Voglio essere lipstick

riscio

Soundtrack:Fdel – Ladies and Gentlemen

Veloce che ho fretta di andare a dormire. Domani sveglia militare.

Prima di tutto mi preme fare presente che il mondo intiero è un manicomio assoluto.

La gente è fuori di testa e tutti indistintamente credono di essere gli unici sani tra i matti.

Poi Mork è una hacker che mi entra nelle pagine di stat counter. Ti ricordo che è un tantinello illegale e che è inutile che provi a rabbonirmi su facebook, ti sputtano qua lo stesso.

 Attualmente il testo sulle bozze di wordpress ha una misura variabile tra i tre e i sei punti e non vedo una mazza.

Quindi veniamo al dunque.

Sono stata, per anni, una lesbica camion. Poi sono passata al rango di vintage, conservando la base camion e accompagnata dalla variante banana.

Ebbene mi sono rotta il cazzo.

Sono una signora, ho un’età, resto una gentillesbica inguaribile ma mi rifiuto categoricamente di essere trattata come una camion pischella in perenne debito nei confronti delle fiche di legno e delle principesse.

Dunque nessuna si aspetti più di potermi estorcere un “accompagno” di notte perché “da sola ho paura”. Da oggi anche io divento una inguaribile coniglia e chi ritiene di avere più diritto di me ad una rapina o ad uno stupro notturno, si pigliasse un cazzo di tassì.

Chi ha da montare e smontare armadi pax è pregato di chiamare i rumeni. A me mi si spezzano le unghie che da stanotte lascerò crescere a dismisura.

Chi ha pacchi da trasportare si doti di un carrello con rotelle. La Penelope ha una certa età e rischia il colpo della strega o la sciatica. Anzi, a questo puinto direi, accompagnatemi a far la spesa che i sacchetti sono troppo pesanti per le mie fragili membra.

Resto disponibile per uno o più di questi servigi, in un unico e indiscutibile caso.

Che me la si dia.

Altresì, fottetevi o chiedete a un portatore sano di pene. Io sono oberata di impegni.

Buonanotte e baci a tutti.

Caffè con Proust la sera. E la mattina?

penny-sbadiglia

Soundtrack: Chopin Notturno op. 15 n. 2 (ma mia nonna lo suonava meglio di Pollini)

Passiamo ad argomenti più adatti alla fragile e incompleta mente della Penelope.

Avendo essa (Penelope) pronunciato la frase “che ne dici di un aperitivo” durante una sorprendente telefonata, essa (Penelope), da svariate ore, sta cercato di trasformare, dentro di sé, codesto debole e tremante miagolio subsonico da gattino spelacchiato nel potente ruggito di una lesbica predatrice.

Ci riuscirà?

Nel frattempo i 7 nani che albergano in me (passiamo alla prima persona, che la terza fa tanto Maradona) si accapigliano per stabilire quale sia il prevalente.

Sto tentando di fare fuori Mammolo, ma è duro a morire.

Gongolo passa il tempo a dondolarsi ed è un coglione narcisista che invece di muoversi e fare cose, si ripete all’infinito “come sono bravo buono e bello”. Non serve.

Brontolo parla al cellulare con Alice e R**, sfrantumando loro palle in modo inverecondo come si fa, di solito, tra i 13 e i 16 anni. ‘Na pentola di fascioli. 

Eolo tossisce come un vecchio tabaccoso e si pone problemi epici senza soluzione “Biancaneve non è una tabagista!”.

Pisolo ha l’insonnia, fuma 800 sigarette e si attacca a feisbùk per non pensare. E’ meglio quando dorme.

Dotto non sa un cazzo e non trova letteratura di riferimento. Si è persino tolto gli occhiali.

Cucciolo è meglio che se ne sta a casa che proprio non è il momento.

Ho una certa preoccupazione nei confronti della mia salute mentale.

Detto ciò, stasera Alice mi ha condotto al Teatro dell’Orologio a vedere una meravigliosa pieces (ma si scrive così?) che si noma: “Il caffè del signor Proust“.

Credo che Alice stia tentando di fare di me una donna acculturata e sensibile all’arte.

Non ho frequentato teatri per un ventennio circa, dato che il terremoto del 1980 me lo sono fatto in un teatro a Napoli. Mi è rimasta una certa sensazione di angoscia ed oppressione. Per lungo tempo. Ora va meglio.

E’ uno splendido monologo che racconta gli ultimi otto anni di vita del Marcel.

L’attore, Gigi Angelillo, è di una bravura sovrumana.

Si svolge in tre sale diverse ed, in ognuna, sei assalito da odori particolari ed evocativi persino per me che, si sa, sono anosmica totale. Si chiama “teatro sensoriale” (leggero, mi specifica la Alice dall’alto della sua conoscenza).

E’ delicato e dolcissimo, persistente nell’emozione, inusuale, pieno di dettagli da letteratura, è un libro da leggere e una storia da ascoltare. E’ un’anima gentile che parla che ti incanta con il profilo della sua voce.

Andatevelo a vedere.

Mi sono accorta che ormai non guardo più. Ascolto soltanto. Tv e cinema prima e adesso anche in teatro. Non mi pare normale.

 

Noooo, io non ce la faccio.

ermellino

(cercando foto sul web, ho potuto notare, che tutte quelle un po’ ironiche sul modo di vestire del papa, sono inaccessibili, che si sappia)

Soundtrack: Frankie HI-Nrg Mc Quelli Che Ben Pensano

Non volevo entrare in questa discussione. Non volevo entrare perché so che mi incazzo e non posso fare una beneamata mazza (beneamata?).

Per ora i link. Qui e qui.

Faccio i piatti e torno (ho la sensazione di confondere feisbùk e blog, strano…).

Eccoci qua.

Ascoltare cazzate sulle quali non ho alcun potere di intervento mi deprime. Per questo preferisco starne fuori.

Qualche sera fa guardavo un serial abbastanza seguito: “Cold Case” (la detective protagonista gliè ‘na favola a guaddasse, oltretutto). Tra i detectives nasce una ipotesi e lui dice a lei: << vabbè, ma non è che “prete” significhi necessariamente “pedofilo” >> e lei risponde: << questo è da dimostrare>>.

Lo scandalo della pedofilia tra i preti cattolici, in USA, ha avuto una risonanza ed un impatto enorme. Al punto da finire nei serial TV. 

 Abbiamo un papa (e la minuscola è intenzionale) tedesco della gioventù hitleriana, teologo (una evidente contraddizione in termini, mi pare che per loro ammissione la parola “scienza” e la parola “divinità” non vadano in accordo), sostenitore – da cardinale – di un ritorno ad una morale religiosa che ricorda da vicino la vendita delle indulgenze e che ora, da papa, tira fuori dagli armadi le toghe di Prada e le pelliccette di ermellino, un tipo che, da quando è salito al soglio, ha mandato in rovina decine di locali zona Prati, dove scorrazzava con il suo gruppetto di pretini goliardoni capeggiati da padre George.

Ora.

Io non voglio scendere su questo piano, quello del gossip o dell’insulto facile, non mi va e poi per personale condizione solidarizzo con i gay di tutto il mondo.

Mi chiedo cosa pretendiamo da questo tipo di persone.

Considerando che lavorano alacremente, da un paio d’anni, per ottenere lo stesso peso politico nella geografia occidentale che hanno quelle altre teste di cazzo dei capetti islamici sulle nazioni orientali.

Mi spiace, ma ho il fegato verde e mi accorgo di esprimermi orrendamente. Ricapitoliamo.

Nel mondo occidentale la religione più seguita è quella cristiana. In particolare il cattolicesimo. Il cattolicesimo è strutturato come un’azienda e ha un preciso organigramma. L’amministratore unico del mondo cattolico viene eletto da un gruppo di dirigenti (caratterizzati da una uniforme rossa) e resta in carica fino alla morte.

L’amministratore unico non è soggetto a interpretazione, discussione, non interloquisce con i sindacati, non segue le regole sociali comuni, ha diritto ad una villa piuttosto ampia a Prati, ha un imprecisato numero di dipendenti, diversifica nelle produzioni e non paga i lavoratori sul campo.

Una multinazionale. Ed ha il tipico potere di una multinazionale.

Ma cosa produce?

Adepti.

Produce adepti e il suo è un diritto riconosciuto worldwide.

La legge cui si attiene, che risale ad alcune storie datate un paio di migliaia di anni fa, furono pronunciate da un tipo piuttosto strano. Probabilmente un comunista, un hippie o, comunque, uno che credeva di essere un ammistratore delegato e che risulta avere rinunciato a parecchi dei suoi privilegi. Parecchi. Niente veicoli privati, niente segretari, nessuna divisa aziendale, struttura cooperativa.

Ma pare che la questione non abbia più alcun peso.

Ha peso la globalizzazione, la concorrenza sul mercato della multinazionale Islam, di quella Yddish (da sempre pericolisissima, si sa) ed un altro paio che, comunque, restano abbastanza controllabili.

Le altre fanno colore.

A occhio, mi pare che Cattolica import-export e Islam Inc. abbiano fatto cartello.

– Ma sto delirando forte, io –

Quindi, da questo sistema allucinante che ha, come unico scopo, la conquista del mondo, cosa mai ci si può aspettare?

Una morale?

Pedofilia, pratiche omosessuali, usura, collusione con sistemi di delinquenza organizzata, stragi, pulizie etniche, evasione fiscale, riciclaggio, incitamento al suicidio, tortura, stupri, plagio. Le hanno fatte tutte ma, nel loro caso, le parole si trasformano in (nell’ordine): oratorio, seminario, sostegno alle famiglie bisognose ed alle opere pie, difesa del diritto alla vita, difesa della parola divina, estirpazione del demonio, leggi divine, opere di beneficenza, insegnamenti morali, persecuzione del male, purificazione dei deboli, testi sacri.

Io non ho alcuna intenzione di assegnare a questa gente il diritto di giudicare il mio comportamemto e di definirne i confini di valore.

Il potere che viene dato a costoro (non firmare un documento contro la discriminazione di una parte dell’umanità, perché altrimenti un’altra parte ne verrebbe discriminata o non firmare un documento che garantisce i diritti ad una parte dell’umanità perché consente un diritto ad un’altra parte dell’umanità), io non capisco in nome di cosa venga dato.

Qui non si parla di religione. Si parla di politica globale. E mi fa schifo.

Personalmente non mi sento soggetta alla valutazione di un ecclesiastico, di una chiesa, di una religione.

Tantomeno di quella cattolica.

E gli omosessuali e i disabili (che accoppiata eh!) che si sentono parte di questo sistema che va sotto il nome di religione, farebbero bene a mettere in discussione il concetto di infallibilità e a considerare l’ipotesi che i tempi sono cambiati parecchio e che, com’è evidente, il mondo non ha più bisogno di una religione che stabilisca i confini tra bene e male. Siamo cresciuti (anche attraverso pricipi religiosi validi) e lo sappiamo da soli.

Abbiamo bisogno di altro che non è nulla di nuovo, ma mi pare fosse già stato scritto da qualche parte almeno duemila anni fa: giustizia sociale, diritti civili, riconoscimento del valore della persona (qualsiasi persona VIVENTE), collaborazione, comprensione.

Meglio rileggere, mi sa che ho esagerato.

 

 

Stucked.

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Soundtrack: Feist Intuition

Io, io , io. Io.

No, di Luxuria ancora non voglio parlare, non sono venuta a capo di quello che ho in mente, non sono d’accordo con le questioni sollevate da altri, non sono d’accordo nemmeno con quello che penso io.

So solo che se è vero che ha vinto perché il popolo LGBTQ si è mobilitato, pensa un po’ se ci si potesse mobilitare per qualcosa di vero e necessario. Ma non si può. E nulla cambia.

Che poi parlando di lei escono tutte. Anche i discorsi sul matrimonio gay. Che continuo a ritenere una pessima rivendicazione. Ma la R** stasera mi ha smontato le motivazioni e non so più cosa dire.

Mi si chiede della coltre di nebbia sollevata.

Che poi è calata di nuovo.

Mettiamola così.

Ho visto persone che stanno per dare direzioni precise alla propria vita e che, come spesso accade, vivono la paura e la voglia di tornare indietro di corsa e cancellando memoria e ragioni. Durerà poco, perché ognuno, alla fine, va dove deve andare.

Certo, nel frattempo, si sfrantacagliano le palle a me. Come se avessi equilibrio e solidità sufficiente per fare da palo per la lap dance.

E questo è un capitolo che, tutto sommato, non comporta grandi patemi o sussulti.

Ho anche visto adolescenti fragili e insicuri albergare in androidi dalle solide forme di adulti vaccinati e consapevoli. Capisco quindi, anche in questo caso, che il desiderio di frastagliare le palle a me deve essere invincibile. Devono essere calamitate. Come il miele per le api. Come se io potessi essere un fermalibro di uranio e non la carta velina che sono.

E in questo capitolo sono incastrata. Irrimediabilmente.

Incastrata negli occhi. Incastrata nei gesti. Incastrata nelle promesse. Incastrata in un gioco seduttivo che mi terrorizza e non mi diverte affatto.

