è una giovane etero in procinto di matrimonio e con uno splendido sorriso. Io non sono né androgina né Angelina Jolie. Le risposte sono due:

  1. non è vero, questa cosa non succede e te la immagini, lesbica rincoglionita che non sei altro;
  2. sì ma però non sorride così a tutte le altre, e poi certe cose si sentono.

Capirete che non se n’esce ma, d’altra parte, perché mai le donne devono avere questo vizio di spargere a destra e a manca contatti fisici senza prima sincerarsi dell’orientamento sessuale e della condizione sessuale del loro prossimo?

Altro caso difficile da dirimere (persona altra, ovviamente): dopo avermi detto e mandato a dire che non mi vuole, dopo aver detto e mandato a dire che le aggrada solo una sincera e profonda amicizia, dopo telefonate quotidiane, sms in media di 5 die, chattate terminate all’alba e scambi di battute acute che neanche gli sceneggiatori dei film hollywoodiani anni 50, perché mi si sparisce all’improvviso e non mi si risponde più agli sms? Abbiamo alcune ipotesi da vagliare.

  1. perchè le hai detto che hai incontrato una persona interessante e si è offesa;
  2. non dire cazzate, aveva solo qualche impegno e non ha avuto modo;
  3. ma se ha avuto modo, prima, anche nelle più deliranti delle situazioni, perché ora no?
  4. perché voleva amicizia e tu sarai stata fastidiosa;
  5. ma quale occasione migliore per “coltivare amicizia” di questa che vede me occupata in altro?
  6. te la canti e te la suoni, smettila di vivere in una realtà parallela.

E si potrebbe continuare all’infinito.

Abbiamo una percentuale di interpretabilità pari al 98%. Qualsiasi azione può essere quella, il suo perfetto contrario ma anche una serie di passaggi intermedi che ricordano il paradosso di Zenone.

Qualsiasi risposta o affermazione è relativa a momento, ora del giorno, fase del ciclo, attività in corso, programmazione della giornata e aspettative a lungo termine. Al cambiare di uno solo di questi parametri, qualsiasi risposta o affermazione è suscettibile di modifica, anche sostanziale.

Altra caratteristica fondamentale, è lo smodato uso della frase “non posso” in luogo del più sincero ed appropriato “non voglio”. Noi donne siamo fermamente convinte di non essere soggette ad autonomia di opzione, ma ad una serie infinita di variabili indipendenti dalla nostra volontà che governano le nostre scelte e ci costringono a non fare ciò che vorremmo, se solo fosse possibile, fare con immenso piacere.

Infine, altro tipico e peculiare comportamento femminile: trattenersi dal fare una cosa. Ovvero volerla fare, desiderare di farla, anelare, morire dalla voglia e NON farla, godendo intimamente della nostra capacità di resistere all’istinto.

Perché noi lo sappiamo fare benissimo.

 

 

L’avevo detto

che mettevo un post con la password…

:mrgreen:

Per intanto vi racconto che stasera, per oltre un’ora, la R** e la Sonica si sono incaponite su un delirio internettiano riguardante un video che si chiama “2 girls 1 cup”.

Un video che pare comporti, in chi lo guarda, immediate reazioni di vomito e ribrezzo assoluto. Youtube è pieno di video di reactions al video base. Non so di che parla, non sono riuscita a trovare spoilers…

Io, non lo voglio vedere, R** non lo vuole vedere ma vuole filmare chi lo guarda, Sonica lo vuol vedere.

Se qualcuno ne sa qualcosa, me lo racconti pliz.

Aggiunta del pomeriggio (che, miracolo, ho un ciccio piccolo assente).

Stamattina un tipo ha cercato di farmi la truffa dello specchietto (quella che tu passi, ti danno una botta sulla macchina e poi sfracantano le palle che gli hai rotto lo specchietto retrovisore e vogliono soldi subito).

Ero sola su una strada interna di campagna che mi porta qui al lavoro. Sapevo di cosa si trattava, non sapevo come uscirne. Ma me la sono cavata con 10 euro.

Sono un fenomeno a fare la parte della piccola fiammiferaia, devo dire, e sono stata convincente. Ma nell’agitazione non ho preso targa né fatto cose che sarebbe utile fare in tal momento. Sono una vera banana.

Comunque, cosa davvero esilarante se non fosse agghiacciante sotto altri aspetti, è stata la richiesta di pagamento in natura: “Signora, se non ha soldi allora potrebbe pure fare un’altra cosa”. Mi dice il calabro truffaldino.

Mi ha fatto una pena esagerata. E comunque, con l’aria indignata e risentita sono riuscita ad andarmene dall’incatastamento. Peraltro tremava, il sempre calabro millantatore.

Mi sono preoccupata un po’, fintanto che non riuscivo a sganciarmi e, dentro dentro, pensavo a quante chiacchiere faccio del tipo “spacco qua, spacco là, se capita a me gli faccio un culo così, questo, quello e quell’altro”.

