Vado, però faccio gli auguri.

Sto partendo, torno il 7. Forse non avrò connessione. Prenderò del metadone per questo. Nel frattempo buon cambio di numero.

Volendo credere a tutti i costi che il nuovo anno possa significare davvero cose nuove e diverse, faccio i miei auspici ed auguri, escludendo quelle cose tipiche che tanto non possono accadere – tipo la pace nel mondo, una fidanzata per me e cibo per tutti -.

Che i toro possano dimostrare che gli astrologi dicono solo cazzate;

che chi si ritrova incastrato in una vita infelice possa spalmarsi di olio Singer e sgusciare via senza dolore da ciò che toglie il respiro;

che chi ha perso qualcuno se lo ritrovi dentro sorridendo;

che chi non riesce a stare fermo riesca a sentirsi felice per questo;

che chi è fermo al palo si decida ad improvvisare una lap dance liberatoria;

che chi ha rancori contro altri se li veda svampare come un vampiro colpito dalla luce del sole;

che chi desidera amare possa farlo in qualsiasi forma, modo, stato d’animo e colore gli passi per la testa;

che chi desidera essere amato/a lo sia secondo i propri gusti senza che nessuno stia lì a rompere il cazzo che non va bene;

che chi vuole un figlio lo abbia;

che chi ha un figlio lo cresca al meglio di sé;

che questo blog venga letto da valanghe di gente;

che la parola “equivoco” scompaia dal vocabolario mondiale con una interpellanza dell’ONU;

che Biancaneve si rilassi che c’è andata di lusso;

che chi si è perso si ritrovi;

che io smetta di scrivere auguri banali e stereotipati come questi;

che si diventi tutte multiorgasmiche e con un segnale luminoso intermittente che indichi il punto G;

che le lesbiche si trovino una definizione migliore (tipo “lellepop” ma anche “femmenazze” oppure “quadruple X”);

che io possa trombare a capodanno così trombo tutto l’anno (ma le premesse sono pessime, lasciam stare);

che l’emo ebetoide kreutzer jacob che ho per capo vinca alla lotteria e ci paghi tutti i mesi;

che chi ha talento lo dimostri;

che chi non ha talento se ne vada affanculo;

che le persone che conosco stiano meglio;

anche quelle che non conosco che oggi sono generosa;

che la mia gatta campi altri 10 anni;

che vivere sia una bella cosa e non “una tragedia intervallata da immani cataclismi” (citazione di una frase tipica del pater);

che le mie ex fidanzate smettano di sentirsi offese perché ho scritto tutti i cazzi loro su Penelopebasta;

che chi è agitato si plachi e chi è rilassato si agiti.

Mi pare abbastanza.

See u soon

Penelope

 

 

S.p.m. o P.m.s., tanto è lo stesso

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Soundtrack: Fluke – Zion
(*è la colonna sonora del rave di Matrix Reloaded, l’esatto ritmo e spirito dei miei fottuti ormoni)

“La Sindrome pre-mestruale” o “Pre-mestruale Sindrome la” è una fottitura mai vista.

Per quanto in Inghilterra sia considerata una attenuante in caso di omicidio, nella vita quotidiana è un cataclisma che ti ritrovi tra capo e collo una (a volte anche due) volte al mese.

Vorrei sapere perché agli uomini non gli attocca.

Sono giorni nei quali sei prigioniera di ormoni anarchici e del tutto dotati di vita propria che prendono possesso di te, ti fanno fare quello che vogliono e ballano dentro di te come se tu fossi la sede di un rave olandese*.

Diventi iperreattiva e piangi appena qualcuno ti saluta. Non puoi vedere film o telefilm con scene commoventi perché puoi spaccare il televisore o singhiozzare per un’ora.

Litighi con i cassetti, con il salumiere, con i driver (anche se quello capita pure fuori sindrome, vista la media dei guidatori in italia), hai la sensazione che il computer si rivolga a te in modo insolente e se cucini cucini male.

I capelli stanno una chiavica, se ti fai i peli ti ricrescono in stile foresta pluviale entro 6 ore dallo strappo, hai mal di testa, male alle ossa, mal di pancia, pressione fuori canone e ti fai male pure a lavarti i denti.

Non ti concentri su un cazzo di niente (oddio, questo mi capita spesso, però), ballare diventa difficilissimo e non so proprio perché, sbavi davanti a chicchessia e/o se ti si mette una mano addosso potresti uccidere. Queste ultime due cose anche contemporaneamente.

Il ragionamento logico diventa una teoria matematica avanzata secretata dagli uffici della Sicurezza Nazionale.

Hai la sensazione che il mondo sia contro di te, che gli amici ti abbiano abbandonato, che nessuno ti possa capire e che qualcun’altra stia guidando il tuo pensiero. Una sconosciuta peraltro. Chi cazzo è e chi sfaccimma la conosce a questa, esci da questo corpo e vai a rompere i coglioni da un’altra parte.

Ho saltato qualcosa, ne sono certa.

Buona fndada a tutti.

La qualunque

toro

Soundtrack: The Rurals – Tomorrow’s another day

Alla faccia della pausa.

Donna di conseguenza e d’onore, io.

Sono in subbuglio.

Il fab mi ha chiesto di scrivere qualcosa che non sono sicura di essere in grado di scrivere. Con lui ho parlato molto del blog. Strano argomento.

Che, come dice Garcia Marquez, la sua anima è ancora negli Stati Uniti. Quando torna?

Vado sulla neve con delle coppie. Merda.

Sciare dopo 25 anni. Mah.

S.P.M. che non significa sue proprie mani.

Sempre il fab ha detto che se fossi in coppia, non farei le decine di cose che sto facendo. Che culo.

Ma non sono sicura di essere in movimento dinamico.

Mi guardo intorno ed il panorama è desolante.

Almeno quello che si vede dal mio balcone al quinto piano.

Gennaio e febbraio senza stipendio. Regalo di natale dell’emo kreutzer-jacob, bel modo di cominciare.

L’oroscopo del toro per il 2009 è ‘na merda.

La gatta piagnucchia.

In questi giorni mi farò il tatuaggio.

Che palle, niente di interessante.

Mi piacciono le stronze

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Soundtrack: Waldeck defences

Evidentemente.

Da sempre.

Se penso alle donne delle quali mi sono innamorata, la maggior parte erano delle stronze.

Che esercitano su di me un fascino invincibile.

Le stronze sono quelle che di solito non sopporta nessuno. Quelle fredde, distanti con superbia, le donne che non si danno, che si mostrano sempre un po’ più fighe e un po’ più intelligenti degli altri. I quali altri non possono capire e non meritano cotanta grazia.

Ci vedo cose speciali solo io.