Cazzo, mi divertisse, avrei materiale per anni. Perché sedurre ed essere sedotte è favoloso, di solito. E’ un momento magico e onnipotente, mi fa sentire solida e perfettamente a mio agio. So cosa fare, come farlo, quando scattare e quando svampare senza lasciare traccia che non sia la voglia di rivedermi. So vedere le mosse dell’altra, prevedere le successive e preparare la migliore faccia sorpresa che ci sia sul mercato. 45 anni serviranno pure a qualcosa. Di solito.

Per sedurre ognuno usa il talento che ha.

Tutto il mio corpo si dimena incastrato tra la sensazione di usare il mio talento e di essere usata, per il mio talento.

Niente di trascendentale. Non me la tiro fino a questo punto. Non ancora. Ognuno ha il suo: cani, porci e principesse.

Vado  rota. Mi placo. Vado a rota. Mi placo. Mi ipertendo. Mi addormento. Adrenalina. Serotonina. Vaffanculina.

Attendo i momenti. Temo i momenti. Cerco. Scappo.

Mi oppongo, Vostro Onore. Non si fa così, non è giusto. Una lesbica in solitaria va trattata con i guantini bianchi di lino, perbacco.

Mi dia altri dieci minuti, Maestà, che questa sensazione di solido contatto me la voglio sentire nelle vene ancora per un po’.

Ma insomma che cazzo vuoi?

Soprattutto, hai una vaga idea di cosa stai creando?

Immagino non ti sfiori il lobo temporale.

L’idea che io possa restare incastrata.

10 minuti 10. A far finta di esser disponibile ad altro che non sia rotolarti addosso.

Uffffff.

Dovrebbe e potrebbe essere un piacevole gioco sotto il MIO totale controllo. Gnente, te dico gnente.

Bah.

La R** dice che devo fare pace con me stessa. Me lo dice da anni. La guerra dei cent’anni. Non riconoscere le vittorie per non accettare sconfitte. Alla fine quello quell’è. 

Forse mi si fa davvero rappresentante sindacale. Forse no, dato che aspetto che scenda babbo natale dal camino e mi porti in dono la CGIL.

La volgarità degli obiettivi. La miserritudine degli obiettivi.

Alla fine anche questo, quest’è.

Io, io, io. Io.

Ti dovrò invitare a cena, uno di questi giorni, mia cara Biancaneve. Ce la giochiamo tra un primo piatto ed un dessert al cioccolato. Di certo da seduta non dovrei inciampare. E magari ne usciamo. Io ne esco, almeno.

Mi tocca fare la figa.

Dio, come mi secca.

 

Oggi

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Soundtrack: Orchestra Baobab – Come Alive (non è vero, non c’è, il box oggi fa i capricci e forse è meglio)

Volevo mettere una foto del presepone, ma non mi funziona la porta ad infrarossi e del bluetooth si è persa ogni traccia.

Volevo ringraziare Imogene, dato che dal suo link sono arrivate badilate di lesbiche svizzere.

Volevo scusarmi per il mio maleducato comportamento su msn. Che cazzo mi ci metto a fare se poi non rispondo a nessuno, non lo so neanche io.

Volevo avvertire che se domani si fa la cena mi metto un paio di stivali con tacco 7 a spillo e il vestitino.

Volevo dire che essere d’esempio mi fa impressione. Se fosse davvero così, stamm’ ‘nguaiat’.

Volevo suggerire a me stessa che forse soffro di una forma blanda di attacchi di ansia. Verificherò.

Volevo sottolineare che Feisbùk e i suoi giochini della minchia mi hanno completamente e definitivamente catturato.

Volevo dire al fab che mi manca, al doc che mi manca, a ziasaimon che mi manca.

Volevo dire pure che andare a lavorare mi sfracella le palle anche oggi (maddai?), però almeno c’è il presepe da fare, ma quest’anno ho meno idee del solito.

Voloevo dire che mi cambio la macchina, dato che in questo paradossale paese, se non hai una lira, ti conviene di più avere una macchina nuova che continuare a pagare la vecchia.

Volevo fare in modo che il post precedente scendesse più sotto e quindi ho scritto questo.

 

 

La definizione di una lesbica.

strakerfoster

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Soundtrack: Terra Naomi Up here

Prima dei 12 anni ricordo poco e male. Succedevano cose, mi attaccavo a persone ma non avevo idea di cosa fosse se non, a tratti e da un certo punto in poi, la sensazione di avere un disperato bisogno di interagire con le donne. Pensavo fosse una questione di orfanitudine.

A 12 anni ho dovuto scegliere. Fuori dal cortile della mia scuola media, guardavo delle figurine. Allarme rosso attacco alla terra. Tutte le mia compagne avevano una passione per uno dei due protagonisti: Straker (il biondo) o Foster (il moretto).

Non me ne poteva fregà de meno. Ma decisi che dovevo farmene piacere uno, non era normale che non mi interessassero.

Non ricordo chi ho scelto, ma ho attaccato la sua figurina sul diario. Ecco qua, così va tutto bene.

Lo avevo dentro, il senso di anormalità e diversità, lo avevo dentro così forte e così netto che ci ho fatto la guerra per vent’anni.

Uomini tanti, che non si dicesse che non ero interessata all’articolo. Tutti quelli che volevano me. Ché io non volevo nessuno.

I primi brividi ghiacciati veri a 17 anni. Insieme alle droghe, al sesso e all’alcool, anche le donne. Tante. Adulte e ragazze. Belle. Guardare e non toccare e cerca di non farti sgamare. Magari solo un po’.

Avevo un fratellastro che si presentava a casa periodicamente fidanzato con dei pezzi di figliuola da svenimento. Soffrivo e sbavavo. Poi uscivo. E scopavo, Con uomini. Perché non sia mai detto che…

Ma il mio fidanzato di allora (un biondino adorabile col mio stesso nome, amato da amici e parenti) se ne accorse. E si incazzò. E io non sapevo cosa dirgli. Volevo morire se possibile. In alternativa sprofondare. Eventualmente svaporare.

Ma io ancora non volevo dirmelo. A nessun costo. Non quella parola. Non una cosa tanto strana e anormale. Non una malattia come quella. Poco importa se sospetto che la maggior parte dei miei amici sia come me. Poco importa perché non si fa. Non si deve. Non si può.

Eppure non vengo da una famiglia cattolica, nè una famiglia moralista (no, moralista proprio no), non ho avuto un’educazione improntata alla morale comune, non ce lo potevamo permettere.

Ma mio padre ci teneva alla figlia femminuccia, la voleva la biondina magrolina educatina e ben vestita. Anche se mi lasciava guidare la barca, la macchina, se mi chiedeva di risolvere i problemi pratici e meccanici. E la moglie aveva un intercalare fisso “due categorie di femmine mi fanno schifo: le ragazzine incinta e le lesbiche”.

Inutile dire che sono stata entrambe.

Arrivata a vent’anni la guerra era del tutto consapevole. L’avevo in fronte e tra le mani. Non ne uscivo. Dagli amori folli e forsennati. Dalle figure di merda. Dalla morbosità irrefrenabile, dal bisogno costante di frequentare, vivere e sentire le donne e la loro voce.

Bastava pochissimo per farmi innamorare perdutamente e farmi passare notti su notti sudando e piangendo.

Sudando d’amore  e piangendo di paura.

Terrore.

A chi lo dico? si guarisce? è normale? mi schiferanno tutti. Nessuno vorrà avere a che fare con me. Mi cacceranno di casa. Non lo posso dire. Non lo posso fare.

Picchi di delirio intervallati da sospiri e sogni di possesso.

Talmente tanto e talmente forte che in analisi ci sono dovuta andare per forza. Ma questo è successo dopo.

Nemmeno con il fab riuscivo a condividere “questa cosa”. Nemmeno con lui, che pure ha regalato due anni di pace ad un cranio frullato e shakerato.

Ma dopo di lui le dighe si sono aperte. Non c’era modo per fermare pensieri e necessità. Non c’era modo di fare finta, non c’era modo di coprire le tracce, non c’era modo più di restare nel mondo dei normali.

Dio la paura che avevo. Non so neanche più di cosa. E’ talmente difficile ricordarlo ora, che mi sembra non sia mai accaduto.

Invece ci vivevo immersa dentro e senza riuscire a respirare. Fino a sviluppare ogni possibile sintomo visibile o invisibile. Fino alle allucinazioni (che l’abuso di droghe e alcool sostenevano ‘na favola).

I primi due anni, al corso di logopedia, credevo sarei impazzita.

Solo donne. Mi sono innamorata di tutte loro. Una dopo l’altra. Perdutamente. Inutilmente.

Ho “confessato” il mio amore assoluto praticamente ad ognuna di loro. Sono ben felice di avere dimenticato quasi del tutto le conseguenze delle mie dichiarazioni. Quasi, non del tutto. Ero pressante, maniacale, testarda e ottusa. Vedevo segni dove non ce n’erano (questo mi ricorda qualcosa di fin troppo recente) e mi incaponivo fino a farmi sanguinare cuore e cervello.

Poi una  di loro si è innamorata di me.

Uh? ma davvero? quindi non è una cosa che si svolge solo su me e intorno a me e per me. Succede a qualcuna che non sia io. Succede e adesso che si fa?

Ci si mette in piedi una relazione folle durata 6 anni credo, in un delirio di simbiosi, tradimenti con uomini e donne, maniacalità patologiche. Non importa se mi piace o non mi piace o quanto mi piace o quanto ci voglio stare. Diventerà acqua e pane, ossigeno e cemento, benzina e riposo. Diventerà tutta la mia vita.

E l’analisi. Per guarire da me. Per guarire da lei.

Freudiana. Trisettimanale. 6 anni interrotti all’inizio da una disperata fuga a Washington.

Ma non bastava l’oceano. Ero con me lì. a Bethesda. Niente era diverso e il dolore era devastante.

20 chili di burro di arachidi e maionese all’aroma di cipolla in 6 mesi. Su tutto il corpo, anche sulle orecchie credo.

La parola “Lesbica” non mi esce di bocca neanche sotto tortura. “Omosessuale” è un suono indistinto pronunciato a labbra strette. Non sono io. Non si parla di me. Per me è diverso cazzo.

E’ che ho bisogno di riferimenti femminili, io. Poi passa, appena cresco. Non sarà così per sempre.

Non mi accorgo che nessuno dei miei amici o dei miei parenti si sogna neanche lontanamente di schifarmi. Non conta. Mi schifo io.

SI torna in analisi. Si cresce. Si impara. Ma ancora non basta.

Intorno ai 30 anni il fab mi porta a conoscere il mondo gay partenopeo.

Esiste? esistono luoghi dove si riuniscono persone come me? come te? come noi che non sappiamo neanche dire cosa siamo?

Fino ad allora le mie storie le avevo avute, tutte intorno allo stesso filo. La base dei quattro cantoni, appunto.

Comincia la mia gaia vita e finisce l’analisi. Spariscono persone che, incolpevoli, mi avevano aiutato a massacrarmi l’esistenza. Diminuiscono le domande imbarazzanti (quando ti sposi? ma con chi stai?) e io imparo a mentire fin troppo. L’inutile schermo. La fatica della bugia non richiesta. Il bisogno di sentirmi dire “sarà che non ho ancora trovato quello giusto”. Continuare a trovare scuse e montare cosmiche puttanate a mio padre che diceva “porta anche lei”.

Omygod quanta energia sprecata. Quanto dolore inutile e improduttivo, quanta sofferenza autoprocurata nel nome di niente.

Ma non se ne può fare a meno, pare.

La bocca mi si comincia a sciogliere dopo i 30 anni. Amici gay, vita gay e famiglia lontana lentamente decimata.

Più nessuno da turlupinare.

E un amore grande, sereno, profondo, reale e pieno di sole. La sua famiglia compresa.

Se ne può cominciare a parlare.

Lentamente i ghiacci si sciolgono, gli anni passano e le cose scorrono, sempre più libere e serene.

A prescindere.

La mia famiglia se ne fotte allegramente, avrei potuto essere un tapiro, mi tollererebbero lo stesso.

Mia sorella Albus Silente sempre e comunque al fianco.

Mia nipote che si gioca la carta della zia lesbica con le amiche e fa la figa.

Mio padre che parlando con la mia ex e la prendeva in giro perché usava la pillola.

Mia zia che, al suo settantesimo compleanno, mi presenta a parenti centenari mai visti prima dicendo: “Questa è Penelope e questa è la sua compagnA!” (naturalmente mi sono nascosta in bagno per 20 minuti, poi mi sono resa conto che poco prima era entrato mio padre con la terza moglie, mia coetanea, e ho deciso che non era il caso di formalizzarsi).

Gli amici ricchioni e quelli no, che è lo stesso le amiche lesbiche e quelle etero, che non c’è gran differenza.

Le/i colleghe/i con le/i quali condividere e giocare.

Le battute, la solidarietà, l’affetto, il sostegno, le lezioni di sesso e lesbicitudine, le confidenze, l’ascolto, il cambiamento delle persone. Il mio cambiamento.

Il mio blog.

La mia vita.

La vita di una lesbica qualsiasi. Di una persona qualsiasi.