Chiacchiere e distintivo.

La verità è che reagisco come una BANANA.

Ohh, c’è da registrare che, evidentemente, un mio pompino varrebbe almeno 50 euro.

Ci penserò.

 

Gnente

 Soundtrack: Z-Star – Lost Highway

te dico gnente.

Domani, quando mi sveglio (ora sono le 3 e 31), racconterò il gnente.

Vi ritengo responsabili del danno arrecato al mio narcisismo strabordante.

Notte.

Mi sono svegliata alle 13, mi ha chiamato mia sorella, sennò stavo ancora là.

Mi è andato il tonico nell’occhio.

Per fortuna mi sono divertita lo stesso, ho assai danced e cazzeggiato in giro chiacchierando, ho avuto accesso al privé (?) di Z-Star e dei suoi musicisti e ballato con loro (ma va? sono amica della tastierista, non è che sia stato un gesto di impudenza), ho incontrato una mia amica/collega e ho avuto un crollo di stanchezza alle 2 a.m. Ero sveglia dalle sei di ierimattina, non ho più l’età, diciamocelo.

Oggi giornata standard, forse scendo a Napoli, forse no. Ci penserò.

Mi sento un po’ così:

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La Caccia a Penelope.

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Soundtrack: Maxim ft Skin – Carmen Queasy

Povera gatta mia, avessa sapè…

Dunque domani sera caccia alla penelope owner del blog Penelopebasta.

Sono terrorizzata dalle cazzate che partorisco.

Per quanto c’è da registrare che una collega di Elide (la quale Elide è stata rapita da un gruppo di alieni che sostengono essere i suoi donatori di lavoro e che affermano me la restituiranno solo quando le avranno risucchiato l’ultimo organo interno rimasto) ha detto che sono la maga del marketing multimediale.

La prova definitiva che partorisco cazzate.

Il problema è duplice o, come si suol dire nei circoli riservati upper lipstick lesbian: dicotomico. Nel caso nessuno mi pensi, il mio narcisismo ne verrebbe ferito irrimediabilmente, la mia autostima vacillerebbe, l’immagine di me disintegrata, la dignità perduta, l’orgoglio massacrato.

Una strage.

Nel caso qualcuno davvero mi dovesse pescare tra la folla: svengo.

Lunga lunga per terra sul pavimento del Circolo degli Artisti, quindi, siate prudenti, cauti e delicati (nel caso).

Badilate di amici mi hanno detto: “Veniamo, facciamo, diciamo, restiamo… “.

Non ho più sentito nessuno. Il deserto, il silenzio siderale, il nulla cosmico, l’assenza assoluta, il buco nero della comunicazione.

Quindi me la devo vedere da sola. Se mi esplode il cervello, raccoglierò i pezzetti da sola, dopo aver litigato con i proprietari per aver inzozzato il pavimento, e andrò via con le mie pive nel sacco. E se svengo nessuno mi tira su, Elide resta senza protezione e Z-Star si arrabbia perché le interrompo il concerto.

Ordunque, ho poco altro da comunicare, se non che domani la giornata inizia alle 6 e 15 e non finisce più, che adesso ho da stirare sennò domani che cazzo mi metto, che in realtà non avevo niente da dire e che mi frullano per la testa pensieri scoordinati, come i miei pigiami. Straparlo e faccio uso eccessivo di parole, ben oltre il consentito, perché sono agitatissima.

Sabato farò il reportino della serata.

Che altro?

Buona Caccia.

 

Lesbiche romantiche II? (puntata 9 l word)

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Soundtrack: Pam Grier, Betty – Some kind of wonderful

Primo: dopo le puntate in inglese, mi prende un eccesso di anglofonia.

Secondo: di seguito si parla della puntata 9 della serie 5 di L word. Chi non vuole sapere cosa succede, se ne andasse a fanculo. Già sai. 

Stasera formazione standard with guest da gruppo d’ascolto quinta serie L word.

Tutte a casa della R** per vedere la puntata.

S** prepara cena cous cous e verdure al forno (doveva essere il riso, ma la cottura ha richiesto un amount of time pari a circa 239 anni e 16 mesi).

Si mangia. Si sistema. Pronte sul divano. Doppio click: uno stramaledetto fake. La R** si è fatta solare dal web per eccesso di avidità.

Don’t panic, la puntata ce l’ho pure io. Di corsa in macchina a casa mia. In quattro sul divano + gatto nervoso per mancanza di posti + nipote in pijama da me scambiato in lavatrice che ci guarda con aria rattrappita.

Silenzio e devozione. Sospiri. Colpi di tosse. Parolacce e linguaggio scurrile in presenza di scene con protagonista Jenny. Ancora sospiri. Respirazione irregolare.