Io vedo la crepa. Vedo la lesione da cui esce il comportamento femminile stronzo.

E mi innamoro di quella spaccatura slabbrata e polverosa. Puntualmente.

Una copromane sentimentale…

Mygod che definizione orrenda.

Nel freddo vedo la fatica di contenere l’esplosione lavica. Immagino i lapilli e la colata rossa e nera. So che c’è, so che se la tiri fuori è la fine del mondo. Delirio di onnipotenza, il mio, perché la vera stronza te lo lascia pure intravedere il fiume di lava, forse lascerà andare il vulcano per un po’, solo per un po’. Ma tornerà il gelo, prima o poi.

Nella distanza vedo la paura. La paura del giudizio e l’evanescenza che ne consegue per deduzione. Non è distanza potente, è distanza di sicurezza. Mi fa tenerezza. Profondamente. E la superbia mi sembra nasconda l’orrida immagine di sé che si annida in qualche specchio lungo la parete.

Mi appaiono fragili come calici di baccarat. E desiderabili come minuscole e colorate bacche tropicali.

Dimenticando che le bacche possono essere velenose.

La prima ragazza della quale mi sono innamorata consapevolmente era, appunto, una stronza. Adesso mi pare faccia la giornalista televisiva. Pensa te.

Metà delle donne con le quali mi sono accompagnata non le sopportava nessuno. Nessuno dei miei amici.

Forse più della metà.

Ma perché?

Oh.

Questo post l’ho scritto il 23 e lo pubblico oggi per motivi che non conosco. Sono di pessimo umore. Per motivi che non conosco. Sono piena di dubbi. Per motivi che non conosco. E manco li voglio conoscere.

Natale

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Soundtrack: The Ramones – What A Wonderful World

Ho sognato che una donna voleva baciarmi. Ho risposto “No, sei ubriaca, non posso”.

Nel sogno.

Mavafanculo.

Ho visto mio padre e gli ho voluto bene.

Per 36 ore. Un tempo rimarchevole.

Sono stata con mia sorella e lei è casa.

Senza dubbi e senza ma.

Ho parlato di mio nonno e ho capito che è stato un gigante, malgrado il suo frac mi vada a pennello. Un gigante che ha salvato la vita alla sua famiglia. Lo racconterò.

Ho capito che passiamo il tempo, i miei parenti ed io, a scappare dalla parola “famiglia” con tutte le forze che abbiamo in corpo e con tutta la rabbia che si possa produrre nei nostri fegati e polmoni.

Ma poi le famiglie ce le abbiamo ovunque. Dappertutto. Con tutti gli altri esseri umani che riempiono le nostre vite; amici, lavoro, amanti, suoceri, fidanzati, casigliani, salumieri.

Una stranezza.

Sono alla colombaia ora. Rilassata.

Pochi regali ricevuti, ma belli. Nessun regalo fatto. Sensazione orrenda di manchevolezza e tirchieria. Insormontabile.

Mangiato volumi di cibo che, insieme, fanno quello che ho mangiato in questo ultimo anno e mezzo.

Niente discoteca stasera, non ce la fo.

Allora auguri in ritardo a tutti.

Perché nei pacchi sotto l’albero bisognerebbe trovare ben altro che oggetti e nastrini.

Bisognerebbe trovarsi tra le mani un enorme vaso di Pandora che contenga quello che serve davvero: più luce, più leggerezza per tutti, più coraggio, più voglia di avventura. Si dovrebbe aprire il coperchio ed essere investiti dalla voglia di fare, di vivere quel che capita, di smettere di dare definizioni, dovrebbe venir fuori un vento che ti attraversi  disintegrando pregiudizi,  paure, ansie da prestazione e che porti via l’eterno cullarsi nell’insoddisfazione senza alzarsi per uscire dalla porta.

Un colpo di reni. Una mano che apre la finestra per fare aria. Una carezza sulla faccia.

Ironia in quantità industriale.

Qui bisogna ridere di più. Ridere in faccia a chi ci vuole male, in faccia a chi ci prende per il culo. Ridere di noi e delle nostre strutture in calcestruzzo albanese.

Questo vorrei regalare a quelli che conosco e anche a quelli che non conosco.

A me, regalerei una vista migliore e il coraggio di baciare una donna ubriaca in sogno.

Happy xmas appena passato, buon santostefano.

 

 

 

Please

pause

Soundtrack: Alexkid ft Ursula Rucker  – Fear In Flight

In questo periodo vacanziero, vorrei allontanarmi dall’ansia di avere qualcosa da scrivere su codesto blog. Mi sta pesando, non ho argomenti, sono preoccupata per il mio rivolgermi a me stessa in terza persona e penso sia meglio riposare.

Ho il cervello stanco, in verità.

Al punto da essermi persa, oggi, al ritorno da Fiumicino, per oltre un’ora e mezza.

Le grandi arterie le ho fatte tutte. Tutte tranne la Salaria che era quella che mi serviva.

95 minuti senza avere la più pallida idea di dove fossi e dove stessi andando.

E’ arrivato il Fab, strutto e stracquo e anche un po’ stranito.

Mi sono emozionata a vederlo, un riccetto del mio encefalo resta convinto che chi parte non torna.

Mi mancava il suo frasare diretto e velenoso. Ci voleva, ma anche no. Massì. Mi mancava lui e basta.

Anche se riparte.

Ma per un po’ ne approfitto.

Per quanto abbia stabilito, in poco più di venti minuti, che sono una italiana arronzona e imbrogliona, un’idiota sentimentale, un’ignorante imperdonabile e una narcisa patologica.

No news, good news.

Aspettiamo l’amica Erika per luglio e pregustiamo la passeggiata ai quartieri spagnoli.

Ho mangiato del fantastico pesce, a Fiumicino, che non ha apportato sensibili cambiamenti alle mie facoltà mentali.

Vorrei anche rimarcare che i cartelli di Roma seguono le seguenti regole: se indicano una direzione, vanno interpretati considerando la posizione della costellazione di Orione in quel periodo dell’anno, quindi va calcolata la cotangente e diviso il valore risultante per la diagonale della piramide di Cheope per 3,14. Una volta completate le operazioni, si ottiene il civico del benzinaio più vicino che, forse, è al corrente della direzione da seguire. Forse.

Infine, presumo scriverò qualcosa per augurare a tutti buone feste. Non dovessi farlo, prendetevi questo.

Ho anche dei buoni propositi per l’anno nuovo. Ma sono propositi, che senso ha parlarne?

Quindi pausa a meno di avere fondamentali faccende da dire. Ma ne dubito.

A bien tot.

 

 

Le Tre Grazie resuscitano la mia moto.