Quanto cazzo c’è voluto per arrivare a questo e quanto cazzo non ce ne era bisogno.

Penelope

pensa che sia arrivato il momento di parlare di come si arriva a definirsi “lesbica”.

Perché dietro tutti i commenti, il nodo è questo.

Lavo cesso, stiro panni, scrivo una cosa e poi mi dedico.

SUSPANCE.

Etero & Lesbiche

zoccoli

Soundtrack: Paola Cortellesi & Wooden Chicks ft Frankie HINRG – Non Mi Chiedermi

Non mi pare ne abbiamo mai accennato. Eppure è argomento di un certo spessore. perché sempre di donne parliamo e quando parliamo di donne dobbiamo necessariamente e consapevolmente comprendere una infinita serie di sottocategorie note ai più: zoccole, troioni, gatte morte, fiche di legno, profumiere… ed altre ancora.

E lo dico con tutto l’affetto e l’ammirazione che posso nutrire per le donne nelle loro multiformi livree.

Le amo anche per questo, sia chiaro.

I lunghi anni di militanza lesbica mi hanno insegnato alcune piccole cose da trasformare in regole necessarie per la sopravvivenza emotiva. Ne ho quattro.

Una è: mai e dico mai, interessarsi ad una etero. E’ questione di salute mentale. E’ una cosa che può distruggere la fragile psiche di una lesbica per quanto di lungo corso essa possa essere.

Quando una etero incontra una lesbica e capisce che codella è lesbica (e questo può accadere in un nanosecondo o in un’era geologica, dipende da vari fattori) scattano meccanismi da twilight zone.

La più controllata ed equilibrata delle etero può trasformarsi in un trojone alfa che se si rapportasse così ad un portatore sano di pene sarebbe considerata la sorella gemella disinibita di Jessica Rizzo.

Si può non crederci, mi rendo conto, potrebbe apparire eccessivo e romanzato, si potrebbe pensare che la volpe, stabilito che all’uva non ci arriva, risolve dandole della zoccola (all’uva).

Ma non è assolutamente così e, soprattutto, io adoro codesto comportamento (almeno quando sono nella fase bipolare ++).

Io lo vedo e mi sembra, ogni volta, un film.

Perchè alle Donne piace giocare, ma alle Donne non piacciono i giochi pericolosi. La seduzione è un gioco piacevolissimo. Ma anche pericoloso. Quando l’interlocutore è armato o troppo forte o troppo rozzo o troppo stupido, la seduzione diventa un pericolo quasi fisico. Senza contare che una etero ragiona secondo il principio che un “altro” uomo potrebbe seriamente mettere in pericolo il proprio standard di vita (matrimonio, coppia, persino il lavoro), mentre un’altra donna…

Cosa potrebbe mai mettere in pericolo un’altra donna? Se sei etero ti potresti innamorare di un uomo, ma di una donna… è ovviamente impossibile… solo curiosità… ma si gioca e basta…

Ovviamente, parte integrante del gioco della etero, è la consapevolezza che la lesbica, in quanto donna, sarà in grado di riconoscere ogni singolo segnale di troiosa seduzione strutturato su caratteristiche ricettive maschili, che ne resterà sopraffatta (perché noi donne non smetteremo mai di pensare che “la” concediamo e che quando “la” concediamo è un dono raro e ineguagliabile da accogliere con umiltà e tripudio), che il tutto può essere interrotto a piacimento in qualunque istante e a qualunque punto sia arrivato e che, se poi alla fine qualcosa ci esce, cosa sarà mai?

Dentro di sé, intanto, la lesbica resta basita. Le sfumature del basimento variano a seconda della esperienza maturata e del grado di autostima. La lesbica inizialmente osserva e pensa: “ma chest’ che cazz’ vuò?”, poi pensa: “ma ce l’ha con me?” poi si guarda intorno per vedere chi potrebbe essere il destinatario dello show, poi capisce (leeeentaaaa) e cede un po’. Ma anche no. A volte cede pure come una banana e da i numeri. Ma la lesbica ha poco da perdere, questo le etero non lo sanno. La lesbica ha l’imprinting della delusione amorosa e dei sensi. Anni e anni di palestra. Cuore forte e spalle potenti. Si lamenterà per un po’, poi passerà oltre a fare quello che ha sempre fatto.

Non so, in verità, come funziona per le etero, non so cosa si raccontano e come ricominciano a fare quello che erano abituate a fare.

Le donne che seducono altre donne sono una meraviglia e una forza della natura. Sono vene scoperte e pelle elettrificata, sono temerarie come tuffatori di Acapulco e spaventate come maruzze. Hanno sguardi e luminosità che agli uomini non sono concesse, hanno libertà e ironia, hanno paura di esserne catturate e non del contrario. Si fidano, le donne che seducono altre donne. Si scoprono. Fantastico.

Se una etero va a letto con una lesbica, di norma non lo dimentica più. Perché è diverso, Perché è forte, perché naturale, morbido e incredibilmente soddisfacente.

Se una lesbica va a letto con una etero, può dimenticarsene tra i capelli e le guance di altre decine di capelli e guance altrettanto lisce e cotonose.

insomma, che non si pensi che questo sia un post personale, ché ogni riferimento a fatti e persone realmente accaduti è puramente casuale.

Poi però succedono cose, metti ad esempio la mia ex, zoccolosamente abbordata in pubblico (=me, N.d.T.) da una etero che è poi diventata la sua amante ed ora la sua fidanzata…

Ehhh bè. Capita.

Di risvegli, lavoro e amici vicini e lontani.

risvegli

Soundtrack: Sylvie Vartan Zum zum zum

1 – Risvegli.

La nana si destò. Dormiva da seimila anni, mi sembra. E sognava di altri mondi paralleli dove accadevano cose e si poteva lusingare tutta quanta. La nana, al risveglio, ci ha messo un pochetto a realizzare che era uscita dal coma. Se l’è cantata e se l’è suonata per qualche tempo, subito prima del caffè. Poi ha dovuto aprire la finestra e fottersi. Sveglia sei e sveglia resterai. Vai a costruire seduzioni altrove, che qui ‘un c’è trippa pè gatti.

Sopravviveremo, si disse la nana. Un po’ mesta e un po’ consapevole che quando si desidera qualcosa e questo qualcosa non avviene, con un po’ di talento e qualche pezzo di carta e ferro, si può far finta che sia avvenuto.

O’ munn’ è come t’o fai ‘n capa (=il mondo è come te lo costruisci nella tua testa, N.d.T.). Come prova una famosa conversazione avvenuta più di una decade fa tra me e la mia amica Gabriella:

“Penelope, ho capito che A* mi ama!”

“E come lo hai capito, Gabriè?”

“Perché mentre baciava R**, mi guardava”.

Detto questo, stasera ci ho un poco le pive nel sacco, malgrado i maldestri tentativi di rassicurazione della Alice. Rien a faire. S’è fatto finta. Vabbè, format c:.

2 – Lavoro.

Giornata fantastica, under questo aspetto. Un tripudio di successi personali e collettivi. Un trionfo.

Absolutely.

Un ciccio piccolo comportamentale, riportato nei parametri di una modalità socialmente accettabile in meno di un anno, è un risultato più che gradevole. Manco a dire che non c’entro un cazzo, as usual. Come al solito si trattava di ascoltare, mettere paletti e dare fiducia. Nè più, né meno. Poco impegno, gran risultato da ascrivere a chi ve pare, quindi perché non a me? Rimane il problema della mamma che, come spesso accade, a veder il figliuolo cambiare, entra in paranoia, manco lo preferisse ingestibile e ciuccio. Ma si risolverà anche questo. La superlogopedista e la superequipe son qui per questo…

Poi un bel colloquio con genitori sfranti. Bello non di per sé, ma di per me. Quando mi sento sicura di quello che faccio e mi pare di avere in mano il mitologico polso della situazione, gli è una bella soddisfazione. Quando poi mi accorgo che i genitori hanno talmente intrioettato la figura della logopedista/signorina Rottenmeir, da vedersela davanti quando fanno qualcosa che non dovrebbero fare, è la vera onnipotenza: “IO… SONO… LA… LUCE!”. Per quanto anche questo potrebbe rientrare nel capitolo “risvegli” perché, e non poche volte, son convinta di dire le cose giuste e di aver centrato la questione mentre, nella realtà del mondo quotidiano, ho combinato un casino che la metà basta. Questo è il rischio, non si può avere tutto e, d’altra parte, questa volta mi pare di averla sfangata. Si vedrà.

Nel frattempo, il presepe di quest’anno è monumentale.

3 – Amici vicini.

Che io adoro, dei quali parlo e riparlo più che spesso. Devo supporre siano stati così gentili da entrare nel mio coma e sostenere la realtà parallela con affetto e fiducia illimitata. Ringrazio tutti, devo dire. Rassicura sapere che qualsiasi puttanata dico, mi credete, mia cara Alice&V**, mia cara R**, mio caro Fab2 e mia cara sorella adriatica. Abbiate la pazienza di darmi meno credito in futuro, bisogna pur tener conto delle salienti caratteristiche della mia personalità border line. Ma meno male che ci siete, sennò sarebbe una vita agra e sereticcia (=generalmente riferito al cibo, sta per stantia, secca N.d.T.), priva di sfumature e di fantasia.

4 – Amici lontani.

Il fab mi manca assaje assaje. Mi manca il suo sguardo impietoso, la sua cronica inabilità al gesto d’affetto limpido, la sua capacità di versarti addosso la verità delle cose con la rabbia dell’impotenza. Mi mancano le manone rassicuranti e il suo over-narcisismo che mi fa sentire a casa. Mi manca la sua tempistica, i suoi occhi preoccupati, il sorriso da gatto del Cheshire. Mi manca il suo sgamarmi, il mio sgamarlo. E le schermaglie dialettiche stremanti che perdo sempre (ché non c’è storia e chi lo conosce lo sa). Mi manca anche il suo digrignare i denti quando gli prendono i moti d’affetto e le domande inutili e inverosimili che tira fuori quando non ha voglia di parlare o quando vuole che TU dica qualcosa di preciso e insindacabilmente deciso da lui. Infine mi manca il suo cervello sguarrato (=aperto fino all’inverosimile, slabbrato, N.d.T.) e la sua presenza bionda.

Non te lo aspettavi eh?

Mostro.

Per quanto attiene a Biancaneve, resta inteso che la mia disponibilità è assolutamente invariata. Non sia mai detto che una gentillesbica come me venga meno ad eventuali, reconditi, sogni comatosi.

 

Aggiungo, infine, che ho declinato la richiesta di amicizia su facebook fattami dall’Amministratore Unico del centro per il quale lavoro, inviandoGli una mail che sì recitava (+ o -, mi so’ scordata):

Ciao °°°, niente di personale, ti assicuro, ma avere il mio capo tra gli amici di facebook mi fa un poco impressione e mi fa anche sentire un po’ limitata. Ti assicuro che non appena non sarai più il mio capo (cosa alquanto probabile, mi sembra), ti verrò a cercare.

Spero di non avergliela mandata proprio così, che mi pare una minaccia. Aspè che controllo. Ah no, ecco: “Quando non sarai più il mio capo (cosa che non mi pare improbabile), prometto che ti contatterò”. Era così. Suona meglio.

Staremo a vedere.

grilloparlante

Soundtrack:Charlotte Martin – Haunted (tutto ve lo metto, tutto l’album)

Mannò, che vedere? devi fare.

No no, io sto a vedere.

Dato che quello che vedo non torna, io mi siedo un po’.

Ma che altro dovrebbe accadere?

Che cazzo ne so. Mica pizze e fichi, qua.

Ho un grillo parlante in testa che borbotta come una pentola di fascioli.

Il grillo sostiene che non è tutto oro quello che luccica, che ogni cosa potrebbe essere il suo contrario e che la prudenza è d’obbligo.

Che palle ‘sto grillo.

 

Post mattiniero

non-ho-ancora-bevuto-il-mio-caffe

Soundtrack: Dionne Farris I know

I post della mattina vengono sempre in un altro modo. E poi per ora c’è il sole.

Dunque.

Con la mia solita ed assoluta mancanza di discrezione personale, spiego.

Ho preso una gran botta. Di quelle che mi provocano comportamenti “banana” senza appello.

Scivolo, cado, mi sputo addosso, mi cola il naso, rovescio le cose, sbaglio le parole, perdo il controllo e mi comporto come una adolescente (anzi un adolescente) mentalmente instabile.

E mi diverto un sacco.

C’è da infilare, tra parentesi o per inciso, che qualunque lesbica sana di mente che abbia superato i 17 anni d’età e sia vissuta anche solo un anno fuori da un collegio svizzero di suore trappiste, saprebbe che una cosa del genere è da evitare come l’antrace, pericolosa come una ringhiera fuori norma di un balcone del quinto piano e carica di un potenziale devastante come una legge di Berlusconi.

Ma siccome io banana sono e banana resto, veleggio nel mare dei “mi pare”, “potrebbe”, “ma forse”, senza un freno che sia uno.