In questa puntata c’è una black out a los Angeles, dunque, come è noto nel mondo, durante i black out si fa sesso e niente più.

Tripudio e festival di accoppiamenti con donne assolutamente e irrimediabilmente splendide.

Volano sporadici commenti estetici e sostanziali tipo: “dai, mica farà così?” oppure “non ho capito se questa è carina o no”, “guarda Shane, non è mai stata così” o, ancora: “perché non viene un black out uguale pure a Roma?”.

Finisce puntata. Urlo di dolore collettivo. Silenzio.

Non siamo riuscite più a dire nulla. Un gruppo di persone adulte, in genere pronte e capaci di conversazioni multidisciplinari e di elevato livello culturale. Donne navigate e scafate, donne che leggono libri e quotidiani, mica casalinghe di Voghera.

Completamente annichilite dalla tracimazione ormonale e dalla visione “collezione Harmony” appena terminata.

Poi quando io dico che mi piace “un posto al sole” mi trattano da cerebrolesa.

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Lez Granny @ the disco

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Soundtrack: Gwen Stefani ft Eve – Rich girl

Da non credere, stanotte in discoteca fino alle 3 e mezza.

Serata solo donne all’Eto’ a Testaccio. Locale carino, devo dire. Due piste e centinaia di pischellette. Sono andata con una amica di passaggio in Rome. Ci siamo perse, obviously – perché solo io, dopo quasi tre anni, riesco ad arrivare a Ponte Milvio invece che al Testaccio -, ma ce l’abbiamo fatta.

La visione di insieme mi ha fatto pensare ad un sacco di cose. Le cose sono cambiate di molto, l’effetto estetico è gradevole, colorato, divertente. C’è un tripudio di Shane-Style (vedi L word), che è di certo più bello da vedere del Barile-Style.

Le ragazze erano giovanissime, curatissime, truccatissime, svestitissime. Ma abbiamo capito che le lesbiche hanno un problema genetico e proprio non son capaci di andare a tempo.

Le vedi entrare a frotte e l’effetto è “carta conosciuta”: le trionfanti, le androgine, le zoccole, le dimesse, le padrone del territorio, le portatrici di vagina d’oro, le spaventate, le chiatte, le anoressiche, la Ciro, le nonne (che sarei io).

Le piste sono due. Sopra – ma la musica non ci piaceva proprio – e sotto quel bel pop commerciale a tratti vintage.

Ho ballato per un’ora e mezza come una pazza, non lo facevo da almeno due anni, se non tre. E mi sono divertita oltremisura. Peraltro il mio cappello ha la stessa funzione di cani e bambini, acchiappa sempre (sorvolo sulla qualità dell’acchiappo, lasciatemi narcisisticizzare il momento senza badare ai dettagli).

Insomma, compagnia piacevole, serata piacevole, grande iniezione di energia e mi sento sempre più strafica, anche se nonna.

Ma una nonna strafica.

P.S. Grazie sempre all’amica di passaggio, affettuosa e tranquilla abbastanza da avermi impedito di fuggire al secondo minuto di permanenza e sostenuto nello scatenamento in pista…

Che volevo dire?

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Soundtrack: Anggun – Undress me

Allora, tutto questo paraustiello (= premessa – N.d.T.) per dire cosa?

Per dire che non ce la posso fare a sentire chiacchiere ed esercizi dialettici su un argomento che tocca personalmente il 75% delle donne del mondo. E quando dico personalmente, intendo dire direttamente, in prima persona, selfish, individuale. E’ una decisione difficile e dolorosa, al momento è sempre necessaria e ineluttabile, al dopo è un peso che ti porti tu e sei fortunata se ti ritrovi un uomo che lo ricorda e condivide con te. Ma è necessario mantenere la libertà di scelta così come è necessario svincolarsi dalla presa del vaticano e dei suoi scienziati d’accatto pagati per provare qualsiasi cosa (a quando la scoperta che Galileo aveva torto?). Punto e basta, mi so’ rotta.

Avrei voglia di raccontare un paio di cosette che mi accadono al lavoro, ma proprio non posso dato che mi leggono tutti. Peccato, vi perdete un paio di pezzi sul concetto “uocchie chin’ e mman’ vacant'” (=occhi pieni e mani vuote – N.d.T.). E già questo sarà sufficiente per essere sfottuta a morte quantomeno dallo Psicologo G** – e sottolineo psicologo -.

Il tracollo economico ha subito un tamponamento, grazie a chi dico io. La mia nipotazza, invece, è a metà stipendio causa cambio sindaco. Che mondo di merda. Dovremmo parlare anche di questo, ma la politica mi ha già annoiato profondamente.

Mi consigliano di mettere la pubblicità sul blog. Pare ci si guadagni. Oggi nuovo record di contatti, a riprova che interessano solo i cazzi personali e che, quanto più personali sono, tanto più si espandono nel web. Che fare con google ads? si accettano suggerimenti.

