Soundtrack: Feist – Past in Present
Mi sento come quei castorini che tirano fuori la testa dal buco mentre la gente li prende a martellate sul cranio per farli ritornare giù. Ma anche come una che ad ogni angolo coprono con un cappotto e riempiono di mazzate. Come se stessi in una stanza buia e mi arrivassero randellate sulla nuca da tutte le parti.
Credo il concetto sia chiaro e ben spiegato.
Mi si dice che sto involvendo, mi si dice che mi allontano dalle persone che amo, mi si dice che ho bisogno di uno psicoterapeuta (e questo me lo dice uno psicologo e sottolineo psicologo), mi si dice che fuggo, mi si dice che sono compulsiva, mi si dice che mi comporto come se avessi 20 anni e che fa schifo a vedersi, mi si dice che non ho uno straccio di lucidità, mi si dice che sono distruttiva e autolesionista, mi si dice che ho perso la misura.
Mi viene solo da nascondermi in un buco. Nero profondo e pieno di cose che non vedo. Un buco già abitato che proprio rifugio non può essere.
Io non so più distinguere tra quello che penso io e quello che gli altri, gli amici, le amanti, la famiglia, mi dicono. Ho perso il confine.
Ho la sensazione di fare cazzate. Ho la sensazione di fare cose che non piacciono a chi mi sta intorno, ho la sensazione di essere sotto tutela e sotto esame. Ho la sensazione di essere sbagliata.
Mi fa orrore. Mi fa confusione. Mi fa fuggire. Mi fa venir voglia di infilarmi nell’unico buco disponibile che conosco. Sapendo quanto costa e cosa rischio. Non volendo fare la stessa fine di sempre. Non riuscendo ad alzare la testa e guardare avanti per la paura di sentirmi dire, ancora una volta, che non va bene.
E davvero non va bene. Davvero non va bene?
E’ questo il punto. Valgono entrambe le cose. Nello stesso momento.
Sticazzi.
Ho 45 anni, quante volte lo dico e quante volte lo sento dire. Poche responsabilità, miserabili certezze, vivo in una città che continuo a non mappare, non so cosa può succedere domani. Esco dalla devastazione classica di una lunga storia sentimentale finita una mezza chiavica. Ne sono uscita per rabbia e per orgoglio. Non ho nemmeno idea se sono in piedi o striscio sui gomiti, ora che è tutto definitivamente chiuso. So che non voglio morire dentro un’altra volta, non voglio quella cosa vischiosa che ho scambiato per serenità lungo tre anni della mia vita e della vita della donna che avevo accanto.
Ho gli amici – perlopiù lontani -, il mio branco familiare – parte lontano e parte avviluppato ai propri reali e indiscutibili problemi personali -, un lavoro – che da mesi non mi da certezza di stipendio -, una casa – la terza a Roma, la settima in generale, e si prospetta l’ottava a settembre – e la consapevolezza che è così che funziona da 27 anni a questa parte, inutile stare a pensarci.
Acting like a teen ager. Why not? perché nun se pò guardà. Ma l’alternativa che vedo io è restare a casa a leggere saggi storici con gli occhiali da presbite e le pantofole a forma di coniglio, andare per mostre e teatri, fare ginnastica dolce che sai, ad una certa età mica puoi esagerare e mangiare senza sale e con pochi grassi che sennò colesterolo e trigliceridi salgono alle stelle. Rischi l’infarto tesoro. E l’ictus. E il cancro ai polmoni se fumi così. E trovati una compagna saggia e tranquilla, capace di condividere e non spaccare le palle, trovati un rapporto sereno, pacifico, costruttivo, condivisibile, che è arrivato il momento. Find a girl, settle down… Ma io NON voglio questo, mi si spieghi cosa altro c’è, please.
Santa pazienza, mi pare una pezzo da 17enne, questo.
Comunque, mi sembra chiaro che non ho le idee chiare, mi sembra ovvio che sono in fase reattiva/emotiva a cose che sono arrivate solo ora – e vagamente – alla mia coscienza, suppongo che sia un periodo, capisco l’ansia affettuosa di chi mi sta intorno, capisco chi mi dice che scivolo troppo velocemente. Capisco la mia mancanza di coraggio nel dirmi le cose come stanno, persino il mio imbarazzo.
Di certo non serve a un cazzo, per ora.
Mi sa che vado dallo psicoterapeuta, và.