Le mie amichette mi guardano/ascoltano e dicono “che cosa carina”, rafforzando in me la convinzione che i segni neurologici avanzano indisturbati nel mio floscio cervellotto.

2+2 fa 4. Mi si dice. Ma potrebbe tranquillamente essere 18 – 6. Non so se mi spiego.

Quando sei all’interpretazione del gesto, sei una lesbica alla frutta.

Però, per ora, è divertente, vitale, piacevole e assolutamente energetico.

Mon dieu.

Ci vorrebbe un pezzo musicale adolescenziale, tipo il tempo delle mele. Ma è troppo. Cercherò di restare su qualcosa di dignitoso.

Buon mercoledì a tutti che, come sapete, è il giorno prima del giovedì, che è quello che precede il venerdì, che è l’ultimo della settimana.

La settimana è sfangata.

 

– Leggo ora il commento del Fab e mi stacco per un attimo dal mio nacisistico autocentramento. Son contenta di leggerlo così entusiasta, son contenta che sia Obama il nuovo presidente degli Stati Uniti e credo, davvero, che questo significhi qualcosa per tutti, indistintamente. Non mi importa se sarà o meno un buon presidente, mi importa che sia stato possibile far accadere l’inaccadibile. Si riparte e sono certa che sarà meglio comunque. –

 

Vi adoro, o lettori di codesto blog.

Soundtrack: Jestofunk – The Ghetto

Quando – dopo intensità quotidiane come quella di oggi e vari segni di cedimento neurologico progressivo -torno a casa, mi tuffo in Penelopebasta e trova l’acqua tiepida e profonda, mi arripiglio.

Certo, se non fosse per i 347 commenti di Alf**…

Comunque mi ricordo perché, percome e perquando questo blog è meraviglioso (per me).

Sono stanca parecchio e domani mi aspetta un convegnuccio ecm per diventare una brava logopedista da 40 punti all’anno (?).

Seminario sulla dislessia. Materia affascinante – e lo dico senza ironia -. Pensare che per qualcuno i segni grafici della scrittura non abbiano significato alcuno, che non ne avranno malgrado anni di scuola e di terapia, che non sarà possibile codificarli per trasformarli in suoni, nè trasformare questi suoni separati, nella mente, in un unico suono da associare ad un concetto, oggetto, verbo o qualsiasi altra cosa e, il tutto, senza cause apparenti, mi travolge di fascino (magari i dislessici non sono tanto d’accordo).

Vado un po’ a vedere se ho ragione io, con la mia solita prosopopea. Ovvero che gran parte se non tutti (tranne G. Bush, naturalmente) i dislessici puri (ovvero che non hanno nulla di associato tipo ritardi o disturbi del linguaggio e così via, non vi sto qua a fare una pippa) hanno una intelligenza piuttosto particolare e caratteristica. Sono brillanti. Sono da pensiero laterale. Sono acuti.

Sono persone che formano la propria personalità senza le facilitazioni della letteratura, dell’informazione, che formano il proprio lessico solo ascoltando. Minchia. Mica pizze e fichi.

Di solito il mio lavoro è questo: “ciccio, è pur vero che non sai leggere, ma sei un fenomeno dotato di giganteschi attributi”.  Quando funziona, è fatta, non leggono uguale, come ho già spiegato, ma della propria vita faranno il cazzo che gli pare.

Fine del primo paragrafo.

Qui a Roma è successo il delirio. Una protesta portata a braccia da ragazzi che hanno voglia di impegno sociale e di riscaldare la speranza di andare verso il meglio e non il peggio, è finita in mazzate politiche da brivido. Polizia connivente compresa. No history. Nessuno impara niente e questa città è libera di infascistirsi senza freno e con grande supporto. Mi fa orrore. Mi sono cullata nell’ipotesi che potesse, nel 2008, funzionare diversamente, che potesse essere battaglia civile, che potesse dimostrarsi un punto di partenza e di speranza. Son caduta dalla culla. Paese di merda.

Fine secondo paragrafo.

Si parlava sul blog dell’Alf** della questione “ghetto”. In relazione agli omosessuali, obviously. “Ghetto” come luogo riservato e delimitato, autoreferenziale, esclusivo fino all’autismo.

Io non ho nulla contro il ghetto, ripeto che lo ritengo fondamentale nella costruzione di sé. Penso anche, tutto sommato, che tutti hanno un ghetto, tutti sono cresciuti in luoghi fondamentali e chiusi che permettono di riconoscersi, confrontarsi, difendersi e rassicurarsi. Il tuo liceo è un ghetto, il tuo quartiere è un ghetto, a volte persino il tuo palazzo lo è. L’università, la discoteca dove andare tutti i sabato sera, il bar e la piazza dove stravaccarsi per ore.

Gli omosessuali, per anni, non hanno potuto contare su luoghi “qualsiasi”, hanno dovuto inventarne alcuni e renderli inaccessibili perché era necessario. Per proteggersi fisicamente, in alcuni casi legalmente e, soprattutto, psicologicamente. 

E lì sei difeso/a, ti riconosci senza sforzo, puoi contare su chi incontri senza doverti massacrare il petto dibattendoti tra “mi dice sì, mi dice no, mi mena, mi denuncia, sviene, muore d’infarto o mi ammazza se gli/le dico che mi piace?”.

E questo basterebbe di suo.

Aggiungiamo che è dal ghetto che sono nati i movimenti, le associazioni, le richieste di diritti civili.

Vero è che la tendenza a restarci, nel ghetto, è patologica e drammaticamente comune, ma questo è altro argomento.

Fine paragrafo terzo.

Oggi una ciccetta piccolissima di 3 anni e mezzo mi ha costretto a farle una lezione di educazione sessuale che proprio non volevo farle. E non perché mi imbarazzo, ché con i bambini non vedo di cosa ci si dovrebbe imbarazzare, ma perché la sua teoria mi piaceva tantissimo. Durante il gioco del dottore (lei dottoressa e bambola da visitare, disgraziati, ciccia piccola è, non maniaca sessuale), seguente conversazione:

“Fa male patatina”

“Ciccia Piccola, avevi detto che questa bambola si chiamava Luca”

“Sì”

“Allora niente patatina, tesoro, pisellino in questo caso, sennò dalle un nome da femmina” (con grande sforzo da parte mia di non utilizzare termini più appropriati e meno ridicoli di questi).

“No, iama Luca e pataina”

“No, Ciccia Piccola, non può avere la patatina se si chiama Luca”

“Sì , è piccoo, tutti piccoi pataina…”

“Tesoro, il pisello mica cresce dopo”

“Sì sì, piccoi tutti pataina, pooooi, creccono eeee…”.

ME-RA-VI-GLIO-SO.

Conclusione conversazione:

“Dottoressa allora sta bene questa creatura?”

“Sì, Capitano”

A me. Capitano. Saranno stati gli stivalotti?

Fine paragrafo quarto

Risposte on post ai comments precedenti:

@Alf**: innanzitutto prosit. poi vieni a Roma che ti faccio conoscere anche l’Alice, poi smettila di fare stalking sul mio blog, poi anche di usare il mio blog per fare acchiappanze a destra e a manca, poi è vero, sei simpatico, poi ti ho spiegato come accedere al blog di Alice. Mi pare tutto.

@Tribus: già sai.

@Alice: dopo conversazione di stamattina, premuto tasto: Ignore.

@Crila: perché io sono una dipendente a tempo indeterminato e faccio parte di un accordo firmato davanti a un prefetto e controfirmato dal sindacato. Tu sei una specialista consulente e ti becchi più soldi di me, di norma, ma senza sindacato ti resta l’avvocato… In realtà penso sia stato costretto a farlo dato che lo aveva inserito nell’accordo di conciliazione. Ma non è una buona cosa. Significa che gli restano soldi solo per il mese di ottobre e che da novembre fino a marzo ci fottiamo tutti.

@andreaibbamonni: macciao, chi sei? perché hai un nome sì complicato? perché pure tu uno e mezzo? facci sapere.

@unodei: mi pari un ADHD. Già da mo’ stai a pensare a quando dovrai ritornare? c’è tempo. Mi manchi però. Vorrei fare il natale con te. Come puoi pensare che avessi recuperato? con Ste** è diverso, l’ho amata molto e non me le perdo le persone che ho amato. Ma lei no. Neva eva.

@Elide: mia nipotazza adorata, chiamavi la zia e le sue lesboamichette e lo facevamo a pezzettini. Non avrebbero ritrovato neanche un bulbo pilifero di egli. Ma è andato via? meno male che riparti. Devo chiamare sua madre? dimmi, A ZIA, che ci penso io.

@r: grazie per stellina da Paris e per averlo fatto con l’IPhone… Vero, sciarramento (=allontanamento devastante, rottura insanabile, N.d.T.) es normalidad, ma pure es normalidad grandi amicizie dopo reiterati tentativi di omicidio.

@ziasaimon: effettivamente è un pezzo un po’ da pinnolo con smile disegnato sopra. Ogni tanto mi piglia. Non è vero, i fatti li sai ma, giustamente, non te li ricordi, visto il loro basso e scarso livello e, fondamentalmente, il “chissenefotte” mi pare il miglior comportamento applicabile alla questione.

Fine paragrafo quinto.

Mioddio un post chilometrico, meno male che sono stanca.

 

La Camion che è in me.

Soundtrack: Alexkid – Come with me

Al mercato delle scarpe di Poggioreale, in G.C., in una passeggiata individuale sotto ad un sole da spiedo, la camion che è in me ha preso il sopravvento.

Il risultato sono gli stivalotti nella foto.

Periodicamente essa (la camion), tira fuori la capuzzella e si impone sulla vintage neutra che cerco faticosamente far prevalere come personalità lesbica dominante sulle altre.

La camion che è in me sogna (e qualche volta ottiene):

  1. Stivali con gli speroni;
  2. tute militari mimetiche originali;
  3. pantaloni di pelle nera;
  4. pantaloni multitasche;
  5. anfibi originali;
  6. canotte nere a girospalla;
  7. giacche da marinaio;
  8. borsalino e panama;
  9. felpe imbottite;
  10. cappotti lunghi e blu da ammiraglio ottocentesco;
  11. bretelle.

Di solito resisto, ho una dignità da difendere.

Ma a volte scivolo, la personalità camion è, comunque, molto volitiva. Non sono bastate le decine di anni di faticoso lavoro per tenerla a bada.

Per fortuna di tutti, e di chi mi frequenta in particolare, gli stivali con gli speroni non si vendono.

Me la vedo: la camionista nana procede nel far west metropolitanto accompagnata dal “klang klang” degli speroni che spuntano dai pantaloni di pelle sotto al cappottone blu con bottoni dorati e gradi sulle spalle e, in testa, un borsalino bianco.

Ommioddio

Signore dammi la forza…

 

 (ultimamente codesto blog soffre assaje della mia addiction a feisbùk. Spero mi passi presto)

I tests

Disorder Rating
Paranoid Personality Disorder: Low
Schizoid Personality Disorder: Low
Schizotypal Personality Disorder: Moderate
Antisocial Personality Disorder: Low
Borderline Personality Disorder: Low
Histrionic Personality Disorder: High
Narcissistic Personality Disorder: High
Avoidant Personality Disorder: Low
Dependent Personality Disorder: Moderate
Obsessive-Compulsive Disorder: Low

Take the Personality Disorder Test
Personality Disorder Info
What mental disorder do you have?

Your Result: ADD (Attention Deficit Disorder)
 

You have a very hard time focusing, and you find it difficult to stay on task without your mind wandering. You probably zone in and out of conversations and tend to miss out on directions because you cannot focus

Manic Depressive
 
GAD (Generalized Anxiety Disorder)
 
Paranoia
 
OCD (Obsessive Compulsive Disorder)
 
What mental disorder do you have?
Quiz Created on GoToQuiz
“You are 36% Narcissistic”
 

You have some symptoms of narcissism. You tend to take advantage of others and exaggerate achievements in order to get the praise and attention you rightly deserve.

Are you Narcissistic?
Take More Quizzes

 

Per colpa di Shuly, sono entrata nel gorgo dei test psicologici on-line. Sarà anche stata la cena thai.

Volevo dire che questo, per me, è un periodo delirante, bipolare, stravagante e ambiguante.

E infatti non scrivo per voi, o lettori di Penelopebasta, ma per me. E si vede.

Certo il mio disturbo narcisistico ne risente, c’è da dire.

Ma mi necessita, quindi fottetevi. Prima o poi passerà.

Stasera, durante l’attesa al thai per portarmi le mie belle mono-porzioncine a casa, ho incontrato una lesbica.

Per la terza volta e, per la terza volta, ci siamo scambiate uno sguardo feroce. Più lei che io. In fondo sono banana e non reggo più di 16 nanosecondi lo sguardo altrui.

Perché?

Perché c’è sempre un che di sfidoso e ferocioso?

Uh, che domanda del cazzo.

In realtà volevo scrivere tutt’altro post. Ma poi il coraggio mi è mancato.

Buonanotte, silenti.

Agg’ fatt’ ‘a bott’

Soundtrack: Charlotte Martin Cut the Cord

Oggi ho sclerato. Sbroccato. Dato di matta. Azzeccato le punte.

Al lavoro.