Ma che ve lo chiedo a fare? non mi date mai consigli voi (and now: victimist moment).

Ultima sigaretta e vado a nanna. Lancio avvertimenti e note personali ad un po’ di gente, dato che non ho un cazzo di niente da scrivere:

  • @ Unodeifavolosi: sono indecisa se partire o no questo we, un po’ vorrei vedervi, un po’ vorrei cazzeggiare in pigiama per 48 ore, ti faccio inoltre notare che, come al solito, non hai cancellato la mia url dal tuo computer e risulti avere un blog che è il mio, va bene che sei la luce dei miei occhi, ma non vorrei che qualcuno pensasse che mi commento da sola(…);
  • @f: son contenta che hai internet sul tuo letto spinoso. Ma vedrai che presto ti alzi in piedi e ci porti a vedere la panza solida e ingombrante come deve essere;
  • @ziasaimon: e scrivimi un po’;
  • @mia cugina e sua figlia: se è vero che mi leggete, voglio la prova e, inoltre, cena insieme in settimana?
  • @R**: ci sei questo we? andiamo a prendere la roba mia superstite a casa della mia ex ora transumante la settimana prossima? le chiedo direttamente di vendermi un disco fisso con dentro la mia musica e i miei documenti? tanto adesso ci parlo, anche se mi pare lei non gradisca;
  • @elide: ciccia mia tesora, è il lavoro che è una faccenda di merda, ci si adatta e alla fine si riesce a faticar decentemente, ma ci vuole un po’ di tempo;
  • @collezionediuomini: nota che ti ho passato tra gli amici, ci conosciamo trooooppo bene ormai;
  • @Alf**: sei morto?
  • @Luca: lo so che mi leggi lo stesso, macciaaaaooooo;
  • @M-omissis: e niente più commenti?
  • @Miss I: e pure tu, che cazzo di fine hai fatto?;
  • @C&I: già annoiate dal blog?
  • @mia sorella: spratichisciti e metti qualche commento, non fare il dinosauro;
  • @tutti i nuovi, fat sentir la vostr presenz.

Ho finito, mi pare. Non so che immagine piazzare. Ah sì, un indizio per la caccia a Penelope che, ricordo, avverrà il 7 marzo al Circolo degli Artisti in la capitale d’Italia in occasione del concerto di Z-Star.

Notare che ho imparato a mettere i link dopo lesson di mia nipote.

– Ma sarà un casino, come farai? l’ho scelto apposta, cara, così se nessuno mi cerca posso sempre dire che “c’era troppo casino” –

 

Cui iuvat?

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Soundtrack: Crosby, Still, Nash & Young – Our House

Post veloce da improvvisa illuminazione. 

La soundtrack di oggi è puramente emotiva. Ho appena saputo che la casa nella quale, a Roma, ho coabitato per un anno, verrà dismessa.

Essendo io donna romantica ed emotivamente instabile (ho odiato quella casa fintanto che ci ho vissuto), mi è venuto un po’ il magone.

Il titolo, invece, recuperato da una fallace memoria da studentessa di liceo classico, si riferisce, ancora una volta, alla discussione sull’aborto.

Ho sempre pensato che il dibattito sull’aborto, in questo paese, venga sollevato ogni volta che è necessario nascondere magagne politiche, economiche, legali ed altro. E’ un fatto storico, direi, basta guardarsi indietro e notare i momenti e i contesti nei quali, periodicamente, è partito il delirio.

E’ anche l’unico argomento che scatena reazione nella cosiddetta “opinione pubblica”, niente altro riesce a mobilitare pensieri e azioni in Italia.

Anche stavolta mi sono ossessivamente chiesta perché e a che pro questa campagna con prese di posizione così aggressive e aperte. Ieri ho capito.

Serve per togliere dal dibattito politico le questioni sollevate nell’ultima campagna elettorale, le questioni sulle quali si è cercato di giocarsi i voti e che, poi, nessuno è stato in grado di gestire.

Si vede che i nostri politici, tutti i politici, hanno imparato che le battaglie per i diritti civili sono impossibili da affrontare in Italia: coppie di fatto, inseminazione, adozione, omosessualità e tutto quanto fa paese civile in evoluzione storica e sociale, qui non si può metterli sul piatto della politica, troppo pericoloso, troppo difficile stabilire chi vuole cosa e come, troppe differenze trasversali. Io non so come ha funzionato negli altri paesi europei, che qualità di popolo ci fosse, quanto coraggio ci sia voluto e contro chi si siano dovuti scontrare.

Ma so come funziona da noi. E ci hanno fottuto. Ci hanno sbarrato il passo con una questione base, un diritto che sembrava acquisito, un diritto che perlopiù è considerato “inalienabile” trasversalmente.

