Sua Onnipotenza “la Logopedista”

Soundtrack: Charlotte Martin On your shore (u know what i mean)

Sono almeno 20 anni che non facevo una terapia privata.

L’ultima l’avrò avuta nel 88/89, non di più.

Non mi ricordavo fosse così appagante e gratificante e delirante e onnipotente.

Entri in casa di qualcuno e ti aspettano. Credono tu sia “La Soluzione”, immaginano che tu sia in grado di sollevarli dal peso dei loro problemi e che tu sia capace di rimettere le cose a posto.

Ti trattano come fossi un luminare della scienza e sono attenti e cauti nell’interagire. Come se avessero paura di perderti facendo uno sbaglio.

Sono uscita dalla terapia rimettendo a posto il mio logo da SuperLogopedista sotto la maglia.

E mi sono ricordata perché ho smesso di farle…

Sensazione pericolosissima, questa, che, generalmente, corrisponde ad un periodo futuro (circa 3 mesi dopo) nel quale tu verrai buttata fuori di casa perché stronza e incapace.

Ma me ne fotto.

3 mesi di terapia privata, adesso, sono manna e miele. Fra tre mesi tutto è possibile.

E sono anche arrivata con un’ora di ritardo…

Ero a chiacchierare con Alice in un baretto al Flaminio. Vorrei che molti dei miei amici conoscessero Alice. Ci andrebbero d’accordo. Pensa te.

La piacevolezza della condivisione di eventi e sentimenti che la maggior parte delle persone non conoscono e/o non reggono, è impagabile.

E se la mia vita è scritta dagli sceneggiatori della endemol, la sua è targata (taggata?) Sud America.

Non mi era mai capitato di sentirmi leggermente più in basso nella scala degli “eventi incredibili, improbabili e inauditi accaduti a giovane essere umano”, credevo di essere su uno dei pioli più alti.

Ho la fortuna di riuscire a incontrare persone interessanti, nella mia vita, ed è puro culo.

Ringrazio.

A volte è difficile parlare di sé ad altri. Il che detto da una che ha un blog che racconta solo dei cazzi suoi è ridicolo. Ma ci sono cose che voi umani non potete immaginare. Ci sono sempre, nella vita di tutti.

Con il passare degli anni impari ad avere un po’ paura di mettere sul tavolino verde i tuoi pesi, il tuo basto personale, la tua valigia del dolore, la tua gogna. Impari ad avere paura perché impari che non tutti lo tollerano, non tutti capiscono, non tutti riescono ad ascoltare senza sobbalzi e fitte e intolleranze. Ed è giusto che sia così.

Quindi eviti. O inizi piccoli discorsi monchi, assaggini ed antipasti per vedere la faccia, gli occhi dell’altro, per vedere se ce la fa o è troppo, ché troppo non gli puoi dare, non sarebbe giusto.

Ma anche per vedere cosa se ne farà di quei pezzettini.

C’è anche chi li userà contro di te, prima o poi. Non capita spesso, ma se capita fa male e rende più cauti, felpati, delicati.

Considero ormai una rarità l’incontro che ti permette di svuotare le tasche e non aver paura di essere derubata o equivocata o spaventosa.

La sto facendo un po’ lunga, mi pare.

Intanto non si può vivere costantemente con questa attenzione semiparanoide, bisogna fidarsi di tanto in tanto. Se va male, va male (certo, si prenderanno tremende misure di conseguenza, mica basta abbassare la saracinesca, ci vuole qualcosina in più che metta in pari…); se va bene ne vale la pena.

Quindi, adesso, sono cazzi di Alice.

Non avrai mica un figlio segreto col fratellastro della cugina della madre di tuo cognato?