Ho faticato moltissimo per evitare di fare due cose: distruggere l’arredamento e piangere.

Quando dico che ho faticato a trattenermi è letterale, non simbolico.

Ho alzato la panchina del cortile e volevo fracassarla contro la ringhiera.

Per un attimo ero al centro della scena finale di Zabriskie Point. In slow motion. In pace.

Eppure tutti questi anni dovrebbero avermi insegnato qualcosa.
Il punto è che non si tratta solo di questo.

Una delle NPI mi ha fermato e mi ha chiesto che avevo.

Ma non potevo parlare. A meno di scoppiare a piangere come un isterica del cazzo in piena crisi.

Ho cazziato le giovani colleghe per il loro disordine, ho urlato nei corridoi. Ho cacciato i colleghi dalla stanza dove dovevo fare una riunione.

Al ritorno in macchina ho pianto (ma solo un po’), parlando con M*. Che resta l’unica persona della quale mi fido, attualmente.

Mi sembra abbastanza.

Io non voglio stare così.

Buona parte di questo è il lavoro. Oltre 60 giorni a denti stretti, ogni giorno potrebbe essere quello dell’arrivo dello stipendio, ma non lo è mai. E allora domani, domani sarà possibile, domani potrò fare, domani si sistema.

Lo stipendio è tutto. E’ casa, è uscire, è scaricare la tensione, è regalarsi e regalare, è andare a prendere il computer in assistenza, è fare la spesa perbenino, è la benzina, è pagare le rate rimaste indietro. E’ offrire un caffè a qualcuno dopo tre mesi che chiunque mi conosce è costretto a mantenermi se vuole vedermi e uscire con me.

Questo basterebbe da solo.

Ma non è la sola cosa.

E’ vedere la gente tirar fuori il peggio di sé che mi fa incongruamente male.

E’ lo sforzo per restare vigile e fuori dalle mani altrui che mi fa sudare sangue.

E’  il vuoto che sento in questo momento. Non alleggerisce. Non ne esce un momento di rilassamento, abbandono, condivisione.

Me la sto vedendo da sola e questo mi affatica oltremodo.

Non ho più risorse, non ho più energie.

Non mangio, non dormo.

Non ne posso più.

Non ne ho più.

Non.

Stamattina ho avuto l’onore di una visita di una lesbica di passaggio londinese sul blog che ha ritenuto di dovermi insultare un po’ per un post che ho scritto.

Siamo sempre lì. E se siamo vent’anni indietro, noi lesbiche, è fondamentalmente perché non è possibile né un confronto, né l’ironia, né un dialogo. La filosofia di base è: “se apri bocca ti apro il culo”. No hope.

Mi accorgo ora che c’è la teutonica tettona all’isola dei famosi. Mi sono persa qualche cosa?

Un manicomio quest’isola. Ci starei certamente benissimo, al momento.

 

 

Sono preoccupata

Soundtrack: Maria Mena Just Hold Me

Mi preoccupa la ritrovata tendenza a perdermi per Roma. Stasera sono arrivata a livelli irragionevoli e ingestibili. Sull’Appia per arrivare al Testaccio. Al ritorno Tuscolana (o Tiburtina, o Aurelia, che cazzo ne so) per arrivare a Nomentana. No, dico, non è normale e non è un segno di salute.

Mi preoccupa il fatto che quando non riesco ad esprimere come mi sento, mi viene solo da piangere. Come un’adolescente, come una che non sa parlare, come una che si vergogna di dire “Mi ha fatto male e non è che io sappia dirti il perché ed il percome per filo e per segno, so solo che stavolta mi ha fatto male”. Anche se so che è un mio problema. Non è un segno di salute neanche questo.

Mi preoccupa la mia voglia di uscire e la mia difficoltà ad uscire di casa. Mi annoio dentro, a volte mi annoio anche fuori. A volte no, è bellissimo. Ma a volte uscire di casa è una fatica improba. Non è sano.

Mi preoccupa la mia gatta, che stanotte corre e urla per tutta la casa. Non la capisco. Come non capisco me.

Mi sa che abbiamo entrambe bisogno di una badante.

Stasera il Gloss era chiuso, karma di merda, e allora siamo andate a fare un po’ di lesbian watching al Coming Out, che tanto ci piace di far chiacchiere e avvoltolarci di parole e riscaldarci di concetti; non importa dove, importa con chi. Poche donne, come al solito. Bestie rare.

Da vedere: un gran numero di camion – percentuale preponderante – e gruppi di post-adolescenti J-lo. Ma anche devastazioni fisiche che fanno lacrimare il cuore. A volte vorrei fermarle e spiegare loro che questo non c’entra, che non aiuta, che la negazione è un orrore che si paga e che vestirsi da rapper maschio nero americano è un travestimento, una copertura e uno scudo. Non serve e non cancella. E’ solo un modo per non volersi bene.

Noi lesbiche abbiamo un problema di autostima. Gira che ti rigira, i maschi sono arrivati a risolverlo e noi, ancora una volta, siamo indietro di vent’anni.

Personalmente credo di avere un problema di sovrastima. Questo blog, d’altronde, ne è la prova.

Ho mandato affanculo la dieta anticolesterolo. Mi sono sfrantumata le palle, ho voglia di divorare spaventose schifezze saporitissime e mi va di scofanarmi quello di cui ho voglia. Non è periodo e non ci riesco. Mi preoccupa anche questo.

Avevo dato un ordine alle cose e questo ordine non riesco a tenerlo.

Sarà arrivata l’ora che io mi trovi una fidanzata?

Sarà arrivata l’ora che io mi fermi a ragionare un po’ su quello che faccio?

Sarà arrivata l’ora di dormire che sono le 3 e mezza?

Buonanotte.

Il gloss era chiuso…

Soundtrack: non si carica il box, anche questa va a vuoto

Ma si può?

Arriviamo lì e scopriamo che il sito del gloss mentiva su date e luoghi.

Quindi niente Gloss-party e invece birretta al Rox, sempre al testaccio.

Cmq la serata è stata piacevolissima.

Mi resta una sottile sensazione “banana”, ma non per ciò che si può banalmente supporre. E’ che per anni ti racconti che desideri qualcosa e stai lavorando per questo e poi, due parole al posto giusto nel momento giusto, dette da una persona che sa fare esattamente questo, ti dimostrano che sei chiacchiere e distintivo. E improvvisamente i sogni prendono una forma che pare immensamente complessa, non immaginata, quasi inarrivabile.

Santa pazienza.

Ma stasera per tornare a casa ho cambiato strada e non mi sono neanche persa. Siamo a buon punto.

Insomma splendido fine settimana.

Sabato a San Lorenzo con le ragazzuole arrivate da Garbage City con favoloso pane cafone e mozzarella di bufala (almeno 3 kg) . Parole e parole e parole e parole. Complicità, serenità, benestare, rilassarsi e cazzeggiare, scherzare e star serie, vecchi discorsi e nuovi modi di dire, la gioia nello stomaco e la testa leggera.

In tre nel lettone mi pareva di essere tornata adolescente.

Domenica al Pigneto. Kebab e caffè e mercatino e dildo.

Che era un gran bell’oggetto. Le ragassuole, sulle prime, si vergognavano di chiederlo e comprarlo.

Ma la signorinella del negozio le aveva sgamate prima ancora che lo desiderassero.

Un adult toy viola, di una strana avveniristica forma e di prezzo abbordabile.

Quindi si rientra nel negozio dopo aver negato di averlo guardato.

La signora esclama “allora siete tornate” e io, uso Troisi: “LE RAGAZZE vogliono quello” (zia).

Adolescere è una gran fatica…

L’acquisto si conclude con una serie di raccomandazioni sull’uso dell’oggetto e con la loro autorizzazione a scriverlo sul blog.

Che cosa carina. Un giorno faremo un capitoletto a parte su adult toys e lesbiche. Non vi aspettate un porno, per carità, sarò dildascalica e dildattica.

Abbiamo fatto inciuci che ne abbiamo fino al 2079. Abbiamo anche sparato sulla croce rossa e analizzato situazioni, persone, fatti, cose, parole.

Insomma ‘na meraviglia.

E Roma oggi era bellissima. Con questo freddo di autunno dentro ai colori ancora estivi e l’aria fredda e calda insieme e la luce forte e limpida e poca gente e quasi silenzio.

Loro sono andate via (col nuovo amico viola) e io mi son preparata al rendez-vous mancato.

C’erano la R*, Alice e Va*, la Omaha dispersa come al solito.

Ancora parole e parole e parole e starbene e sentirsi a proprio agio, a volte anche un po’ nude.

Da domani dieta colesterol free. Ora o mai più.

Io sto una favola, è Naomi che non è normale.

 

 

 

Non lo so ancora

Soundtrack: Charlotte Martin Beautiful life

Non lo so ancora quello che scriverò.

Ma voglio scrivere.

Da un paio di settimane a questa parte codesto blog sta avendo una quantità di visite inusitata. Dopo la moria delle vacche estiva, non si sta capendo più niente. E non è che ne comprenda il motivo.

Mi pare di non avere più argomenti altro dal mio noiosissimo e piatto quotidiano.

Del resto abbiamo già parlato dei misteri della vita del blog tempo addietro, ma non ho la costanza e la pazienza di mettermi a cercarlo.

Io mi sento in gabbia.

Irrimediabilmente in gabbia.

Eppure le cose vanno a sistemarsi.

E questo mi fa sentire ancora di più incastrata. Catena alla zampa destra, come una elefantessa da circo che gira intorno ad un palo da 75 anni.

Uno dei miei cicci, di circa 10 anni, oggi ha confessato di aver paura del lupo.

Stavo per avere una crisi isterica: aver paura del lupo a 10 anni è come aspettare i regali da babbo natale a 45.

Come cazzo si fa a lasciare che un ragazzetto di quarta elementare fantasizzi le paure come uno dell’asilo?

Poi ci ho pensato bene bene.

Anche io ho paura del lupo e, soprattutto, aspetto che babbo natale mi porti i regali. Ancora e sempre. E la voglia che ho di mandare tutto allegramente affanculo, sperando nel sempercerto regalo di babbo natale per risolvere la situazione, è talmente forte da soffocarmi.

Dover resistere, ragionare e stare (come un giocatore di sette e mezzo con un 5): mi opprime.

Voler andare, modificare, stravolgere e squilibrare: mi chiude i polmoni.

E tutte queste cose messe insieme non sono altro che paura del lupo. Paura di niente. Paura di una fantasia fiabesca e senza corpo.

Presumibilmente mi calmerò. Mi calmo, prima o poi.

Passiamo ad altro

Watching Grey’s Anathomy, ho letto da qualche parte che nella nuova serie c’è un amour lesbienne. So anche tra chi e chi. Ma non ve lo dico.

Si porta. Tutte le serie televisive più importanti hanno una lesbica tra i protagonisti.

Spesso muore, oppure le muore la fidanzata, si uccide, si trasforma in un serial killer, si converte. Insomma cose così. Mai che vada tutto normale come vanno le cose nelle coppie. Si incontrano, si piacciono, si amano, litigano, si schifano, si tradiscono, si lasciano. MAI.

I serial italiani si adeguano. Si adeguano con quella pudicizia braghettona tipicamente italiana. Non sia mai che si possano baciare, figurati scopare. Gli amori lesbici italiani sono strazianti, casti, momentanei e soggetti al giudizio del vaticano.

Che culo.

Nei film si va anche peggio. Nel primo film a tematica lesbica del quale ho memoria lei, l’orrido mostro che si era permessa di innamorarsi di Audry Hepburn (e te credo), si impicca.

Poi c’è quello dove le due fedigrafe si ammazzano volando da un burrone.

Poi ce n’è uno dove la ragazzetta si suicida buttandosi dal tetto del college.

In un altro la arrestano. In uno si da fuoco.

Ma non è mica finita qui.

Amori impossibili, non corrsiposti, redenzioni, manicomi… ne ho presente giusto un paio a finale neutro.

Anche qui viene naturale dire: “che culo”.

Volevo seguire l’isola dei famosi ma non ci riesco proprio. Mi fa cagar. Ci ho provato ma resisto circa 25 secondi. Tenetemi al corrente voi.

La mia gatta sembra un persiano col raffreddore. Ha tirato fuori la pelliccetta invernale in 24 ore. Peli lunghi 36 chilometri e starnuti scostumati. In cuollo a me.

Sarà un inverno freddo, mi sa.

 

 

 

Anima moscia

Soundtrack: Malika Ayane – Feeling Better

Ci ho l’anima moscia.

E devo andare a comprare le sigarette.

E non mi sono fatta la doccia.

In un neverending pijama da domenica pomeriggio.

Eppure cose da dire ce ne sarebbero.

Ho anche promesso un post sul sesso tra lesbiche a letto.

Ma poi mi imbarazza.

Devo scendere. Sigarette. Rota. Che palle le dipendenze. L’idea di infilare i pantaloni. Aborro. E poi espormi alle intemperie, al gelo autunnale improvviso e improvvido.

Non so se ce la faccio.

Ahhh bè, andiamo bene…

Allora?

