Parentesi lavorativa

Niente foto e niente soundtrack, perbacco, che sto nervosa.

Sono a casa con una serie di sintomi vaghi ed eventuali.

Più che altro arrabbiata. E mi rode di dover far partire la settimana con tale mole di incazzatura dopo un così bel week end.

Mi rode anche che il lavoro debba diventare una faccenda che incide sull’umore e sulla vita quotidiana fino a questo punto. Non dovrebbe essere così.

Per inciso è giunta comunicazione, sotto richiesta scritta sul blog della community del mio centro (ma parliamone, un centro di riabilitazione che ha una community on line? messa in piedi dal capo? che si occuperebbe di questo nella vita, se non gli fosse capitata una struttura convenzionata tra capo e collo un giorno di luglio del 2007) da parte mia, che verremo pagate nelle primE settimanE di ottobre.

Quali primE settimanE? tra 7 giorni? 14? 21? quando brutto stronzo incapace e fedigrafo?

Ho ricevuto l’ultimo stipendio e non tutto (solo il 40%, finito nel buco nero del conto) l’8 agosto. Siamo al 30 settembre.

Lo so, non ve ne fotte proprio, ma io ho bisogno di sfogarmi.

Quindi pazienza.

Io ho voglia di fare quelle cose alla napoletana, tipo inviargli un topo morto in una scatola, capire quale è la sua macchina e rigarla con un grattaparmigiano, sapere il suo indirizzo e spalmargli la porta di cacca di mucca, conoscere la sua fidanzata e farla diventare lesbica, riempire il suo caffé di guttalax come alle medie e poi rendere il cesso inagibile e inarrivabile, iniettargli testosterone nel cuoio capelluto e farlo diventare calvo (che ci ha il ciuffo emo, il malefico), introiettargli un virus nel computer fatto con nanocomponenti che escono dal mouse e lo aggrediscono riducendolo a brandelli radioattivi.

Non me ne vengono in mente altre, ma suggerimenti sono bene accetti.

Come ho già detto, difficile uscire da questo loop.

I’m sorry.

Il gloss era chiuso…

Soundtrack: non si carica il box, anche questa va a vuoto

Ma si può?

Arriviamo lì e scopriamo che il sito del gloss mentiva su date e luoghi.

Quindi niente Gloss-party e invece birretta al Rox, sempre al testaccio.

Cmq la serata è stata piacevolissima.

Mi resta una sottile sensazione “banana”, ma non per ciò che si può banalmente supporre. E’ che per anni ti racconti che desideri qualcosa e stai lavorando per questo e poi, due parole al posto giusto nel momento giusto, dette da una persona che sa fare esattamente questo, ti dimostrano che sei chiacchiere e distintivo. E improvvisamente i sogni prendono una forma che pare immensamente complessa, non immaginata, quasi inarrivabile.

Santa pazienza.

Ma stasera per tornare a casa ho cambiato strada e non mi sono neanche persa. Siamo a buon punto.

Insomma splendido fine settimana.

Sabato a San Lorenzo con le ragazzuole arrivate da Garbage City con favoloso pane cafone e mozzarella di bufala (almeno 3 kg) . Parole e parole e parole e parole. Complicità, serenità, benestare, rilassarsi e cazzeggiare, scherzare e star serie, vecchi discorsi e nuovi modi di dire, la gioia nello stomaco e la testa leggera.

In tre nel lettone mi pareva di essere tornata adolescente.

Domenica al Pigneto. Kebab e caffè e mercatino e dildo.

Che era un gran bell’oggetto. Le ragassuole, sulle prime, si vergognavano di chiederlo e comprarlo.

Ma la signorinella del negozio le aveva sgamate prima ancora che lo desiderassero.

Un adult toy viola, di una strana avveniristica forma e di prezzo abbordabile.

Quindi si rientra nel negozio dopo aver negato di averlo guardato.

La signora esclama “allora siete tornate” e io, uso Troisi: “LE RAGAZZE vogliono quello” (zia).

