Soundtrack: Charlotte Martin – Pills (vi mancava eh?)
Che cazzo sto combinando?
Costruisco inutili passioni di pasta di sale e polistirolo. E me le guardo come fossero vere.
Passo le ore a lisciare le sagome e modificare le forme come fossero coccole e carezze.
Nella testa mi si confondono visi, vasi, cose, case. Non trovo niente. Qualche palla di sottomanto della Penelope testarda e semprealfianco. Graffette e spillette. Polvere che fa grattar le dita.
Ho la testa vuota. 13 ore di sonno stanotte. Prima sveglia alle sei per un biscotto e una sigaretta. Poi liscia fino alle dieci. Oggi dalle 4 alle sei e mezza. Tra poco risistemo il capino sul cuscino e vado.
Sono stanca. Di molte, moltissime cose. Avrei dovuto capirlo giovedì che sarei finita stesa.
Ho fatto quasi 6 ore di straordinario questa settimana. Pare niente, Pare.
Vedo una madre, giovedì. Una donna sottile sottile. Consumata. Anche i capelli sta perdendo. Trasparente e disperata. Da non sfiorare, perché non si disfi come gli alieni nei cartoni animati sotto i colpi dei fucili laser. Guardarla e lasciarla stare. Che niente si può fare.
Suo figlio ha 11 anni. Ha la Sindrome di Kabuki. Ne ho già parlato. Il suo è un peggioramento di quelli inesorabilmente lenti, progressivi, distruttivi. Mese dopo mese, anno dopo anno, scompare nel nulla una funzione. Le ossa della testa si modificano e prendono forme astruse che bloccano il naso, che aprono voragini nel cranio. Non cresce di un centimetro, malgrado le iniezioni quotidiane di ormone della crescita. Reni, udito, vista, sistema immunitario.
Un ricovero al mese. Analisi del sangue ogni 20 giorni, credo.
Lui sorride sempre. Sempre. E’ allegro e solare dolce come un’arnia.
Una cicatrice gli attraversa il cranio, sembra un’aureola.
Lo vedo poco, per via dei ricoveri. Ci lavoro meno che niente. Non so cosa fargli fare.
Al colloquio con la madre ci siamo spaventati in tre: la NPI, lo psicologo ed io, per alcune notizie non confortanti. FINTA DI NIENTE, diceva il mio amico Massimo.
Alla fine sono dovuta uscire perché volevo disperarmi e basta. E non è bene. Sono stanca, evidentemente.
Io vorrei portarlo a fare un giro in motoscafo. in elicottero. Vorrei fargli vedere, che ne so, le falesie irlandesi, cazzo. Vorrei fargli fare quelle cose speciali che valgono la pena. Ma non è il mio mestiere.
Il mio mestiere si fa perché non si tollera l’impotenza. Non ce la si fa e allora si finisce medici, infermieri, psicologi, terapeuti, terapisti. Così riesci a sfangarla. Passi le tue giornate a illuderti che non sei impotente. Che sei attiva e utile. Qui non servo a una mazza.
Ho chiesto alla NPI cosa cazzo devo fare con questo ciccio piccolo devastato e devastante.
Metteremo su un “momento ludoteca” apposta per lui. Farà sentire meglio me, non so lui.
Guardo la collega TNPEE preoccuparsi per le assenze che le portano diminuzione di guadagno e resto ghiacciata. Non capisco tanto bene. Forse non ho capito bene. Forse sono io che funziono male. Di solito me ne fotto, di tanto in tanto, mi prende male.
Preferisco i cicci rabbiosi, quelli che cercano di picchiarti. Preferisco. Non che io sia canonica nella gestione dell’aggressività. Ho il mio discutibile metodo. Perché sono una bimba dispettosa io. Se serve, li sollevo da terra e poi li stendo sul pavimento e gli punto gli occhi negli occhi. Animale uno ad animale due. Io alfa, tu gregario. Nun ce provà più, con la voce di panza più profonda e ferma che ho. Sono scene buffe. Se mi sgama qualcuno con sale in zucca mi manda al confino. Non si dovrebbe fare così, in verità. Ma è più veloce ed efficace.
E questa settimana non è mancato niente. Cicci che mi hanno fregato per mia disattenzione, madri invadenti, insegnanti spaccapalle. Colleghe più disordinate e scoordinate dei cicci. Troppo lavoro.
Solo lavoro.
E stasera che dovrei essere immersa in una seratina for women only, sono a letto con Penelope a rivoltarmi il cuore e la pancia.
E non prendo medicine perché ho la fobia. Quindi si ha da aspettare che passi seguendo i consigli della nonna: riguardati, riposati, non prendere freddo.
Fumare si fuma lo stesso.
Ovviamente niente invito a cena. Non erano giornate. Poi non sono affatto sicura che la pupazzetta di pasta di sale e polistirolo abbia il dono della parola. Anche perché non sono Michelangelo.