Sappiate che siete tutti schedati. Sono la Granda Sora di WordPress. E non mi spiegherò meglio di così.

Tra i miei mosci pensieri odierni, anche uno sul fidanzamento. Il pensiero era: “E se mi fidanzassi?”.

Una risposta si è formata tra la parete posteriore del cranio e il deltoide. Era una risposta tridimensionale, con una texture marmorizzata ed un peso specifico pari a quello di un pietrozzo di Uranio.

Era una risposta molto chiara, limpida, assolutamente non equivocabile.

Era una affermazione più che una risposta.

La scritta di marmo e uranio recitava “MANCO MORTA” ed è arrivata sulla nuca alla velocità di un protone impazzito.

Sono svenuta.

Credo di essere ancora svenuta, è per questo che sono moscia?

Può darsi.

Ma come si fa?

E’ troppo complicato, fa perdere un sacco di tempo, scompiglia programmi, destabilizza ritmi.

Nun se ne parla.

E poi:

  1. bisogna incontrarla, una donna che ti faccia venir voglia di stravolgere l’ordine ossessivo che ti tiene in piedi, ma chere Penelopè;
  2. bisogna che lei incontri te, dear Penelopi;
  3. bisogna trovar la forza di essere seduttive, simpatiche, affascinanti, travolgenti, misteriose, socievoli, trascinanti e tu, mein liebe Penelopen, sei una uallera (=ernia inguinale, N.d.T.);
  4. bisogna ricominciare a spiegare (come diceva Lello Arena che non lo trovo su youtube), c’è da impegnarsi, si ha da essere un minimo collaborativi ed è necessario avere liquidità per sostenere gli incontri on the road, e tu non brilli nel lavoro di gruppo e non hai un euro, querida Penelopes.

Detto questo, ho detto tutto.

Parlar di sesso proprio non mi va, vero è che chi non lo fa ne parla, ma anche no.

Buonanotte, schedati lettori del blog di Penelope, vecchi e nuovi che voi siate.

E non mi si sfracantino i coglioni, please, che mi basta il fatto che devo andare a comprare le sigarette.

Bloggers & wine

Soundtrack: Goldfrapp Happiness

Venerdì intenso. Non esageriamo. Denso di cose fatte e dette.

Per ottobre le mie faccende lavorative si sistemano, almeno dal punto di vista economico. Resta da decidere cosa fare, per me. Restare, andare, spostarmi. Più facile decidere quando ho le spalle al muro, quando non ho alternative, quando sono in piedi su schegge di vetro e legni in fiamme. Ho sei mesi, vedremo.

La mia coinquilina è un ectoplasma. Che meraviglia. A volte penso che non sia una persona in carne e ossa, ma una bella ‘mbriana in regalo per me.

Iersera enoteca con la Omaha e la Alice e gruppetto delicatissimi e internazionali amichetti loro.

Momento bloggers&friends.

Loro, le bloggers, sono personcine amorevoli e piacevoli. Ovvio che lo scrivo perché mi leggono.

Ma è sempre un gran piacere incontrare persone che hanno da comunicare e che sanno interagire.

Contenta che qualcuno si cominci a fidare di me, personalmente con Omaha mi rilasso oltremodo e mi sento sufficientemente @home. Contenta che qualcuno (peraltro con il mio stesso nome) riesca ad oltrepassare i muri spuntuti ed abrasivi della mia antipatia cronica. Contenta di conoscere persone e punti di vista che non conosco e, infine contenta di sentir parlare inglese. Che quanto mi piace a me.

Forse un giorno riuscirò a parlare anche io, eccheccazzo.

Son tornata alle tre che non si smetteva di chiacchierare.

Devo essere ingrassata, i miei superpantaloni mi vanno giusti, in questo autunno già traumaticamente iniziato.

Che si abbia pazienza, in questo periodo non ho molta vena scrittoria, né voglia di approfondire pippe, né desiderio di analizzare persone e/o comportamenti, vuoi per le ossessioni quotidiane, vuoi per il bisogno che ho di riposare la cervella.

Son serena.

Senza apparenti motivi per esserlo.

Che culo.

 

Il concerto di Madonna

Soundtrack: Madonna Give it to me

Va’ che titolo originale. La foto è una merda ma il Nokia quello è.

Stasera concertone di Madonna all’Olimpico. Biglietto gratis. Da sola nei distinti.

Madonna sarà per tutta la serata un puntino bianco iperattivo e l’acustica una vera chiavica, con un eco corto corto che creava solo grande confusione.

Ma ci sono andata di lusso lo stesso, non era neanche lontanamente previsto ci andassi. Quindi niente da ridire, anzi grazie ad M* per il biglietto.

Salgo le scale del settore 52A e mi si apre davanti uno spettacolo fantastico che tronca un po’ il respiro: stadio stracolmo, umanità pigiata e indistinta ai miei occhi da talpetta, un dj fenomenico che intrattiene prima del concerto. Uno splendore.

Tra le file una rissa ogni due secondi. Questo è il posto mio, no siediti da un’altra parte, voglio passare, passa da un’altra parte, ma vaffanculo, vaffanculo tu eccetera eccetera.

Càpito in un punto ad alta concentrazione lesbica. All under 25. Benevento, Torino e Pescara. Rissosissime. Che ridere.

9 e 15 e si parte. La signora si leva subito dalle palle le canzoni che tutti vogliono, compresa Vogue. Ha riadattato tutto, i pezzi sono letteralmente irriconoscibili, se aggiungi la distorsione dell’acustica di merda, un paio di loro non ho proprio capito cosa cazzo fossero.

Salta con la corda e canta, la Stronza cinquantenne. Come cazzo fa? se io fra 5 anni mi metto a cantare mentre salto la corda, mi prende l’eliambulanza e mi deposita direttamente nel mio loculo al cimitero degli inglesi. Una via diretta.

I pezzi sono talmente diversi che la gente non può cantare, deve essere una bella soddisfazione.

Il palco non è fantasmagorico di per sé, ma ci sono delle immagini proiettate che sono bellissime. Filmati di animazione veramente particolari. E un paio di trovate fichissime e ipnotiche che zittiscono letteralmente lo stadio.

C’è una specie di cilindro fatto con una cosa tipo rete che sende giù e la avvolge. Sul cilindro proiettano immagini. A tratti sembra che lei stia cantando dall’interno di uno di quei souvenir con la bolla di neve. Si applaude alla bellezza dei giochi di luce. Che strano fatto. Poi escono dei pannelli semoventi rettangolari a misura umana su cui proiettano immagini di ballerini che ballano e che si interscambiano con ballerini veri. Meglio di così non lo so spiegare, mi spiace.

Scopro che è pro-Obama e pure lei maniaca della storia del riscaldamento globale (che da quando ho letto quest’estate il libro di Crichton, non ci credo più).

Trasforma “la isla bonita” (che di per sé è già una canzone orrenda e cafona che la metà basta) in un ibrido tipo balcanico o comunque rom-style. Siamo oltre il trash, siamo a livello differenziata. Ma mi viene il dubbio che in capa sua sia un messaggio, in particolare all’Italia. Ma forse sopravvaluto.

I musicisti credo fossero androidi, vista la precisione. Non li presenta nemmeno quindi sì, sono androidi. 

Ho la sensazione che abbia deciso di divertirsi molto e di impostare il concerto in fasi alternate tra loro.

C’è la fase old time con le canzoni sue vecchie, Like a Virgin è a cappella verso la fine per farla cantare anche al pubblico che era rimasto fottuto dai rimaneggiamenti di Into the groove e altre. C’è la fase rave, dove gli arrangiamenti ti fanno sentire in una megadiscoteca di Berlino e ti pare pure che ti sei calata ma non te lo ricordi più. C’è la fase rock dove suona la chitarra elettrica e gioca a fare la rock star anni 70 come da copione, compresa la distorsione del suono davanti all’amplificatore, alla Hendrix, suona col sedere… La fase cantante quando canta quasi acustica. Infine la fase bucchinariella (=furbetta, N.d.T.) dove spara bassi a palla, accordi in maggiore, luci ad effetto e bacia ballerine bonissime, nerissime, bravissime, sexissime. Fanculo come ho rosicato.

Preferisco decisamente la fase rave. Fantastica.

Due ore pulite pulite in piedi a ballare e cantare (ah, ma allora anche io me la cavo).

Il primo concerto di Madonna che vedo.

La percezione più forte è che 70.000 persone non chiedano musica, tantomeno arte, ma solo “facce divertì e stupiscici”. E lei lo fa, il puntino bianco iperattivo. Lo fa bene.

Quello che hai, se ti arripigli un momento dal delirio ballereccio, è la sensazione di esser di fronte ad un cartonato. Un cartone molto ben disegnato, vuoto ma esteticamente perfetto, falso come Giuda ma irresistibile. E chissenefotte se canta in playback. In fondo è come essere andate in discoteca insieme. Io e Madonna.

Anvedi.

Affinale Give it to me. Fantasticamente identica alla Radio version e quindi una droga, in pratica, non ti puoi esimere dallo sbatterti.

Il concerto si chiude con la scritta GAME OVER. Fa-vo-lo-so.

Nessuna richiesta di bis. Gnente, te dico gnente. Ci so’ rimasta male.

All’uscita riesco ad incontrare S*, V* ed E*. Contenta di vederle. Contenta di delirare per 30 minuti in un tripudio di napoletano urlato e sbracalone. Un po’ come mangiare la cotoletta alla milanese: sapore di casa.

Infine, aspettando L* che ci ritira per riportare M&M e me a casa, non resisto e libero una macchina di cinque giovani frocetti dalla trappola della seconda fila. Prima cerco di spiegargli come uscirne malgrado la macchina affiancata, poi mi offro per fare la manovra io e la faccio. Applausi a scena aperta da tutto il marciapiede. Dico al ricchioncello che, come sa, una lesbica al volante è una garanzia. Mi risponde che ho trovato le bionde giuste… Che teatrino.

Give it to me
Yeah!
No one’s gonna show me
How!
Give it to me
Yeah!
No one’s gonna stop me

Rami secchi, affetti lessicali, trasloco 10

Soundtrack: Sofa Surfers – Say Something (non ce l’ho, sentitevelo su last.fm qui)

Quindi si andrà a Monterotondo.

Non ci sono alternative. Non riesco a trovare qualcuno per questa casa. Eppure è carina.

E si rende necessaria la potatura. Definitiva.

Essendo io, fondamentalmente, una Lesbica_Banana, se ho un affetto, è fiducioso e sufficientemente incondizionato. Così mi servono molto tempo e molte, molte prove di inutilanza, per staccarmi e tagliare.

D’altra parte sono un po’ stanca di sentire dichiarazioni che appaiono politiche più che affettive. Bisogna prendere atto che dietro le chiacchiere non c’è nulla che le chiacchiere stesse. Ne ho avute troppe prove in questi giorni, per continuare ad ignorarle.

C’è chi finge desiderio di chiarezza per nascondere una furba pigrizia e una genetica inconcludenza, c’è chi finge interesse a distanza e non si interessa alla vicinanza, c’è chi promette momenti di comunanza dei quali poi, perde la memoria, c’è chi dichiara affetto smisurato per nascondere invadenza e compulsivo bisogno di controllo e sadomasochismo.

Sto imparando a fingere anche io. Sto imparando a sorridere e dire “ma certo, con piacere”. A qualsiasi cosa.

Ma non mi piaceva prima, non mi piace adesso. Diminuiscono sensibilmente i motivi per restare in questa città. Ma per questo c’è tempo.

Monterotondo non mi alletta, ma è un buon compromesso, tagliare non mi fa piacere, ma è un buon modo per liberarmi dalle inconsistenze che pesano e mi mantengono la testa impegnata nel nulla.

Ehhhssì.

Comincia una settimana che si prospetta faticosa. Rientrano pure i cicci piccoli.

Certo, se uscissi qualche volta, avrei qualcosa da raccontare, cazzo.

Si accettano volontari per impacchettaggio e trasloco: poca roba, in verità.

Buon lunedì a tutti. Rami secchi compresi.

Lesbiche_Banana

Soundtrack: Gabriella Cilmi Sweet about me

Le Lesbiche_Banana sono una categoria trasversale. Se ne possono trovare elementi in ogni specifica classe di lesbiche conosciute. Le manifestazioni tipiche della Lesbica_Banana prescindono da censo, livello culturale ed educazione. Non sono riconoscibili al tatto, a naso o a vista, spesso sono tranquille lesbiche senza particolari orpelli o grilli per la testa.

Ad un più attento esame si potrebbe affermare che, coloro che sono consapevoli del proprio livello di bananaggine, tendono a tenersi ai margini delle situazioni, defilate e mimetizzate. Esse, infatti, sanno di cosa sono capaci e preferiscono tenersi fuori dai guai.

La L_B, pur dimostrando, in vari settori teorici e pratici dell’esistenza, la presenza di un barlume di intelligenza, è in grado di disfarsene in un nano secondo di fronte ad alcune situazioni più o meno tipiche.

La manifestazione più eclatante di Bananite la possiamo osservare quando una L_B è in presenza di altre lesbiche.