Adolescere è una gran fatica…

L’acquisto si conclude con una serie di raccomandazioni sull’uso dell’oggetto e con la loro autorizzazione a scriverlo sul blog.

Che cosa carina. Un giorno faremo un capitoletto a parte su adult toys e lesbiche. Non vi aspettate un porno, per carità, sarò dildascalica e dildattica.

Abbiamo fatto inciuci che ne abbiamo fino al 2079. Abbiamo anche sparato sulla croce rossa e analizzato situazioni, persone, fatti, cose, parole.

Insomma ‘na meraviglia.

E Roma oggi era bellissima. Con questo freddo di autunno dentro ai colori ancora estivi e l’aria fredda e calda insieme e la luce forte e limpida e poca gente e quasi silenzio.

Loro sono andate via (col nuovo amico viola) e io mi son preparata al rendez-vous mancato.

C’erano la R*, Alice e Va*, la Omaha dispersa come al solito.

Ancora parole e parole e parole e starbene e sentirsi a proprio agio, a volte anche un po’ nude.

Da domani dieta colesterol free. Ora o mai più.

Io sto una favola, è Naomi che non è normale.

 

 

 

post-it

Soundtrack: gnente te dico gnente, sono troppo stanca per decidere

Ricordo a tutti voi che domenica c.m. si terrà party per i 50.000 clicks del blog di Penelope in quel del Gloss al testaccio (sono troppo stanca per linkare, cercatevelo).

Pare che, addirittura, si arrivi da Napoli per festeggiare.

Ma a questo crederò quando lo vedrò.

Le birre me le offrite voi, se venite, che non è arrivato stipendio ma le minacce delle rate non pagate dalla banca sì.

So che taluni gradirebbero un invito diretto e personale e non codesto puttanaio indiscriminato. Ma codesto è il blog. Troiaio è e da trioiaio si comporta.

Io vado a dormire, che sono stanca come un lepidottero.

L** procede nel recupero, per chi lo voglia sapere.

In foto la mia gatta che sbadiglia in faccia alla coinquilina che, elettrizzata, me l’ha inviata via mms. Notare il canino singolo superstite.

E pure la cyclette in sottofondo.

Sono certa che non ci saranno altri oltre i previsti. Ma ormai mi piace codesto giuoco.

We impegnato e quindi non si prevedono aggiornamenti ma, si sa, dico sempre così e poi non riesco a starne fuori.

Fatevi leggere.

 

 

 

 

Giornata di merda

Soundtrack: Eurythmics Sweet Dreams

Inizia stamattina alle nove e mezza con una telefonata della mia amica e collega M** in lacrime.

Il suo fidanzato, il mitico L**, ha avuto un infarto ed è ricoverato al San Giovanni.

Un infarto. A 31 anni. Da due mesi in osservazione al C+. Cazzo ma si può?

Sta bene adesso, ha avuto una angioplastica al volo con uno stent (steant? steanth?) nuovo di pacca. In intensiva, sveglio e vigile con ottimi segni di ripresa.

La giornata è finita adesso. Una delle poche cose che so fare è tranquillizzare la gente in ansia, lo dico spesso. Sono una buona compagna di emergenze (non di merende).

Ho avuto poco tempo e spazio per fare considerazioni, quando c’è da esserci per qualcuno non c’è tempo di spararsi pippe, è anche cattiva educazione.

Ma ora qualcosa mi viene in mente e sono cazzi vostri.

E non si tratta del tipico “la vita e breve… siamo sotto al cielo… oggi ci siamo domani chissà…” con tutto il corredo di “godiamocela finché dura… carpe diem… viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo… ogni lasciata è persa”.

No.

Questi discorsi mi fanno scendere il latte alle ginocchia e la bava all’alluce del piede.

Non può essere sempre uguale, non può essere sempre tutto speciale. Ci sono giorni nei quali hai voglia di prenderti tutto, giorni nei quali restituiresti la vita indietro in cambio di un frullatore, tramonti che ti sciolgono i polmoni e albe che vorresti non avere visto, persone che valgono la pena un’ora prima e un’ora dopo non esistono, desideri imprescindibili e vuoti incolmabili.