Ed eccoci qui a seguire in branco le chiacchiere di un idiota, voglio presumere pagato da tutte le forze politiche in Italia, che ha la faccia come il culo, forse uno dei pochi in grado di sostenere, fomentare, mantenere in prima pagina, un tema che dovrebbe restare, invece, a dormire il sonno del giusto.

Ci hanno fottuto, ribadisco. Quest’anno se ne vanno affanculo i diritti umani e della persona perché non c’è più spazio. Siamo stati ributtati indietro per non andare avanti e chiedere di più.

E ditemi se non ho ragione?

P.S. Per la prima volta dopo decenni, non ho visto Sanremo. Che strano.

Remember “Caccia a Penelope” 7 marzo Circolo degli Artisti.

 

Lesbica Predatrice? (Post di transizione)

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Soundtrack: The Niro – Just for a bit

Non sono pronta per il post che volevo scrivere, quindi mi prendo un momento. Godetevi la soundtrack, stasera l’ho visto all’auditorium, codesto ragazzo (The Niro) è veramente bravo e fresco e originale.

Noto che il MIO blog è diventato una Community di Fancazzisti che si inseguono saltellando tra blog, post e comments.

Che bello. Questo mi piace assaje e, ancor di più, mi piace ritrovare i miei amici quissù.

Perché ho amici che conosco da almeno 30, dico 30, anni e, fatto ancora più incredibile, non si sono trasformati in dinosauri: mi scrivono i commenti…

Grazie amico del muretto, mai avrei pensato che potessi intervenire, non so, ma non ti facevo fancazzista…

E poi Caterina, CATERINA! 

Vi avverto che c’è un sacco di roba in archivio, da cercare tra i “Capitoli” qui a destra o tra “Cose Vecchie” in basso a sinistra. Poi la musica è a destra, nel box blu; prima cliccate due volte sul brano che ho indicato e poi leggetevi il post con il sottofondo. Vi sto trattando come cerebrolesi, lo so, ma non mi fido della vostra web-modernità.

Volevo dire a Robainutile – a proposito del post sulla legge 194 – che, in realtà, per l’epoca non era nulla di speciale, nulla di eroico e nulla di particolare. C’era gente impegnata per davvero che di cose ne faceva (diritto allo studio, al lavoro, al recupero eccetera eccetera). Io ero solo persona informata sui fatti, mio padre uno che lavora e mia sorella una che ci credeva, alla politica.

Stasera sono stata all’Auditorium a vedere tre gruppuscoli giovanottoli: The Niro, Second Grace e Nathalie. Un bagno di freschezza, originalità e accordi drammatici. Un vero piacere. A sbafo ci so’ andata dato che, come ormai anche i muri sanno, l’errore sulla busta paga di gennaio ha provocato un tracollo economico di livello argentino.

E le lesbiche? E’ un sacco che non parlo di lesbiche. Ma tanto parlo sempre di me.

Stasera ho un ragionamento nuovo nuovo.

Al concerto, davanti a me, si siede una criptovintage. Peraltro con un viso splendido ma vestita come un operatore ecologico. Si gira anche un paio di volte nella serata e, alla fine del concerto, tergiversa un po’ vicino a me. E io?

Io ho capito che, per quanto me la canti e me la suoni da sola, non sono la predatrice che vorrei essere. Affatto.

Mi sono resa conto che ho l’occhio allenatissimo: riconosco le lesbiche in pectore e le donne in fragilità sessuale al primo sguardo, con infinitesimali percentuali d’errore. Il passo successivo, per una predatrice, prevede l’aggiramento (e lo so fare), l’isolamento dal branco (e lo so fare), la zampata finale (…).

Gnente, ti dico gnente. Mi viene da mettermi seduta di fronte alla preda cercando di convincerla, a chiacchiere, che sarebbe un buon pranzo per me e che sarebbe gentile da parte sua svenire o infliggersi da sola ferite mortali alla giugulare. Un affare.

Una cosa è certa, in questo periodo sono strafica e del tutto priva di contatto con la realtà.

Remember che il 7 al Circolo degli Artisti c’è il concerto di Z Star e la Caccia a Penelope x i 10.000 clicks.

Buonanotte, domattina sveglia all’alba e niente colazione, che ho le analisi del sangue e il tagliando ginecologico (chissà se mi costringono alla rottamazione, visto che è EuroZero, ormai).

 

 

 

Post pre-elettorale

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Soundtrack: Doris Day – Que serà serà

Recuperata musica.

Stamattina mi sento very smart, vediamo quale ceffone mi riporterà a più miti consigli.

E’ un periodo che sono riflessosa e pensolosa. Ci sono cose da cambiare, cose da limare, cose da rivedere, cose da accettare per quello che sono. Mi riconosco poco e questo mi mette a disagio.

Comunque, ho la sensazione che diventi sempre più importante parlare del quotidiano “politico”, visto ciò che mi accade intorno. Immagino che lo farò appena avrò più tempo per scrivere.