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Soundtrack: Bruce Springsteen – Born to run (che ho appena scoperto di non avre, cazzo, ma è tardi, ci penso domani)

Da non credere. Non si può credere. Non è dato credere. Incredibile.

R*, Alice e Da Queen mi hanno, oggi alle sei e mezza, consegnato un fogliettino per il ritiro della mia moto da due anni in coma dal meccanico, come regalo di Natale.

Sono orrenda nel ringraziare. Quando una cosa fa piacere, mi fa piacere, mi fa felice, qualsiasi formula di ringraziamento mi pare generica e standardizzata. Le parole non contano un cazzo. Forse i gesti, ma non abbastanza. Le Tre Grazie le abbraccio per molto meno.

E questo è moltissimo. Ci vorrebbero le braccia di Mister Fantastic. Ma anche questa non è la misura.

Mi sento una bimba viziata. Molto viziata.

Non ci posso credere.

Ho una polpa al posto dei polmoni. Mi è sparito il pancreas e il cardiomuscolo vagola rintronato.

Domani vado a prenderla se tutto va bene, sennò lunedì.

Miiiii.

Non ci salgo da due anni. State lontani dalla tangenziale est… Sarò anche senza assicurazione. Per ora la riporto solo sotto casa.

Mi mancano pezzi di attrezzatura e la giacca mi va due volte ormai. Ma i fondamentali ce li ho.

Non mi faccio capace.

L’ho già detto?

Poi torna pure il fab.

Io non so come possa accadere. Io non so come ho fatto a meritarmelo. E non è un attacco di autoqualcosa (o sì?), è proprio una domanda. Considerando che i miei ultimi anni non sono propriamente caratterizzati da generosità ed altruismo. Affatto.

Bimba viziata. Quello quell’è. E pure fortunata. Lo dico spesso. E’ bene che io me lo ricordi. Deve essere un bonus di default.

Omygod. Peccato faccia freddo. Ma in primavera voglio scorrazzare come una quattordicenne. E mi voglio comprare un casco decente, dovessi pagarlo a rate. E un pantalone da pioggia come quello di A*.

Posso smettere di invidiare tutti i motociclisti che vedo.

Che bello.

Che belle che siete, stronze di amiche del cazzo. Da due giorni a prendermi per il culo e a mandarmi per i campi. Stronze tutte e tre. Organizzate come soldatini. Ad ognuna un ruolo e tutte fichissime e rilassatissime e adeguatissime. Silenzi, telefonate, controtelefonate, richieste di informazioni casual. Il tutto facendo leva sui miei punti deboli. CESSE.

Come se ci volesse tutta ‘sta organizzazione per prendere per il culo una banana come me.

E mi avete fatto felice come una cogliona.

Lo sapete che mi secca. Emozioni così mi entrano dentro e non so più come farle uscire. E lo so che la sto facendo lunga, è che mi viene da commuovermi come quando vedo i film di Disney. Vaffanculo.

E se qualcuno mi mette gli occhi addosso, glieli cieco. Warning.

 

 

 

P.S. Argomento alter: “Adesso silenzio ” – disse la diva mentre accarezzava  il boa di struzzo appoggiato sulle spalle.

Regali di natale

regalonatale

SoundtrackGrace Jones Private Life (that’s mine)

Vorrei:

  • una dentiera per il mio gatto che nun se po’ verè a soffrire così;
  • la moto che è da due anni dal meccanico per riprovare, in primavera QUELLA sensazione;
  • Berlusconi alle Cayman e i suoi soldi all’Italia che si arripiglia il bilancio;
  • Veltroni in barbagia e Soru che fonda un nuovo partito social-comunista, che mi arripiglio io;
  • due terapie private che sono quel poco che basta;
  • finire quello che sto scrivendo prima che sia troppo tardi;
  • un capo nuovo che riesca a produrre testosterone invece delle misere puzzette che emette;
  • una libreria per tirare fuori i libri negli scatoloni da un anno e mezzo, li sento lamentarsi;
  • una casa sul mare per andarci quando ne ho voglia;
  • lo stipendio tutti i mesi che non mi sembra tanto un regalo, mi pare si chiami diritto;
  • il teletrasporto, per favore;
  • Ratzinger alla serata di natale di Muccassassina senza neanche doversi vestire da drag, che tanto non serve;
  • che le sigarette non mi facciano tossire che tanto di smettere non se ne parla;
  • l’emigrazione definitiva del mio colesterolo che mi ha un po’ rotto il cazzo;
  • una macchina nuova con lo stereo potentissimo da vera tamarra ispanica;
  • vincere al superenalotto e pagare il mutuo a tutti gli amici e poi tutti a festeggiare in micronesia;
  • una sexbuddy che è una comodità e un ottimo freno ormonale;
  • fottermene di tutto tranne che degli amici, perché non conta molto altro;
  • ricordarmi che esiste l’impegno sociale, che in questo periodo proprio…;
  • ubriacarmi senza stare male;
  • farmi le canne senza stare male.

Per ora mi pare abbastanza.

Noia

noia

Soundtrack: Me’Shell Ndegeocello Ft Herbie Hancock – Nocturnal Sunshine

Ho come la sensazione che codesto blog sia in perfetta sintonia con i miei stati emotivi.

Il che non è assolutamente normale, è ovvio.

Con l’adrenalina che avevo in corpo ieri, ho raggiunto il record delle visite. Con la uallera di oggi, un numero miserrimo.

Truman Show. Sospetto.

Oggi due palle come una casa.

Meno male che ci sono certi cicci piccoli che ti fanno arripigliare la giornata.

Alle volte mi sento un vampiro che succhia energia da loro e dalla loro rabbia. Più sono incazzati più mi diverto e mi carico.

Neanche questo mi pare tanto normale.

Le magie del mio lavoro.

Comunque mi sono annoiata a morte e scrivo noioso.

Mancano tutte le mie colleghe preferite. Persone dalle quali, ormai, dipende la mia motivazione lavorativa. Senza di loro che cazzo ci vado a fare a lavorare? diventa una cosa vera, una professione, un momento codificato e prevedibile. Routine.

Orrore.

Con loro presenti non lo è mai. C’è sempre qualcosa – un fatto, un racconto, un umore – che rende la giornata unica e sola. I caratteri si mescolano random e non sai mai quale sarà il mood della giornata, per chi o per cosa ci si dovrà attivare, chi verrà tormentata, chi sostenuta e chi cazziata.

Mi manca F** che tornerà d’estate. I suoi modi solari, la complicità e la leggerezza con la quale prende a culate l’esistenza.

Mi manca M**, presa in un vortice di doveri e cataclismi familiari dai quali, se potessi, la staccherei a colpi di machete.

