Adult Toys & Peoples

Soundtrack: Emma Lanford – Pornorama

Come sapete mi vergogno sempre un po’ di parlare widely di faccende sesso-inerenti.

Quindi sarò cauta, piena di eufemismi e secondo me pure imprecisa, non potrò certo tenere il passo con Collezionediuomini o il Sarcotrafficante, epilati linguali frequentatori di penelopebasta.

Gli Adult Toys o Sex Toys sono attrezzi sessuali per adulti (e ci mancherebbe…) di ogni genere, forma e funzione, adattabili ad ogni necessità più o meno immaginabile.

Ma non è questo che mi interessa.

Sono questione di discussione da sempre.

C’è sempre qualcuno che dice: “Io? nooooo, mai!”

Mai è una parola inutile. E se poi qualcuno/a te lo fa provare e ti piace? e se poi te lo regalano a natale in carta dorata e fiocco rosso?

Ma neanche questo mi interessa. La gente dice “MAI” su cose ben più sostanziali di questa. 

Miii, coma la sto prendendo larga. Quindi mi atterrò al cosiddetto “schema descrittivo” che insegno ai cicci piccoli per facilitargli la vita.

1 – CHE COS’E’?

Non è uno, ne sono moltissimi. Sono oggetti. Sono sconosciuti ai più, creativi come nulla altro, maneggevoli, di supporto per coppie più o meno amalgamate e grandi amici di buona parte del mondo lesbico (chi lo nega è vergine). Spesso dotati di vita propria, in altre occasioni adattabili al corpo umano. Si possono utilizzare con una o due mani, con il telecomando, con un laccio (Strap-on) applicabile in vita, alle cosce, alle braccia, al mento (eh eh, questo secondo me non lo avete mai visto, andatevelo a cercare) uso protesi, possono essere mangiati, possono essere applicati sul corpo altrui al fine di tener finalmente fermo il/lo/la/i/gli/le partners e farlo/a/i/e stare cionco/a/hi/he e zitto/a/i/e (che a volte è meglio). Alcuni di essi sarebbe meglio usarli al buio, che a vedere il partner in tal guisa può far scattare crisi di risate incontenibili, altri sono esteticamente s-p-l-e-n-d-i-d-i, da poggiare in bella vista sul buffet del soggiorno. Le lesbiche finiscono sempre per comprarne uno. Le scene al sex-shop sono standard (guardo-non guardo, rido-non rido, indico-non indico, avrei domande da fare ma mi metto scuorno, parla tu-no parla tu). Poi si sostiene che è per divertimento, un paio di volte e poi basta, massai se volevo un pene mi fidanzavo con un uomo… Il problema è quando si lasciano, diventa necessario un avvocato per stabilire l’affidamento dello strap-on. Alcune arrivano ad accordarsi per due week end al mese e una vacanza per una. 

2 – COM’E’?

Oggetti sessuali riproducenti organi sessuali maschili e femminili nelle loro forme più semplici (roba standard da uso quotidiano), ma anche a guisa di oggetti che mai mente umana poco avvezza alla ricreazione sessuale. riuscirebbe a concepire se non con un po’ d’aiuto da parte di amiche scafate. Le dimensioni variano in modo impressionante. Ce ne sono di minuscoli da applicare sotto gli indumenti e utilizzare con il telecomando wireless (“Presto, autista, la signora si sente male!” “non si preoccupi, è un orgasmo, mi è partito il tasto on della butterfly nella calca”) e ce ne sono per gay irrefrenabili (mutanda con fallo anale incorporato all’interno). Palline, paperelle, coniglietti, monaci zen, penne, orsetti, pinguini, girasoli, delfini. Uno di tutto. Studiati per punti G e punti R, in grado di raggiungere punti degli organi interni che manco sapete che esistono (gli organi interni). Trasparente o color pelle (etnicamente parlando), matto o lucido, dal giallo al nero coloratissimi. In Asia riprodurre gli organi genitali è/era reato, così sono stati loro a inventare tutte le forme alternative a quella anatomica in commercio. Anche in questo caso, il proibizionismo supporta lo sviluppo tecnologico.

3 – Di COSA E’ FATTO?