Potrete notare che ascolta con attenzione ed interesse, tende a donare credibilità all’interlocutrice, si fida e, in qualche caso particolarmente grave, è in grado di modificare la propria opinione in base alle puttanate insulse espresse da chiunque.

Non che non abbia una propria personalità, la Lesbica_Banana, lei cerca semplicemente di considerare gli altri degni di ascolto e considerazione, ma dimentica patologicamente che le chiacchiere delle lesbiche sono, generalmente, prive di: fondamento, motivazione, sostanza, spesso intelligenza. Insomma la nostra L_B si illude sempre e comunque di avere di fronte persone dotate di neuroni funzionanti e non ciò che, in realtà è noto a chiunque: tra le orecchie della maggior parte delle lesbiche, infatti, c’è il nulla (peloso, ma pur sempre nulla).

Oltre a questa caratteristica che, in verità, rende difficile la vita solo all’oggetto della nostra disamina, ne troviamo un’altra che, volendo, è anche peggiore.

Se la L_B si trova in un contesto pubblico, in compagnia delle sue sorelle di lesbicanza e ben protetta da sponde e spalle, sa comportarsi in modo brillante, sagace, ironico e cinico.

Se puta caso si trova da sola e viene interloquita da un’altro essere di specie femminile che possa superare la soglia della guardabilità anche di un solo punto percentuale, la Lesbica_Banana si produce in una serie di comportamenti da film comico degli anni 50.

Ella balbetta, arrossisce, fornisce risposte senza alcun senso, giustifica verbalmente la sua esistenza e, in qualche caso, si stampa in faccia un sorriso ebetoide che farebbe fuggire anche una ninfomane.

La Lesbica_Banana, se non viene incatastata (=sbattuta, N.d.T.) in faccia a un muro,  non sarebbe in grado di trovarsi una sola fidanzata per tutta la vita.

Perché, la fragile creatura, crede un no sia un no e un sì un sì, dimenticando la natura intrinseca femminile che prevede una interpretazione fantasiosa (il “forse” è il sottotesto in entrambi i casi). Se un’altra donna la ignora, lei crede di non interessarla, non che si tratti di una strategia bellica. Se un’altra donna le dice NO, lei si ritira nell’angoletto (sebbene incazzata come un armadillo) e non baderà più ai segnali che l’altra, ovviamente, le manderà ad ogni piè sospinto. Se un’altra lesbica la guarda con interesse, infine, ella crederà di avere macchie sul vestito, capelli malamente scompigliati o un ictus in itinere che le deforma il viso in una maschera orrorifica.

A questo proposito si possono citare casi emblematici di approccio tentato e di risposta di Lesbica_Banana.

Donna che guarda con insistente interesse tra la folla: alla L_B iniziano sintomi come sudorazione delle mani, secchezza delle fauci, tremore alle estremità, tachicardia e appannamento della vista. Così fuggirà in preda al terrore e, quando il giorno dopo cercherà di nuovo quella donna, non la troverà più perché è partita per l’Australia.

Donna stesa sul letto che finge di dormire al primo appuntamento: la L_B cambierà stanza per non disturbare;

Donna che si avvicina per approccio standard: la L_B risponderà balbettando arrossendo: “Nnno è cheeee, mi dddispiac’ nonnonnnn lllo so, cosa?” (la domanda era “mi fai accendere?”), oppure “No” con acidità e sopracciglia contratte (la domanda era “di dove sei?”);

Donna che l’abbraccia con trasporto: risponderà all’abbraccio irrigidendosi e dispensando virili ed amichevoli pacche sulle spalle.

Mille altri esempi potrebbero essere riportati in questa sede.

La Lesbica_Banana è, in fondo, una romantica sognatrice, timida e fiduciosa, una infanta della lesbicaggine. Ed a nulla valgono gli anni di militanza, i calci in culo e e le numeroserrime sole.

Niente da fare, non capisce.

 

 

Santa Pazienza

Soundtrack: Kosheen All in my head

Devo prendere una decisione importante.

Che prevede sacrificio (ommioddio, al solo scriverla, questa parola, mi viene la tetraparesi), progettualità e sale in zucca. Nel caso io l’avessi, la zucca.

Ci dormo sopra, che mi pare cosa buona.

Poi spiegherò, eventualmente, qui. Altresì chi ha il mio numero di cellulare potrebbe anche chiamare per saperlo. Così, giusto per curiosità.

Stipendio: neanche l’ombra.

Continuo, imperterrita e indomita, a chiedermi come mai i miei post più personali e familiari hanno strepitoso successo. Davvero. Ogni volta raggiungo un nuovo record – sto per arrivare ai 50.000, minchia -. Me lo chiedo e non so dare risposte di sorta. Sarà sempre e comunque la sindrome del grande fratello. Ma anche no. Chissà. Stasera non è la serata delle risposte.

Orbene.

Avevo promesso il post sulle lesbiche banana.

Domani.

Stasera rifletto.

Baci e abbracci.

Mykonos 1 – I fatti

(camera nostra e spiaggia di Elia. Le foto sono da cellulare)

Soundtrack: Dean Martin – Mambo Italiano

Dunque dunque, in genere porto con me un quadernino per scrivere tutto quello che mi passa per la cipolla (testa) e per tenere sotto controllo la paura dell’aereo ma, stavolta, ho scritto assai poco, anche in aereo. Quindi la mia riscostruzione di questi giorni di vacanza sarà arbitraria, temporalmente confusa, omissiva e, soprattutto, fantasiosa. Sappiatelo.

Lunedì mattina (lo so, avevo detto che partivo martedì: scaramanzia) mi sveglio alle 5 e mezza preda di dolori spaventosi. Prendere l’aereo mi agita. Alle 7 e mezza sono per strada con la mia minivaligia e un sonno da lavoratore notturno. Sul trenino iperaffollato mi chiedo: “Ma dove cazzo va tutta sta gente che scende a Muratella alle 8 del mattino?”. Domande sostanziali, devo dire.

Ricordo perfettamente Fiumicino. Esattamente un anno fa ero partita per la Grecia senza ben sapere cosa sarebbe successo dopo.

Nel 2008 parto sapendo perfettamente cosa è successo dopo, un anno fa, ma senza avere la più pallida idea di che fine farò quando torno. Più o meno per gli stessi motivi (casa, convivenza, soldi, affetti) con le dovute differenze.

Spacco le palle a questo mondo e quell’altro per la mia paura di volare. Mi si manda affanculo ma mi si offrono anche affettuosi incoraggiamenti. Durante l’attesa trovo la sala fumatori chiusa per pulizie e gruppone di tabagisti attaccati al vetro che maledicono l’omino delle pulizie accusandolo di essere lento e dispettoso. Poro ciccio. Volo Olympic e si mangia una merda. Faccio anche la figa, sono dotata di pulloverino anti aria condizionata e sorrido al decollo. Mi viene così, mi emoziona come se fossi una bimba sulla giostra. Decollo con Alanis nelle ‘recchie “Citizen of the planet”. Alla fine del viaggio mi accorgo che un paio di persone, durante lo sballonzolamento tipico da sorvolo Grecia con melteni incorporato, guardano ME per rassicurarsi. Siamo alla frutta. Arrivo ad Atene e cazzeggio per un paio d’ore in attesa del volo per Mykonos. Quando salgo sul velivolo, mi sento una avventuriera dei primi del 900. L’ATR può fare questo effetto, credo.

Arrivo a Mykonos e trovo il prof in motorino. Meno male che ho la valigia piccoletta. Dopo cena mi porta a vedere i posti fondamentali dove passeremo la nostra vacanza: Pierro’s, Porta e Montparnasse. Il primo è un must dell’isola, si attiva dall’una in poi, ci sono tre drag che fanno spettacolo e PR: Gloria, Imon e la Tedescona. Il Porta è un troiaio indicibile, il Montparnasse è un cafè dall’aria retrò dove una chiattona americana canta qualsiasi cosa tu chieda facendo un gran spettacolo (Il prof chiede sempre Mambo Italiano e la canzone di Saraghina)

Al Pierro’s vedo la donna della mia vita, anzi le donne della mia vita, due. Mi riservo di contattarle il giorno dopo data la stanchezza e il sonno.

Naturalmente non le ho più viste.

Lesbica Banana.

Dormire con il prof è ben strano. Oltre al fatto che si prende tutto il letto, non sono abituata all’odore di un uomo nel letto. Perché è proprio diverso.

Detto questo, abbreviamo.

Ci hanno preso per una coppia, a me e al prof. Poi hanno capito che lui è gay. Ma ci è voluta una settimana perché il popolo del Pierro’s e della spiaggia di Elia si convincesse che sono lesbica. Financo la drag queen tedesca non ci credeva.

La drag queen tedesca che parla italiano è un uomo fantastico. Un metro e 95 di fisicaccio strizzato in vestitini improbabili dei quali il migliore è stato quello da crocerossina, con parrucca argento alta 50 cm. Affettuosissimo con me (forse per pietà, essendo io l’unica lesbica single dell’isola).

Poi siamo diventati compagnucci dell’altra drag, Gloria, siciliana, che fa lo spettacolo al Pierro’s ed emette un richiamo che può essere sentito in ogni punto dell’isola, e di una pletora di ricchioni in vacanza.

Giuseppe, un siciliano che vive nella Svizzera tedesca e che mi ha raccontato tutti i cazzi suoi. Un’anima pura, devo dire, da noi detto Iosefo. Niko e Costas, greci lavoranti in Brusselles. Costas devo averlo incontrato in un’altra vita, perché me ne sono innamorata. E lui di me. Lo so che è contro natura che un gay e una lesbica facciano amicizia di prima, sarà che lui è più donna di me. Lo chiamavamo “Victorian Lady”.

Luca e Giorgio, coppia nordica. Luca con braccio rotto per la seconda volta in due mesi, i nostri compagnelli di spiaggia. Siamo andati da Elia tutti i giorni tranne uno. Elia è una spiaggia molto bella. Alla fine della spiaggia, dopo gli scogli, c’è una spiaggetta più piccola, non attrezzata, noi eravamo lì. Ero l’unica donna. L’UNICA. Per il resto tutti ricchioni nudi. Ho potuto recuperare le mie nozioni perdute di anatomia maschile.

I primi giorni non mi sopportavano molto, ma io sono educata e gentile. Alla fine si sono abituati come i pinguini si abituano ai documentaristi del National Geographic.

Praticamente ho interagito solo con tre donne. Una coppia tedesca che parlava italiano (parlano tutti italiano, cazzo) e una pazza isterica di Colonia che il prof mi aveva portato pensando fosse lesbica e che, invece (come già detto), si voleva scopare lui.

Il prof faceva così, una volta compreso il livello patologico della mia bananite, partiva in avanscoperta alla ricerca di donne. Quando ne trovava una, me la portava. Un cane da riporto, il prof. Con un radar lesbico quasi peggio del mio. Eravamo assurdi. Inverosimili anche. Abbiamo anche litigato un paio di volte tipo Sandra e Raimondo. Lui dice che sono odiosa e spuntuta. Ha ragione. Ma di questo parleremo nel capitolo due.

I giorni sono passati così, mare (tutti uomini), cene (tutti uomini), serate al Pierro’s (tutti uomini). Ad un tratto ho cominciato a stare bene. Bene davvero. E sono riuscita ad interagire anche senza il prof. Certo erano milanesi più antipatici di me. Ma almeno…

Mykonos non è più né un’isola gay, né trasgressiva, né estrema. I gay si sono chiusi in un paio di luoghi ben precisi (Elia, pierro’s porta, elysium), le spiagge sono diventate un puttanaio di ragazzini/e postadolescenti con il mito di Ibiza. Tante famiglie, tanti bambini.

E i gay sono diventati tutti uguali. Fisicamente e come look. Uguali fino alla noia. E non erano manco tanto belli, a dirla tutta. E anche di questo parlerò in un altro post.

Comunque, per concludere, 10 giorni rilassati rilassati. Sono nera come una cozza. E ho le rughette della faccia che si vedono benissimo e mi fanno molta tenerezza. Ho guidato lo scooterino sempre io, appena il prof ha deciso che per lui era più rilassante. Bevuto 400 caffè, mangiato 2000 insalate greche. Fatto il pieno di sigarette a 2,50 al pacchetto.

Al ritorno, sull’ATR da Mykonos ad Atene, mi hanno fatto mettere nella cabina di pilotaggio per un problema di posti. Ho fatto un viaggio fantastico. Considerando anche che mi ero appena letta un libro di Crichton che spiega tutto sugli aereoplani (Airframe) e considerando che il viaggio è stato abbastanza movimentato per via del vento, ci sono andata di lussissimo. Una bimba, sorridevo come un’idiota, il capitano avrà pensato fossi demente.

Nel volo verso Roma ho dormito. Come un sassetto.

Ora c’è da fare. Molto.

Grazie al Dott per questa vacanzetta. Grazie al Prof per i chiarimenti e le lunghe chiacchierate e non solo. Grazie a me per averlo fatto.

 

 

 

Back to Italy

Mi preparo a rientrare.

Che poi il 15 trovo tutto chiuso e sara’ un casino.

Machissenefrega.

Bella vacanza, proprio bella.