Quanto mi piace l’interazione con costoro voi tutti che passate di qui. Vorrei lo si facesse anche di più. Negli altri blog leggo molte più discussioni e interventi.

Questo periodo è costruito una merda, ma ho fretta.

Prossimo post, legge 194. Sono stanca di sentire puttanate in proposito, ho voglia di rigurgiti veterofemministi, desidero che chi non ricorda riprenda a ricordare. D’altra parte sono una omosessuale, l’ultima categoria rimasta a desiderare diritti civili e modifiche sostanziali della società.

Una ultima cosa, su argomento “camion”.

Tra noi, dare della camion a qualcuna è, fondamentalmente, un insulto. Ci ho pensato e ripensato, anche in virtù dei comments ricevuti, non va bene.

Un tempo, quando ero più dolce di sale e meno incazzosa di così, avevo una precisa teoria sulle lesbiche de-femminilizzate. Devo averla dimenticata per opportunismo scrittorio.

Pensavo che la de-femminilizzazione fosse un modo preciso di sottrarsi allo stereotipo. Una donna-donna non è una immagine di Vogue, è una persona con caratteristiche interiori ben precise che non corrispondono affatto alle costruzioni di marketing. Mi vengono in mente, come già detto, credo, le statuette africane della fertilità.

Cmq questo discorso lo affronterò con più tempo, ma ci vuole coraggio, in fondo, a sottrarsi alle aspettative.

Detto questo, aggiungo che la mia vita è una gran bella vita e chiudo qui.

I misteri dei widget

birra.jpg 

Non ci posso credere, avevo caricato “tanti auguri a te” del coro dell’Antoniano e poi ho ben pensato di cambiare colore al box della musica.

Mi scomparve e non riesco a farlo ricomparire.

Uff. Oggi vado a lavorar e non ho tempo.

Il tutto per festeggiare ‘sti 10.000 clicks. Eccheppalle.

Stasera mi dedico, ma ho poche speranze, se qualcuno sa dirmi come recuperare il codice originario del box.net mi fa un favor. O ci passerò la notte.

Alf**, sei tornato più iperattivo del solito… ma meno male, sei il mio compagnuccio di cazzeggio preferito.

Peraltro si festeggia il 7 marzo al Circolo degli Artisti e, ripeto, chi mi pesca e mi identifica ci guadagna una birra.

Caccia a Penelope.

Ma come mi è venuta in mente ‘sta strunzata?

Buona giornata a voi e a me, che proprio a lavorar non ci vorrei andar.

Essere lesbica o “del lesbodramma”

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Soundtrack: Joan Armatrading – Love and Affection

La soundtrack è emersa dalle nebbie del passato. E’ stato il mio pezzo preferito per tutti gli anni dell’adolescenza e non sapevo perché, poi dimenticata per un po’. Poi riutilizzata per automassacrarmi durante il lutto relazionale, poi eliminata, poi nel video di Bette e Tina. Non potevo esimermi.

E non potevo esimermi dal chiarire un paio di cosette a chi legge e partecipa a questo blog, prima di virare verso la politica e la società in genere, in vista delle elezioni prossime venture.

Lesbiche si nasce, sia chiaro. E nel momento preciso nel quale ti accorgi, bimbetta non più che seienne – negli anni 60 e 70, spero dopo sia stato diverso – che le bambine ti sembrano di gran lunga più interessanti dei maschietti, capisci che non puoi, mai e poi mai, dirlo a nessuno. E non sai bene perché, ma sei certa che sia così.

Ne hai la certezza quando, prima o poi, in famiglia o nelle famiglie delle tue amichette del cuore (nel tuo caso per davvero del cuore, mica pizze e fichi) senti, per la prima volta, la parola “morbosa” accoppiata al tuo nome.

Entro gli otto anni hai perfettamente imparato a dissimulare. L’unica cosa alla quale è difficile resistere, è il gioco. Non ce la si fa a condividere bambole e pentoline, proprio no, quindi ti mescoli coi maschi per fare giochi dinamici e pericolosi o, in alternativa, riesci a convincere una intera famiglia a regalarti soldatini, pistole e travestimenti maschili.

– Slice of Life: 5 anni all’incirca io, 5 anni all’incirca amichetto maschio del palazzo. Accordo preso verbalmente prima di vedersi a casa sua: “Allora, tu porti le barbie, mettiamo sul tappeto le tue barbie e i miei soldatini. Ognuno gioca con le cose dell’altro ma, quando entra mamma, facciamo a cambio, in fretta. Va bene?”. –

Piccoli Gay crescono.