Mi è mancata anche la SR**, la sua rigidità e la voglia che mi fa venire di romperle il cazzo in tutti i modi possibili.

Persino le pischelle che son delicate, dolci ed energetiche come meringhe.

Insomma, na palla. Come lavorare allo sportello delle poste.

Notavo che, invariabilmente, e nel luogo deputato alla massima serietà (ovvero la stanza della NPI), si finisce per parlar di sesso. SEMPRE.

Perché?

Lo facciamo poco? un desiderio di groupage latente?

Immagino sia perché il sesso, alla fine, è assolutamente trasversale. Ne possono parlare tutti indistintamente con la stessa , scarsissima,cognizione di causa.

Mette d’accordo tutti e nessuno mai si metterebbe davvero a parlare del modo in cui lo vive, il sesso, di come lo vuole, di come lo fa veramente. Tranne me forse? No, neanche io. Faccio la figa, però.

E’ lo strumento di conoscenza più potente che esista al mondo. Non è solo piacere procurato e procacciato. Se si incastra nel quotidiano come il pranzo da preparare o la tv da accendere, tanto vale cucirsela o ridursi consapevolmente alla cecità con il sostegno attivo di youporn.

E molte di noi lo fanno. Cucirsela, intendo. La cecità è per poche. Purtroppo.

Il sesso dovrebbe restare un’avventura permanente, la scoperta dell’America ogni volta e il gioco più divertente al mondo. Ma è praticamente impossibile, credo. Sarà per questo che si diventa scambisti o fetish o amanti del bondage o la qualunque del sesso fuori dal letto di casa: per risvegliare il sesso dal coma.

Ma questo non è argomento di mia competenza.

Mi chiedo perché la maggior parte della gente ne sappia così poco e si stupisca pressocché (ma si scrive così?) di tutto.

E perché la maggior parte delle donne sappia così poco di sé.

In fondo anche io.

Argomento bramato e sempre trattato con malizia (ohmygod che parola obsoleta) e ambiguità delirante. Qualsiasi uomo sogna sesso orale ad ogni ora del giorno e della notte, ma dare della pompinara a una donna è un insulto denigrante e divertente. Qualsiasi donna guarda il pacco degli uomini che ha di fronte, ma non sia mai detto si possa ammettere liberamente. Tanto per dirne un paio anche piuttosto banali.

Che stasera non ci ho la capa per dare un capo e una coda a quello che penso. E’ che il crollo della tensione mi ha atterrato in modo sorprendente.

E, comunque, la sensazione di mettere qualcuno in difficoltà non è mai piacevole.

Per un sacco di buoni motivi.

Umanamente parlando e considerando che nulla cambia e che nessuno è armato.

Sic transeat gloria mundi, direbbe il fab, sapendo quello che sta dicendo.

 

 

Penelope adolesce

domande1Soundtrack: No doubt It’s my life

Che dire?

Serata epica con Alice e Da Queen in versione ER – Emergency Room.

In fondo non è che ci sia molto da dire. Tranne rimarcare il fatto che, in fondo, sono un’adolescente dentro.

E pure le mie amiche, in verità.

Ma va bene anche così, è divertente. Per tutti.

Restano cose in sospeso, parole più che altro. Resta la difficoltà di scrivere stasera. Vorrei chiudere l’argomento un po’ per imbarazzo, un po’ per necessità.

E mi viene da ridere. E non so come cazzo faccio ad infilarmi in situazioni assolutamente irripetibili e vagamente ai confini della realtà.

E’ che sono sensibile al brillare dell’intelligenza ed alla delicatezza dei modi. Posso contenermi e controllarmi e farci caso il tanto che basta per scivolarci sopra. Di solito.

Insolitamente ci affogo dentro.

Però, pure tu, che cazzo di domande fai?

 

 

 

Etero e Lesbiche II (aggiornato)

muro

Soundtrack: Fink Pretty little thing (rubata da Altung)

Ovvero Penelope inizia a incazzarsi.

Non è che io tolleri molto bene le frustrazioni. No. Cerchiamo di essere più precise: io odio subire frustrazioni e le evito come la peste nera e sono pure diventata una fantastica anguilla, su questo. Quarantacinque anni serviranno pure a qualcosa.

 Al momento, invece, mi ritrovo cestino di raccolta differenziata con dicitura “frustrazioni qui, please”. Come è potuto accadere?

Quando si ha la pessima e sottolineo pessima idea di farsi lusingare da una etero curiosa (?), si dovrebbero tener presente un paio di cosette basic:

  1. quello che ti viene dato, ti viene tolto un attimo prima (prima, ho detto, non dopo);
  2. il sabato e la domenica sono due giorni di passione (non in senso sessuale, in senso di strappamento di visceri) e tutto quello che faticosamente e formichianamente sei riuscita a costruire (miseri gancetti piazzati qua e la a casaccio), verranno rimossi con cura chirurgica e scompariranno nel nulla;
  3. si deve ricominciare daccapo ogni santissimo inizio settimana e non parliamo del post-vacanze che è anche peggio.

Bisognerebbe imparare a non lasciarsi colpire dai rinculi. Minchia, il rinculo non dovrebbe finire sulla mia spalla, il fucile non lo imbraccio io.

La verità è che esse (le etero) andrebbero incatastate (=sbattute, N.d.T.) sul primo muro di cemento a disposizione e scopate fino allo sfinimento.

Successivamente andrebbero poste domande tipo: “ti serve qualcosa?”, oppure “dicevi?”, ma anche “sistemi il quadro che si è spostato, per favore?”.

Ma io non sono un uomo e non sono nemmeno una MML (Male Minded Lesbian), ragiono da donna e ragiono che non deve essere facile… è comprensibile che ci si ripensi… è ovvio avere paura…

Cazzo.

Resto dell’idea del muro. E’ l’unica.

Quindi, giovani e meno giovani lesbiche worldwide, just in case armatevi non già di pazienza, ma di cazzimma. Non lasciatevi intenerire e, soprattutto, “lassa perde”, probabilmente non ne vale la pena.

Disse la volpe all’uva.

 

Perché l’uva in questione è bianca e incredibilmente succosa a vedersi. Deve essere la gioia dei denti e del palato.

Ci provo ad incazzarmi, ci provo.

 

uh!?

Sono ubriacherrima.

Dieci anni almeno che non mi sentivo così.

Non ce la farò mai a scegliere una musica e/o immagine per questo post alcolico.

Fottetevi.

None se ne ha una idea.

Lotto conrto la necessità di vomitare. Perderò? Machissenefotte.

Dio come è diffcile scrivere in italiano.

CHe lingua assurda.