Plastica, latex, plexiglass, vetro (quello pyrex, giuro), gel, cuoio, acciao, silicone, fintapelle (spero). Le lesbiche non vogliono sapere di cosa è fatto. Chissenefrega, abbasta che funziona. 

4 – A COSA SERVE?

Secondo il Fabolous, serve a provare che il mondo ruota intorno al pene (quello è assai cazzocentrico, il fab) e, che, fondamentalmente le lesbiche lo usano perché, sennò: “Che cazzo fanno?”. Non per niente si chiamano giochi. Credo serva a divertirsi, a giocare e fare cose nuove. Sono oggetti necessari per allontanare lo spettro della LBD (lesbian Bed Death) e per creare piacevoli diversivi a letto (“sì ma alla prossima lo uso io”, “No tu no”, “Sì dai”, “Aspetta, un altro giro e te lo do” Io! Io!”, “don’t bogart that strap-on my friend”).

5 – CHI LO USA?

Chi mente e sostiene di non usarlo, di solito.

6 – DOVE SI TROVA?/DOVE SI COMPRA?

Il problema vero, non è comprarlo, che qualcuno che non si vergogna ed entra nel sex-shop lo si trova sempre, ma ritrovarlo dopo averlo nascosto. Non so per gli etero, ma nelle case delle lesbiche c’è sempre una madre che rovista i cassetti, un’amica ospite per un mese e mezzo, un nipotino di 4 anni e così via. Dopo i primi tempi di uso reiterato e ossessivo, come sempre nelle grandi passioni, bisogna pur nasconderlo da qualche parte. Dove? Nel marsupio all’interno della valigia dentro la cesta sul soppalco, nella scatola delle scarpe dentro alla sacca da tennis chiusa nel box ikea sull’armadio, nella scatola degli attrezzi (ogni lesbica ne ha una capiente) avvolto nella carta di giornale dentro all’armadietto dei medicinali sotto al lavello.

“Tesò ‘ndo cazzo sta?”.

“Dove lo hai lasciato l’ultima volta”

 

 

La notte

Soundtrack: Patty Smith Because the night

Toh, che originalità.

Scendo per comprare le sigarette. E’ tardi.

La notte pizzica nel naso.

Inizia con uno sbadiglio che finisce con un brivido al centro delle spalle.

Rumori amichevoli.

Mani in tasca.

Malgrado tutto resto un animale notturno. Gatta custom, da strada ma senza troppe pretese di velocità ed emozione.

Non è atto di coraggio scendere da casa per andar dal tabaccaio nel mio quartiere.

Per questo mi piace.

Qualche macchina spara a palla improponibili canzoni balcaniche o degli untz-untz da ritorno a casa dopo dancing sunday.

Che la domenica finisce prima degli altri giorni della settimana. Ed è la metà del venerdì e un terzo del sabato.

Finisce nel pensiero che domani si ricomincia. Come se ci si fosse fermati. Come se solo il lavoro cadenzasse lo scorrere del tempo e limitasse lo spazio.

Ma non è davvero così. Lo sappiamo tutti ma meglio dirlo a bassa voce. O la settimana muore prima di cominciare.

La notte insiste e persiste. Quando la perdo mi dispiace.

Dormire di notte è una perdita di tempo. Meglio di giorno, quando la luce ti investe e i rumori ti attraversano e le persone urlano e tutto è molto, molto definito.

Da una delle mie case si vedeva il Vesuvio e il golfo steso lungo curvo e illuminato.

Una cartolina un po’ banale. Ma non all’alba, non in quel momento scioccante nel quale le luci si spengono e il sole si appoggia sulla spalla sinistra del vulcano. Lo aspettavo spesso.

Per sapere quando era il momento si andare a letto.

Mi piace ancora la notte nera. Mi piace ancora guardare i palazzi con le luci spente e le finestre chiuse alla ricerca di un segno di vita alternativa.

E Roma ha i suoi landscapes, forse meno bastardamente evidenti. Come ovunque.

Mi piace ancora passeggiare di notte e stringermi per contenere il freddo.

Mi piace ancora mettere le mani in tasca e sentire.

Non è per guardare in alto. Non lo faccio quasi mai. E’ per passarci dentro.

 

– Minchia, tutta ‘sta storia per 150 metri dal palazzo al tabaccaio e ritorno… –