Pochi pensieri, coccole a palla. Che le coccole degli uomini sono come quelle dei gatti: non sono di default, si conquistano. E questa e’ una buona cosa.

Certo sarebbe stato picevole incontrare lesbiche internazionali. Ma il mio gaydar e’ stupefacentemente spento.

Quello del prof, invece, e’ gravemente inquinato dal suo lato etero e, in varie occasioni, come un bestione da riporto, mi ha depositato sui piedini prede molto, molto carucce, ma etero e, tendenzialmente, desiderose di scoparsi lui.

Situazioni “Twilight zone”, devo dire.

Il travestito tedesco di Pierro’s pensava fossi etero. Un sacco di gente pensava fossi etero.

Io penso di essere nera com il carbon, ingrassata un pochetto e leggera come un colibri’.

Si va per la ricerca di un housemate o di una casa nei prossimi giorni. Tempo poco e preoccupazione a iosa.

Ho capito, in codesta vacanza, che sono abbastanza antipatica  spuntuta.

I’ve made an agreement with myself: inutile tentare di essere simpatica e socievolona, lassa perde. Tienti la tua aria da “non mi toccate che vi mordo”, un giorno passera’.

Baci e a domani, direttamente da Roma.

Buon proseguimento a tutti.

Sono andata al cinemà

Soundtrack: Feist Brandy Alexander

Ce soir sono andata a veder un film che si chiama “la zona”. Info qui.

Mi sorprende scoprire che è dell’anno scorso e non ne avevo avuto notizia alcuna.

Trama importante, riflessioni di peso sulla natura umana e sul cammino del mondo.

Peraltro perfettamente in linea con la mia teoria (spero bene non solo mia, perbacco) del lecito. Quando stabilisci che all’omicidio esiste anche una sola giustificazione, per quanto importante e corposa, uccidere diventerà l’ultimo e il più lieve degli orrori che sarai in grado di compiere.

E che il mondo si fa sempre più povero.

E chi povero non è, ha paura.

Della altrui disperazione come fosse un’arma carica puntata alla tempia.

Mondaccio schifo.

E di questo mondaccio schifo fanno parte persone che, a qualsiasi costo, non se ne evitano una. Persone che devono, necessariamente e senza freno, far male anche in obliquo. Se il diretto non fosse bastato.

Eppure sarebbe sufficiente un minimo di accortezza e gentilezza d’animo. O forse nobiltà. Ma una rapa è una rapa.

Ma questo è un altro discorso.

Dunque, se il film è in circolo nei vostri quartieri, andatevelo a veder.

Se domani non vado a fare la carta d’identità, difficile che mi facciano passare il check in all’aereoporto. Le foto sono di raro orrore, sembro una lesbica anoressica con l’ictus. Forse per questo non vado al comune.

Ma anche perché sto per piazzare sulla C/I l’ennesimo indirizzo obsoleto già da subito.

Ohhhbbè, ho da stirare circa 64 tonnellate di panni. Tra i quali almeno 3 magliette che mi servono per partire.

Come farò con il blog? Internet point, immagino.

Buon compleanno alla mia ex. Casomai dovesse leggere…

Per il resto tutto bene, disse Natascia.

 

Dimenticavo una cosa rimarchevole.

Mezzanotte, strada deserta, mi parcheggio per chiacchiere con amico. Finisco la sigaretta. La lancio dal finestrino con la solita modalità da lesbica camionista (pollice e indice e lancio lungo).

Finisce in una bmw cabrio transitante. Sul cruscotto.

Abbiamo sperato che il driver volesse una rissa, wonderles e supergay alla riscossa…

 

Post inorganico

Soundtrack: Living Colour Love rears its ugly head

Ho iniziato a scrivere senza decidere titolo e musica. Strano, non lo faccio mai.

Ho vari temi nel capoccione bacato.

Vorrei aprire un dibattito sulla iperreattività del varano. Si tratta di età o follia personalizzata? esso, il varano, è iperreattivo perché ha ormai una soglia bassa come uno scalino del marciapiede o perché è giunto alla sclerotizzazione delle arterie principali?

E già mi sembra un punto di partenza di un certo peso.

Poi mi sovviene che sono reduce da una chiacchierata tra colleghe dalle quali emerge che, nel 2008, ci sono deliziose donne di oltre trenta anni che hanno ancora difficoltà con il proprio corpo e con il sesso.

Che è togliersi uno dei pochi, veri piaceri della vita. Tantopiù tra i 30 e i 40. Che sono tra i migliori.

E ne ho conosciute molte, così in difficoltà.

Ma fra donne è diverso, in fondo si sa esattamente cosa fare per mettere un’altra donna a proprio agio. Punto dopo punto, step by step, parola per parola, gesto per gesto.

Mi sa che non tutti gli uomini sono capaci. Un gran casino per le etero.

Vi consiglierei di spararvi una esperienza lesbica. Fa bene e migliora la pelle.

Che altro? ahsssì, probabilmente mi trasferisco in quel di Roundmount, si trovano monolocali economici. Mi pare una buona soluzione sul piano pratico, un po’ meno sul piano social-emotivo.

Se mi legge una qualche lesbica di Monterotondo, si faccia avanti per favor, almeno mi sento in compagnia.

Una volta ho sgamato che mi hanno letto dal Comando Generale dei Carabinieri di Mentana. Mi è preso un colpo.

Ahhbbè, un post privo di senso, questo. Trovato titolo. Cazzo, so’ stata copywriter, ti pare che non trovo un titolo? ma mancano immagine e musica.

Mi si dice che dico troppe volte la parola “cazzo”. C’est vrai. It’s true. Mi devo controllare. E’ che sono una lesbica scurrile e maleducata. Un po’ rozza anche.

Vista una mia foto al mare di due settimane fa e realizzato che sono una donna poco sotto ai 50 anni. Niente di grave, solo piccolo shock nel trasportarmi avanti di circa 20 anni. Colpo di frusta e jet lag. Sopravviverò.

Ma sono necessari un paio di adattamenti. Sono quindi carica di buoni propositi. Basta con le giovincelle, solo over 35. Basta con i cazzeggi, si va per progetti. Prossimo progetto: arrivare a fine mese stipendiale. Progetto successivo: pure.

Del che, tutta una serie di cose che non sto qui a dire che mi faccio la palla già a pensarle.

Infine, momento Alberoni. Direi che esiste una differenza sostanziale tra innamorarsi e amare. Ma comincio a pensare che questa differenza abbia contorni di forte personalizzazione. Ovvero ognuno la vede come cazzo glie pare.

Per me l’innamoramento ha a che vedere con il fuoco, con la cecità alla realtà, con l’urgenza, con l’irragionevolezza dei sentimenti e delle emozioni, con il consumarsi. Una tempesta che, certo, si placherà e che nasce improvvisa e inaspettata, usually. Il primo pensiero la mattina e l’ultimo prima di andare a letto, in un balenare di fiamme e bisogni. Voglio te e ti voglio ora, non ti permetterò di andare via, a qualsiasi costo, usando qualsiasi mezzo. E l’oggetto potrebbe scomparire per sempre. Anche dalla memoria o trasformarsi addirittura in uno sgradevole incidente dal quale allontanarsi rapidamente. E se qualcosa è andato male, sarà sua la colpa, mai tua la responsabilità. Più vicino alla passione, insomma, con giusto qualche cosina in più che è poi la voglia di conoscere e interagire al di là di un letto sfatto.

L’amore mi sembra un fiume, a volte la terra solida e fertile O forse un fiume che bagna la terra e la feconda. Una cascatella argentina di un giardino zen ben curato e delicato. Non ti toglie la vista, non ti toglie il fiato forse, ma riempie e tranquillizza, nutre e accresce. Lentamente e senza sosta, in ogni piccolo gesto, in ogni momento. E l’oggetto d’amore (che non è oggetto, ma sangue e anima) resta seduto nel tuo atrio ventricolare sinistro vita natural durante. Non se ne andrà mai più, per quanto lontano e cattivo possa essere stato. Perché gli orrori di chi hai amato li conoscevi e li capivi, li perdonavi senza bisogno di perdonare e li osservavi con la tenerezza e la saggezza di un bodhisattva. E andavano bene così. Ti chiederai per sempre in cosa hai sbagliato, pensando, comunque, che sia tutta tua, la responsabilità . Te lo porterai dentro, l’amore provato, insieme alla persona amata, senza sosta. E niente lo cancellerà.

Toh, mi sovviene la soundtrack, eh eh. Da tenere conto che è tutto il giorno che ascolto muri di chitarre, schitarrate e rock anni 80/90. ‘Na fissa.

Infine ho ricevuto, in questi giorni, vari messaggi scaldacuore casuali ma al momento giusto. L’ultimo da parte di una amica nordica (ma non svedese) che non mi aspettavo e che mi ha fatto profondamente piacere.

Mi pare di aver detto tutto.

Manca l’immagine? forse ho pensato anche a quella. In fondo è il mio amore inossidabile e imprescindibile da quasi 18 anni.

 

 

Siamo fottute

Soundtrack: Vedi video

Dunque ieri autostrada sotto al diluvio universale senza l’unico equipaggiamento necessario: il sonar. Mangiatoria clamorosa in quel di Caianello (agriturismo di un amico) con I**.

Stamane Garbage City, recupero Miss I e C** all’aeroporto, vado a trovare il pater, poi dal dentista, poi a fare il pieno di calore ed affetto al Centro dove lavoravo.

Ho attraversato la città da est a ovest, da ovest a sud, da sud a nord.

Maledico il berlusca ininterrottamente. Il bastardo non ha fatto altro che il gioco delle tre carte. La munnezza è dappertutto. DAPPERTUTTO. Tranne che nei quartieri perbenini. Ma comunque il livello di sporcizia della città è da terzo mondo. Cerco anche di far capire a chi ci vive che non è una città normale, che niente ha un senso, una direzione, una traccia di amorevolezza. Niente. Non riesco nemmeno a farmi capire.

E mi si propone di tornarci.

“Tornare” non è la stessa cosa di “andare”. Basta questo.

Il pater è moscio, il dentista mi ha finalmente limato il dente gigante e le collegucce del Centro sono delle delizie al cioccolato che ti lasciano addosso tracce di zucchero e crema chantilly.

La mattina l’aereo delle roditrici dotate di appendici ossee frontali (zoccole cornute) era in ritardo e mi ritrovo, alle 9 e mezza di mattina, a guardare la TV. Metto MTV. Di seguito becco il video di Feist e feisteggio come una groupie col parkinson, poi quello di Fabri Fibra con la Nannini e penso che il pezzo è proprio interessante e notevole. Ma lui nun se po’ verè. La Nannini è in gran spolvero lesbico con giacchetta di pelle, collare al collo e capello sparato. Evito di soffermarmi a discutere con me stessa sulla questione del mancato coming out (che è diverso da outing, spiegheremo) dell’unica musicista lesbica famosa in questo paese bacchettone e vomitevole. E’ troppo poco che sono sveglia per tirarmi una questione con la mia parte aspirante-militante.

Subito dopo un video che mi porta, inesorabilmente, a far staccare la mascella dalla faccia. A bocca aperta e without words. Non lo so come si chiama questa cessa (scopro che si chiama Katy Perry), il pezzo si chiama “I Kissed a girl”.

Vedetevelo un attimo. Io cerco anche le parole. Casomai qualcosa.

This was never the way I planned/ Not my intention/I got so brave, drink in hand/Lost my discretion/ It’s not what, I’m used to/Just wanna try you on/I’m curious for you/Caught my attention

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

No, I don’t even know your name/It doesn’t matter/You’re my experimental game/ Just human nature/
It’s not what, good girls do/ Not how they should behave/ My head gets so confused/ Hard to obey

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

Us girls we are so magical/ Soft skin, red lips, so kissable/ Hard to resist so touchable/ Too good to deny it/ Ain’t no big deal, it’s innocent

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

Rendiamoci conto che siamo fottute. Fottutissime. Circola una canzoncina adolescenziale da tormentone estivo che si esprime in questo, specifico modo: ho baciato una ragazza e mi è piaciuto il sapore del suo chap stick, ho baciato una ragazza giusto per provare, spero che il mio ragazzo non si arrabbi…

Saranno almeno 50 anni che si combatte qui in lesbolandia per non finire nel buco nero delle fantasie erotiche maschili. 50 ANNI.

Potreste pensare che il mio sia un discorso isterica da lesbica/militante/veterofemminista/vintage ed avreste ragione, ma anche no.

In fondo è una canzoncina del cazzo, che vuoi che sia? ma anche no.

In realtà significa che la questione è definitiva.

Non siamo un genere, non siamo una categoria caratterizzata da una tendenza sessuale specifica, non siamo donne che non necessitano di interagire con il genere maschile per sessualità e riproduzione.

No, siamo una moda adolescenziale.

Si porta fare la lesbica.

A beneficio maschile.

Fottute. Non esistiamo più.

P.S. To whom it may concern:

Maybe I need to stay alive, first. Maybe I won’t forgive the unforgiveness. Maybe it is hard. Maybe u’re not the kind of person I can walk with, in any way. Maybe I’m not ready enough to jump over. Just wait.