Dovevamo fare la cena di lavoro tutte colleghe ma si è scombinato.

Vigliacchi.

Dov’è la mia sigaretta?

Respira, Penelope, respira con la pancia.

Oddio dov’è il pijiama? e mi devo togliere le lentine. Perché so’ cecata.

Che cazzo scrivo a fare? perché quelle tre pazze della R**, della Alice e della Da Queen mi hanno detto che devo scrivere.

Eseguo.

Eseguo tutto stasera. Non se ne ha una idea.

Se non avessi lo stomaco in petto, esprimerei tutta la mia gioia.

De che?

Cazzi mia.

Ma mica parlo romano adesso? non sia mai.

Dopo tre anni qualcosa sarà pure entrato, però.

Non si legge tanto bene qui. C’è da concentrarsi per essere logiche e un minimo sensate.

Conato.

Un tempo la reggevo bene, la birra. Ce ne volevano da 8 a 12 per ridurmi così. Adesso ne bastano 3? Uggesù.

Le tre civette sul comò. Meno male che ci sono loro. Meno male che c’è Biancaneve, Meno male che non sono in grado di intendere e di volere.

Perché si risponde ad una domanda con un’altra domanda?

Sii ottimista Penè. Sii ottimista. Ma non sono mica Penelope io. Penelope è il mio gatto nero e con il mal di denti. Io mi chiamo in un altro modo. Farò mica errori di grammatica?

Aspè. Sospendo dieci minuti che ho delle importanti rivalutazioni da effettuare.

Staziono davanti al water in cerca di requie stomacali.

Odio vomitare.

Ma questi particolari ve li risparmio.

Sono scivoltata lunga lunga in camera mia.

I calzettoni mi hanno tradito.

Bastardi.

Ma si può.

Voi non potete capire. Non lo sapete mica che mentre io penso a qualcosa qualcun’altra la fa.

Che giornata faticosa.

Fortunata io.

Censura, censura, censura, censura.

Le tre civette vorrebbero io non censurassi e mi sputtanassi senza ritorno. Resisterò.

Ussignur, riscrivo le parole tre volte ciascuna che mi vengono dislessiche.

Ahahahahahaha.

Quanto cazzo è bella Biancaneve.

Fatemi compagnia finché mi arripiglio, please.

Che bella cosa sto blog, ma lo stomaco un po’ meno. Protesta. Come la CGIL. Domani sciopero, deo gratias.

Quanto cazzo mi piace Bancaneve. Non ne ha idea. Perché sono una banana.

Aspè, pausa. Mica facile arrivare al cesso.

Non bevo per non ridurmi così, di solito.

Sto malino anzichénnò. A dopo.

stremata da vene e labbra

stremat

Soundtrack: vale sempre Surrender dei brand new heavies

 QUESTO POST VIENE PUBBLICATO SOTTO COERCIZIONE DI ALICE E R** CHE SONO ENTRATE NEL MIO BLOG E HANNO ANCHE SCELTO LA FOTO.

Ma io ti sento.

Anche se non so dove sei. Anche se non allungo la mano per saperlo, Anche se ascolto i consigli saggi del Generale Patton e mantengo la mia posizione con le unghie e con i denti.

Meravigliosa dimensione, la fantasia.

Nelle fantasie sono un gigante che gioca con le tue perplessità. Un mastermind che si diletta a rigirare tra le dita le involuzioni del tuo mondo verbale.

Fantasie.

Corpi.

Pelle.

Sangue.

Sfioro le vene delle guance. Seguo i profili a tratti appuntiti a tratti stupefacentemente morbidi. Non voglio guardare, voglio memorizzare con le mani. Non è l’immagine che cerco, è la durevole memoria di una sagoma percorsa atomo dopo atomo con le dita delle mie mani. Quella non si dimentica.

Ti ghiacci?

Ho le mani calde. Qualche minuto ancora e l’acqua può cominciare a scivolare sul pavimento.

Ti avvolgo di spalle. Non è il caso di mettere paura, ne abbiamo abbastanza da superare anche così.

Quanto ci metti ad allungare il collo e rovesciare la testa? quanto?

Quanto ci metto io ad infilarmi nella scollatura che concedi con troppa parsimonia?

Il tempo necessario per vederti chiudere gli occhi.

Togliere il troppo non è mai facile. E’ una alchimia delicata di tempi e flessibilità. Non si può spezzare il momento o tutto è perduto.

Movimenti leggeri, precisi, balistici, equilibrati. Lenti.

Le collane restano, sono un gioco interessante per gatte curiose.

Il resto può scomparire nel nulla e senza educazione.

Ho il peso del tuo calore tra le mie braccia e i tuoi capelli sulle mie spalle.

E’ un rito animale, mi porgi il collo teso e bianco. Ti arrendi. Ho le vene sotto i denti. Non morderò, non ancora.

Attraverso ogni scanalatura, assaggio i confini di ogni territorio a mia disposizione. Abbastanza da stimolare la tua gola e sentire i primi suoni possibili. Quelli che sfuggono bassi, sussurrati, timidi, spezzati.

Mi vuoi di fronte, lo so. Ma non ci sono ancora. Probabilmente non ci sarò. Resto nascosta e divento solo mani e labbra e lingua e braccia. Sono quello che tu vuoi.

E quando la richiesta della tua voce diventerà quello che io voglio, esattamente quello che voglio, asseconderò le tue preghiere con mani che non conosci, con movimenti che non conosci, con un piacere che non conosci.

Da qui posso giocare con quello che mi sta aspettando e posso giocare fino a sfinirti.

Posso insegnarti cosa fare con la carne che urla, cosa fare con il sangue che scorre e vibra, cosa fare con due dita di esperienza.

Resta appoggiata sul mio petto, restaci e spingi forte fino a farmi tremare i muscoli delle braccia. Resta e quando sarai costretta ad allungarti e piegare la tua schiena io sarò il tuo muro caldo.

E voglio sentire la voce. Voglio ascoltare il piacere tra le dita e tra le orecchie senza freni e senza censure. Voglio restare immersa nelle onde meccaniche e sonore del tuo piacere fino ad assordarmi mentre affondo i denti nelle vene del collo.

L’ultima scossa elettrica che ti attraversa, colpisce le mie mani che ti appoggiano sul letto. Lentamente, delicatamente, con cura. Tiro su la coperta.

Hai sete?

 

 

 

 

Back to Pilate’s feet

antartide

Soundtrack: The Brand New Heavies Surrender (peccato Biancaneve non parli inglese)

Difficile a dirsi. Farraginoso da digerire.

Comunque.

Cena da me con la Alice e Da Queen. Di tutto un po’.