Nei giochi di ruolo, la rising lesbian si presta a fare sempre la parte del maschio. Il che va benissimo per il gioco e le compagne di gioco, che devono fare anche loro le prove tecniche di relazione e i maschi tra i 9 e gli 11 anni, di solito, non giocano con le femmine. Ma prima o poi una madre qualsiasi si insospettisce e, 90 su cento, ritiene indispensabile venire da te e chiederti perché ci tieni tanto a fare la parte del Conte Levinsky (un ladro gentiluomo e sciupafemmine che finiva sempre per baciare le principesse). E aggiunge, 95 su cento, che non è tanto normale.

Ma tu non vuoi fare la signorina dell’800 bisognosa di aiuto, nè giocare a mamma e figlia, nè vestire e pettinare le bambole. Quindi smetti di giocare con le femmine.

A 12 sai esattamente cosa sei e sai esattamente cosa fare perché nessuno se ne accorga. Limiti la tua “morbosità”, impari a controllare movimenti, sguardo, pulsioni e a ritagliarti momenti che ti possano emozionare. Ma non sei come le altre. Lo sai tu, lo sanno loro. Allora impari anche a crearti una vita parallela, del tutto pubblica, compresi i poster degli idoli post-puberali. Ma tu vorresti la foto di Fanny Ardant sul comodino.

Tant’è. Comincia la vita sociale, quella che ci si aspetta da te, mentre intorno arrivano informazioni precise sul tuo essere la persona sbagliata al posto sbagliato. La religione dice che sei un abominio, la società dice che sei una malattia, il cinema dice che quelle come te si devono impiccare, i giornali dicono che è una vergogna. Magari in famiglia qualcuno dice che le lesbiche fanno schifo.

Ma sei tu.

E poi ci sono gli anni dell’adolescenza, passati a combattere con quello che sei e quello che dovresti essere e quello che gli altri si aspettano tu sia. Come tutti gli adolescenti, del resto, ma con la certezza di dover essere altro da te. Bere o affogare.

E poi, se va bene, se hai buoni amici, se hai una famiglia che non viene proprio dalle caverne, se sei in una grande città, se hai rinforzato le spalle a sufficienza durante gli anni della formazione, il resto scorre liscio. Impari a fottertene di quello che gli altri dicono, a ignorare gli insulti per strada (succede, allora e ora), a fingere di non sentire frasi che, se non avessi imparato l’arte della dissimulazione fin dalla più tenera età, ti aprono voragini nello stomaco e ti spingono ad intervenire con il miglior Iriminaghè (tecnica aikido) tu abbia mai fatto in vita tua.

E smetti di incazzarti per quello che dice il signor Ratzinger, che pure parla di te, della tua vita, del tuo sentire  e del tuo modo di amare, capisci le ragioni della politica nel non voler considerare le tue necessità che sono solo quelle di una società civile, incassi gli insulti televisivi e cinematografici e impari ad entusiasmarti per cose come the L word. Ci sei tu dentro, finalmente non devi fare operazioni di traslazione personaggi per identificarti.

Pochi giorni fa, qualcuno al lavoro ha detto “vedere due donne che si baciano mi fa schifo”.

A me non fa schifo vedere un uomo e una donna che si baciano. Semplicemente non mi interessa, come non mi interessano due uomini o un essere umano e un elefante (bè, magari lì mi incuriosisco un po’). Ci sono ragazze/donne che vengono cacciate di casa o dal lavoro – ancora oggi -, che vengono picchiate, persino uccise, perché sono lesbiche.

E Shulypoo chiede a che pro impegnarsi tanto a difendersi.

Vedi tu.

 

Lesbiche romantiche

Beccatevi questo:

Così non sarò la sola a non dormirci la notte.Inoltre mi rivolgo ad uno dei favolosi. Guarda e Impara, ciccio! quindi chiedo anche ad altri uomini dotati di un minimo di buonsenso di fare una comparazione tra le scene di sesso tra lesbiche che sono abituati a guardare sui porno e le scene che si vedono in L word che, non saranno hard, ma sono hot.

In generale, mi scuso per il livello da me raggiunto in quanto fan di una serie televisiva.

Ma non si può immaginare quant’è bello vedere una cosa che ti riguarda davvero. E di questo parlerò, prima o poi, anche per spiegare una paio di cosette che mi pare siano soggette a misundarstanding.

Adesso ci ho l’ormone impazzito. Che ne farò?

Lesbiche: vita del branco

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Soundtrack: Nirvana – Come as you are

Le lesbiche si muovono in branco.

Si dividono in due grandi famiglie: le camion e le lipstick.

All’interno di ognuno dei due branchi possiamo trovare elementi di altre razze che, come pesci pilota, nuotano intorno alla loro categoria d’elezione. In entrambi i branchi, come già espresso in altre occasioni, i legami sono forti e cementati attraverso relazioni sentimental/sessuali assolutamente circolari. Non si entra in un branco senza una relazione di uno dei due tipi con una delle appartenenti

Chiunque sia abituato a frequentare una discoteca gay, un bar o una festa open, può riconoscere, dopo una breve ripassata a 360 gradi, le location dei branchi presenti. Tutte rigorosamente separate, tutte rigorosamente in nero (al più, verde militare). 