In particolare, guardando dagherrotipi d’epoca, la Alice ha notato quella della mia primina (c’era un tempo nel quale i bambini sotto i sei anni venivano spediti in una classe preparatoria alla prima elementare, volendo, e per me lo si volle, si saltava poi direttamente in seconda previo esame).

In codesto dagherrotipo si può notare:

A – che sono vestita da David Crockett alla festa di carnevale;

B – che la scuola si chiamava “EcoLELLA”.

Detto questo, ho detto tutto.

 Mio padre torna. Come una peperonata con olio calabrese.

E resta. Aleggiando da fantasma quale è. E con un gran fracasso di catene.

Storia trita come il bolo di una mucca al pascolo.

Ma non ne esco, pare. Non perdono, pare. Non dimentico un nanosecondo di quelli che lo vedono presente.

Presente è una parola che non si accorda con “mio padre”. Ma neanche assente. Ci vorrebbe un neologismo tipo “malpresente”, “pesassente”. Qualcosa di adatto solo a lui.

Ascolto nipotazza dire che non sente di avere nulla in comune con lui e non posso che darle ragione. Non ho che risponderle.

Chi è?

Uno che ha imparato a perdere perché ha perso tutto. Tutto.

Infanzia, adolescenza, mogli, soldi, luoghi, posizione, riconoscimenti, case, affetti, amici. Qualsiasi cosa.

Anche le figlie. E questo forse non lo sa.

Cerco di far scorrere la sua vita davanti ai miei occhi, ma non trovo le giustificazioni e l’umanizzazione che cerco.

Ancora rabbia e rancore. Non dovrebbe essere così.

Non – dovrebbe – essere – così.

Dovrei poter vedere un uomo che ha fatto la sua vita. Che ha avuto un imprinting di quelli che ti si piantano in faccia come l’orma dello stivale di cuoio di un soldato tedesco. Che ha fatto quello che ha potuto, lottando con le sue paure, i suoi fantasmi, i suoi morti e la sua ansia di vita. E’ lui quello che ha imparato a giocare a tennis con la sinistra perché la spalla destra era lussata. Lui quello che ha iniziato a sciare a 50 anni. Lui che ha operato da chirurgo con un tendine mancante per 40 anni. Lui che ha seppellito due mogli. Lui ha fatto nascere centinaia di bambini anche alle 4 del mattino. Lui ha lottato per essere un buon medico. Lui e le lotte politiche da socialista vecchio stampo. Lui toglieva le fiocine infilate nei piedi dei pescatori incapaci sulla spiaggia di Positano.  Conosce il nome dei venti e me li ha insegnati. I nodi da marinaio che ho dimenticato. Mi ha messo davanti l’atlante anatomico per insegnarmi la differenza. Lui che ci faceva giocare con un feto umano di qualche settimana in formalina (una lunga e piuttosto inusuale storia, questa). Lui che mi ha prestato la BMW a 19 anni e fatto guidare il Boston Whaler a 12. Mi ha pagato 5 anni di analisi freudiana trisettimanale (chi rompe paga e i cocci sono suoi). Ha invitato me e le mie donne al cinema, in vacanza, a cena.

Rozzo e maleducato. Amato misteriosamente da ogni donna che ha conosciuto (non lo so quante, non lo voglio sapere). Diretto come un bambino selvaggio. Irascibile e aggressivo come un’orso bruno. Incapace di formalismi ma maniaco della formalità. Primogenito maschio ebreo. Inabile agli affetti mostrati e dimostrati. Digiuno di tutela. In coppia sempre, ma in famiglia mai.

Le sue fughe a far la guardia in ospedale a Natale e per ogni festa comune. Le urla e gli insulti ad ogni linea di febbre di una di noi. Difficile distinguere tra rispetto per le libertà dei singoli familiari e l’assoluta strafottenza dei cazzi altrui. Non regge l’alcol e gli parte un singhiozzo irrefrenabile e incredibilmente comico.

A volte ha gli occhi dolci di un cucciolo tranquillo. Ma è stato il mio peggior incubo e terrore per 20 anni. Terrore assoluto. Ha avuto nomignoli atroci regalati dai miei amici (Herr Professor, Donzauker).

Non ha mai memorizzato i nomi dei miei amici. Neanche i miei lavori. Chiedigli i soldi per le vacanze, li avrai. Chiedigli i soldi per sopravvivere, non li avrai. Chiedi aiuto, avrai una faccia contrita che risponde “non posso, ora proprio non posso”.

Ha fatto di me una persona libera da legami familiari ad un prezzo tale, che sono 40 anni che pago il mutuo a metà con mia sorella.

Tasso variabile.

Non è stato un grande affare.

 

 

Non è la città, sono i legami

castel-ovo-e-faito-con-la-neve

Soundtrack: Rolling Stones Anybody Seen My Baby

Sono a Napoli.

Parto domattina all’alba avendo combinato un casino per via della mia demenza senile allegramente avanzante (ho ben due amiche a Roma, una non la vedo dagli anni 80, ci ho vissuto negli Stati Uniti, l’altra è l’unica che può capire, perfettamente, il mio stato d’animo attuale).

Quando vengo qui cammino per ore senza farci caso. E mi sparo i cinque allucinanti piani per arrivare alla colombaia senza neanche troppo sforzo.

Mi sono addormentata nel pomeriggio sul divano guardando i tre denti del Faito.

Una giornata splendida. E calda.

Ho comprato un borsalino nuovo. Identico. Non l’ho trovato di altro colore. Assolutamente identico ma nuovo. Una ossessione penelopesca.

Non sono andata da mio padre come mi ero promessa e ripromessa. Non ce l’ho fatta.

Ho dormito. Nella mia narcolessia da evitamento tipica.

Dovrò perdonarlo prima che muoia (io o lui?). Credo di doverlo fare ma ben poche cose mi aiutano a coltivare questo dovere. E non si può perdonare per dovere. Bisogna sentirlo.

Con il doc Fab siamo chiusi in casa da due giorni. Non ci viene di uscire. Capita che qualcuno passi di qui e si fermi. Ma stiamo bene nei nostri silenzi e negli scoppi di chiacchiere sintetici e intensi.

Abbiamo fatto l’albero insieme. E’ una bella sensazione. Mi piace fare l’albero e qui dai favolosi è particolarmente divertente. Il numero di palline da sistemare è vicino alle 9 cifre. Tipico del docfab e del suo concetto di quantità minima necessaria.

Tre ore a dirimere rami, sistemare lucette e attaccare palline colorate. E’ bellissimo e sono ben felice di averlo fatto qui. Che resta il mio posto dove tornare. Il posto dove fare il pieno assoluto di calore e tranquillità e energia e quiete.

Casa.

Sempre di più e persino senza il fab1.

Quindi non è la città che mi ricarica. E’ questo posto, senza dubbio.

Sono sul computer del doc, non oso immaginare che musica ci troverò. Ha degli strani e variegati gusti. Vedremo.

Napoli è un carnaio di umanità incazzata nera. La bellezza delle donne affacciate ai vasci (=bassi, N.d.T.) è commovente. Ma non bisogna guardare, neanche nascosti dallo schermo di occhiali scuri. Se ne accorgono e si incazzano come varani. Rischiosissimo.

In questa città uno sguardo diretto è un guanto di sfida che va raccolto prima che cada. Mi chiedo di cosa si abbia costantemente paura.

A vederla da fuori è affascinante come una puttana francese di mezza età. Ha molto da raccontare, ma nun se po’ guardà.

Nei miei pensieri una tromba d’aria in perenne movimento circolare.

E’ tutto inventato. No è vero e questo è pericolosissimo. La voglio. Non mi vuole. Non la voglio. Mi vuole? Ha letto il mio blog?

Non lo so. Non ne ho idea.

Domani vado ad uncontrre una vecchia amica, come detto. I** è stata la mia collega per tre anni al corso di logopedia, mi ha fatto studiare e lavorare venendo a casa mia la mattina presto per svegliarmi. Sono andata con lei a Bethesda e abbiamo vissuto insieme per sei mesi. Il mio primo volo l’ho fatto con lei. Un’amica per un tempo importante e particolare della mia vita. Non ci vediamo da quasi vent’anni. Vuole farmi vedere i suoi figli.

Certo che ho un gran culo, sempre trovato amici/he disposte a trascinarmi per farmi fare cose che mai e poi mai avrei fatto senza un raggio traente.

Buonanotte.

Caffè con Proust la sera. E la mattina?

penny-sbadiglia

Soundtrack: Chopin Notturno op. 15 n. 2 (ma mia nonna lo suonava meglio di Pollini)

Passiamo ad argomenti più adatti alla fragile e incompleta mente della Penelope.

Avendo essa (Penelope) pronunciato la frase “che ne dici di un aperitivo” durante una sorprendente telefonata, essa (Penelope), da svariate ore, sta cercato di trasformare, dentro di sé, codesto debole e tremante miagolio subsonico da gattino spelacchiato nel potente ruggito di una lesbica predatrice.

Ci riuscirà?

Nel frattempo i 7 nani che albergano in me (passiamo alla prima persona, che la terza fa tanto Maradona) si accapigliano per stabilire quale sia il prevalente.

Sto tentando di fare fuori Mammolo, ma è duro a morire.

Gongolo passa il tempo a dondolarsi ed è un coglione narcisista che invece di muoversi e fare cose, si ripete all’infinito “come sono bravo buono e bello”. Non serve.

Brontolo parla al cellulare con Alice e R**, sfrantumando loro palle in modo inverecondo come si fa, di solito, tra i 13 e i 16 anni. ‘Na pentola di fascioli. 

Eolo tossisce come un vecchio tabaccoso e si pone problemi epici senza soluzione “Biancaneve non è una tabagista!”.

Pisolo ha l’insonnia, fuma 800 sigarette e si attacca a feisbùk per non pensare. E’ meglio quando dorme.

Dotto non sa un cazzo e non trova letteratura di riferimento. Si è persino tolto gli occhiali.

Cucciolo è meglio che se ne sta a casa che proprio non è il momento.

Ho una certa preoccupazione nei confronti della mia salute mentale.

Detto ciò, stasera Alice mi ha condotto al Teatro dell’Orologio a vedere una meravigliosa pieces (ma si scrive così?) che si noma: “Il caffè del signor Proust“.

Credo che Alice stia tentando di fare di me una donna acculturata e sensibile all’arte.

Non ho frequentato teatri per un ventennio circa, dato che il terremoto del 1980 me lo sono fatto in un teatro a Napoli. Mi è rimasta una certa sensazione di angoscia ed oppressione. Per lungo tempo. Ora va meglio.

E’ uno splendido monologo che racconta gli ultimi otto anni di vita del Marcel.

L’attore, Gigi Angelillo, è di una bravura sovrumana.

Si svolge in tre sale diverse ed, in ognuna, sei assalito da odori particolari ed evocativi persino per me che, si sa, sono anosmica totale. Si chiama “teatro sensoriale” (leggero, mi specifica la Alice dall’alto della sua conoscenza).

E’ delicato e dolcissimo, persistente nell’emozione, inusuale, pieno di dettagli da letteratura, è un libro da leggere e una storia da ascoltare. E’ un’anima gentile che parla che ti incanta con il profilo della sua voce.

Andatevelo a vedere.

Mi sono accorta che ormai non guardo più. Ascolto soltanto. Tv e cinema prima e adesso anche in teatro. Non mi pare normale.

 

Noooo, io non ce la faccio.

ermellino

(cercando foto sul web, ho potuto notare, che tutte quelle un po’ ironiche sul modo di vestire del papa, sono inaccessibili, che si sappia)

Soundtrack: Frankie HI-Nrg Mc Quelli Che Ben Pensano

Non volevo entrare in questa discussione. Non volevo entrare perché so che mi incazzo e non posso fare una beneamata mazza (beneamata?).

Per ora i link. Qui e qui.

Faccio i piatti e torno (ho la sensazione di confondere feisbùk e blog, strano…).

Eccoci qua.

Ascoltare cazzate sulle quali non ho alcun potere di intervento mi deprime. Per questo preferisco starne fuori.

Qualche sera fa guardavo un serial abbastanza seguito: “Cold Case” (la detective protagonista gliè ‘na favola a guaddasse, oltretutto). Tra i detectives nasce una ipotesi e lui dice a lei: << vabbè, ma non è che “prete” significhi necessariamente “pedofilo” >> e lei risponde: << questo è da dimostrare>>.

Lo scandalo della pedofilia tra i preti cattolici, in USA, ha avuto una risonanza ed un impatto enorme. Al punto da finire nei serial TV. 

 Abbiamo un papa (e la minuscola è intenzionale) tedesco della gioventù hitleriana, teologo (una evidente contraddizione in termini, mi pare che per loro ammissione la parola “scienza” e la parola “divinità” non vadano in accordo), sostenitore – da cardinale – di un ritorno ad una morale religiosa che ricorda da vicino la vendita delle indulgenze e che ora, da papa, tira fuori dagli armadi le toghe di Prada e le pelliccette di ermellino, un tipo che, da quando è salito al soglio, ha mandato in rovina decine di locali zona Prati, dove scorrazzava con il suo gruppetto di pretini goliardoni capeggiati da padre George.

Ora.