Nell’angolo che consentirà maggiore controllo del territorio e ampiezza di sguardo, si trovano le camion. Esse, gruppo folto ed aggressivo, sono sistemate secondo una precisa gerarchia che si ripete uguale a se stessa in ogni luogo del mondo.

La formazione è definibile: a punta di diamante. Al centro le più giovani. Coloro che devono essere sì protette da ogni possibile attacco esterno, ma anche utilizzate come esca per scatenare risse furiose e/o mostrare ad altri branchi la propria capacità di affiliazione. Ai lati le camion operaie con funzione di bassa manovalanza, controllo del territorio, raccolta informazioni. Al vertice della formazione le camion-capo. Le camion-capo sono spesso le più anziane, dotate di maggior esperienza e si sono guadagnate il ruolo attraverso battaglie e lotte, affatto metaforiche, senza quartiere.

Nelle immediate vicinanze si posizionano le criptolesbiche, in genere accompagnate da amici etero, in attesa di essere agganciate e rimorchiate in luoghi bui ed appartati (ad esempio i bagni) per consumare brevi e scomposti atti sessuali. Può accadere, in fortunate occasioni, di scorgere qualche lipstick o – addirittura – qualche upper, che sgaiattola tra le strette maglie del branco, dopo un veloce accoppiamento, per tornare silenziosamente al proprio.

I movimenti del branco sono bruschi, veloci e imprevedibili, il rumore prodotto può essere assordante e serve, si suppone, ad annunciare l’arrivo del branco in modo che, chiunque abbia malauguratamente occupato il territorio prescelto, si possa allontanare senza subire danni fisici.

Ricordiamo ai neofiti che si tratta di un branco aggressivo e diffidente. Vanno avvicinate con cautela, se possibile offrendo loro del cibo e senza mai, ripeto: MAI, effettuare movimenti bruschi.

Al centro del territorio in esame, leggermente marginali rispetto al punto focale, ma comunque in posizione visibile dai quattro punti cardinali, si stanzia il branco di lipstick.

Costoro sono in numero minore, rispetto alle camion e, in luoghi semibui, la livrea nera o grigia può trarre in inganno l’occhio dell’inesperto osservatore. Ma pochi secondi di approfondimento metteranno immediatamente in evidenza la differenza con le camion. Qui un roteare di chiome, lì il luccicore di un lipgloss e, spesso, gestualità tipiche da risposta al corteggiamento (capo rovesciato, risata ampia, mani sulle spalle, eccetera).

Il branco di lipstick rispetta una formazione rigida quanto quella delle camion, ma estremamente articolata. Alcuni studi si spingono a rapportare la “formazione tipo” delle lipstick con alcune disposizioni tipiche della strategia bellica dell’antica Roma, ma anche dell’antico Giappone. E’ affascinante, infatti, la perfezione estetica del vissuto spaziale di questo branco. Nulla appare lasciato al caso, la visibilità attiva è perfetta, quella passiva la migliore possibile anche nei luoghi più impervi, ogni cosa è al suo posto e qualunque elemento di disturbo viene delicatamente estromesso. Senza spargimenti di sangue, perlopiù.

La disposizione ricorda una spirale perfetta. Il fuoco della spirale è occupato dalla Lipstick Alfa. Da lei si diparte il tutto. Le distanze sono calibrate. Alla Alfa, quindi, seguono le lipstick senior, le junior e le altre sottospecie in ordine di importanza. La spirale prosegue con le Vintage che, da sempre, sono pesci pilota delle lipstick, quindi ecco le Ciro seguite a ruota da alcune cripto che, loro malgrado, non hanno accesso alle parti centrali della spirale (pur desiderando ardentemente di avvilupparsi indissolubilmente ad una lipstick). La perfetta linea armonica è chiusa da alcune camion che fungono, com’è ovvio, da protezione per il gruppo.

Da notare che lo scambio di branco avviene solo ed esclusivamente in una direzione. Si sa, le leggi della natura sono oscure ma imprescindibili.

Il branco si muove con lentezza misurata, senza scatti, scivolando come una geisha sul pavimento o sull’asfalto, accompagnato da un lieve fruscio. L’arrivo, infatti, non deve mai essere segnalato per evitare emozioni eccessive, reazioni smisurate e, soprattutto, per sorprendere le camion.

Il branco Lipstick è, come già spesso affermato, amichevole e fiducioso. Nel caso si riscontri qualche episodio di ritrosia o timidezza, sarà sufficiente esprimere verbalmente un paio di complimenti standard (per esempio: “stai benissimo!” oppure “questo abitino è una favola”) per sciogliere ogni possibile riserva.

Articolo tradotto dal National Lesbographic. Anno 2008.