Io non voglio scendere su questo piano, quello del gossip o dell’insulto facile, non mi va e poi per personale condizione solidarizzo con i gay di tutto il mondo.

Mi chiedo cosa pretendiamo da questo tipo di persone.

Considerando che lavorano alacremente, da un paio d’anni, per ottenere lo stesso peso politico nella geografia occidentale che hanno quelle altre teste di cazzo dei capetti islamici sulle nazioni orientali.

Mi spiace, ma ho il fegato verde e mi accorgo di esprimermi orrendamente. Ricapitoliamo.

Nel mondo occidentale la religione più seguita è quella cristiana. In particolare il cattolicesimo. Il cattolicesimo è strutturato come un’azienda e ha un preciso organigramma. L’amministratore unico del mondo cattolico viene eletto da un gruppo di dirigenti (caratterizzati da una uniforme rossa) e resta in carica fino alla morte.

L’amministratore unico non è soggetto a interpretazione, discussione, non interloquisce con i sindacati, non segue le regole sociali comuni, ha diritto ad una villa piuttosto ampia a Prati, ha un imprecisato numero di dipendenti, diversifica nelle produzioni e non paga i lavoratori sul campo.

Una multinazionale. Ed ha il tipico potere di una multinazionale.

Ma cosa produce?

Adepti.

Produce adepti e il suo è un diritto riconosciuto worldwide.

La legge cui si attiene, che risale ad alcune storie datate un paio di migliaia di anni fa, furono pronunciate da un tipo piuttosto strano. Probabilmente un comunista, un hippie o, comunque, uno che credeva di essere un ammistratore delegato e che risulta avere rinunciato a parecchi dei suoi privilegi. Parecchi. Niente veicoli privati, niente segretari, nessuna divisa aziendale, struttura cooperativa.

Ma pare che la questione non abbia più alcun peso.

Ha peso la globalizzazione, la concorrenza sul mercato della multinazionale Islam, di quella Yddish (da sempre pericolisissima, si sa) ed un altro paio che, comunque, restano abbastanza controllabili.

Le altre fanno colore.

A occhio, mi pare che Cattolica import-export e Islam Inc. abbiano fatto cartello.

– Ma sto delirando forte, io –

Quindi, da questo sistema allucinante che ha, come unico scopo, la conquista del mondo, cosa mai ci si può aspettare?

Una morale?

Pedofilia, pratiche omosessuali, usura, collusione con sistemi di delinquenza organizzata, stragi, pulizie etniche, evasione fiscale, riciclaggio, incitamento al suicidio, tortura, stupri, plagio. Le hanno fatte tutte ma, nel loro caso, le parole si trasformano in (nell’ordine): oratorio, seminario, sostegno alle famiglie bisognose ed alle opere pie, difesa del diritto alla vita, difesa della parola divina, estirpazione del demonio, leggi divine, opere di beneficenza, insegnamenti morali, persecuzione del male, purificazione dei deboli, testi sacri.

Io non ho alcuna intenzione di assegnare a questa gente il diritto di giudicare il mio comportamemto e di definirne i confini di valore.

Il potere che viene dato a costoro (non firmare un documento contro la discriminazione di una parte dell’umanità, perché altrimenti un’altra parte ne verrebbe discriminata o non firmare un documento che garantisce i diritti ad una parte dell’umanità perché consente un diritto ad un’altra parte dell’umanità), io non capisco in nome di cosa venga dato.

Qui non si parla di religione. Si parla di politica globale. E mi fa schifo.

Personalmente non mi sento soggetta alla valutazione di un ecclesiastico, di una chiesa, di una religione.

Tantomeno di quella cattolica.

E gli omosessuali e i disabili (che accoppiata eh!) che si sentono parte di questo sistema che va sotto il nome di religione, farebbero bene a mettere in discussione il concetto di infallibilità e a considerare l’ipotesi che i tempi sono cambiati parecchio e che, com’è evidente, il mondo non ha più bisogno di una religione che stabilisca i confini tra bene e male. Siamo cresciuti (anche attraverso pricipi religiosi validi) e lo sappiamo da soli.

Abbiamo bisogno di altro che non è nulla di nuovo, ma mi pare fosse già stato scritto da qualche parte almeno duemila anni fa: giustizia sociale, diritti civili, riconoscimento del valore della persona (qualsiasi persona VIVENTE), collaborazione, comprensione.

Meglio rileggere, mi sa che ho esagerato.

 

 

70.000————————————————->

In un anno, che il blog l’ho iniziato il 10 dicembre 2007.

Che sarebbe una media di 5.800 contatti al mese.

Ovvero 1361 contatti a settimana.

Quindi 194 al giorno.

E siete pure sempre gli stessi…

Anvedi.

In questo anno, le provenienze davvero significative sono state:

Ministero degli Interni e una volta anche quello dell’Agricoltura;

Rai Radiotelevisione Italiana;

Carabinieri di Mentana;

Università da tutta Italia;

Ospedali pubblici vari (soprattutto di notte e con referrer: LESBICHE);

Regioni (nel senso proprio di struttura e non luogo) di tutto il nord Italia;

Fabbriche note e notissime;

Ho una lettrice/lettore fisso da New York e una/o da Los Angeles;

Ho conquistato la Svizzera e tutti i suoi Cantoni;

Gente da tutti i continenti e moltissimi paesi (tranne Cina, Mongolia e Groenlandia, ma anche dal Tajikistan), in pratica, ma ho perso le vecchie mappe, purtroppo;

senza contare che alcuni di voi lavorano in posti dai nomi assurdi.

Miii, quanto è divertente.

Buon giorno a tutti

vuoto

Soundtrack: Nicola Conte – Like Leaves in the Wind

Qui fuori tira un vento che pare di stare a Capo Horn.

Sono a casa, ancora non sto bene. Influenza non conclamata. Una iattura.

Ho il raffreddore nel naso e la tosse nei polmoni. Quindi va meglio.

Gatta Penelope ha un che di adesivo in questi giorni. Non me la scollo di dosso.

Sono ancora del tutto rimbambita.

Oggi scriverò un po’, mi va. Spero di mantenere un filo del pensiero.

Uno strano lunedì dopo un week end allucinante passato a casa a ciondolar dal letto al divano alla sedia al divano al letto. Almeno mi hanno riattaccato Sky.

Cercar di buttar fuori tossine intossicanti che non si staccano di dosso. Cercar di capire che droghe mi sto iniettando nel cervello floscio e ipotonico. Cercar di stare meglio. Cercar.

Che noia uagliò.

Ci vuole una botta di vita.

Mettete in mezzo argomenti, non ne ho.

 

 P.S. Si va per i 70.000. Non si pettinano bambole qui,