Come si può pensare che la vita possa davvero essere sempre vissuta ai suoi massimi livelli? E quali sono ‘sti fottuti massimi livelli?

Intensamente. What does it means? Per ognuno qualcosa, per qualcuno niente.

Allora la questione non è qui. Non è nella vuota ripetizione di frasi poetiche e maledette, non è nella convinzione che attraversarla tutta sia un valore eroico, non è nel rivestire azioni e pensieri con l’epicità di altri e neanche sopravvivere con dignità.

E se una giornata va a vuoto, che importanza vuoi che abbia? cosa cambierebbe se l’avessi vissuta in un delirio di sex and drugs and rock&roll o in un seppuku di volontariato estremo?

Minchia quanti punti interrogativi.

Importa quanto riesci a prenderti cura di te.

Quanto sai cullarti, capirti e coccolarti. Quanto sai guardarti con gli occhi di una madre affettuosa e/o di un padre protettivo, quante volte hai saputo dirti “non ti preoccupare” e le volte che hai capito quello che c’era da capire.

Conta se ti vuoi bene, se ci hai provato, se l’hai sfangata quando c’era da sfangarla, sfondata quando c’era da sfondarla e non il contrario.

Importa quante persone ti ritrovi intorno.

Quante hanno voglia di esserci anche se è faticoso, quante hanno scelto te, quante vogliono che tu stia bene, quante soffrono se tu soffri e festeggiano se tu festeggi.

Quante e quali. Fosse anche una sola, fosse il tuo padrone di casa che aspetta il pigione (=affitto di casa N.d.T.) arretrato, se è quello che volevi, va bene così.

E solo così, se muori domani, ne è valsa la pena.

 

 

Analisi dell’informazione

Soundtrack: Seal Fly like an eagle

Ricevo circa 8 sms al giorno che pretendono di informarmi sulla vicenda Alitalia.

Cerco di ignorare la questione per due fondamentali motivi:

  1. Non ho informazioni sufficienti sulla vexata quaestio;
  2. Non sono il genere di persona che si impegna a trovare informazioni sulla faccenda;
  3. Sono consapevole del fatto che quello che so è esattamente quello che si vuole che io sappia.

Quando poi mi capita di sentire i tipici commenti da italiano medio, però, mi si accartoccia il cervello e mi fuma il naso.

Ripeto e ribadisco che non ho informazioni ma mi pare non sia troppo difficile capire che quello che è in gioco non sono i presunti privilegi degli impiegati della Alitalia, ma il fatto che una nazione avanzata abbia perso la compagnia di bandiera per eccesso di ingordigia politica.

E non solo.

Malgrado la mia profonda ignoranza e strafottenza, i nomi fino a poco fa emersi nelle varie fottutissime trattative, mi suonavano già noti come vampiri e sciacalli finanziari. Mi pare di ricordare che fossero adusi a piombare sull’impresa agonizzante per sbranarne i resti – e farsi anche dare qualcosa (tipo aiuti economici straordinari e speciali) come ringraziamento per la nobiltà del gesto – e poi lasciare la carcassa spolpata come pegno alle migliaia di impiegati con pretese stipendiali.

Ripeto: ho poche informazioni, le mie sono opinioni del cazzo e notizie arrepezzate alla buona.

Ma io so, in questo paese di merda, che piuttosto che consentirci di capire la portata della questione, la responsabilità politica della morte di una delle migliori compagnie aeree al mondo, lo sfacelo nazionale, la figura di merda internazionale, il livello da quarto mondo ormai raggiunto dall’Italia, ci fanno perdere tempo a parlar male di gente che fa un lavoro ben pagato perché non facile e non agevole e/o di responsabilità.

I commenti che sento, dalle signore madri dei miei pazienti, ad esempio, sono di disprezzo per gli stipendi delle hostess o dei piloti, di disgusto per il loro pretendere il suddetto stipendio e per la loro “incomprensibile” opposizione al disfacimento di una azienda rappresentativa come l’Alitalia.

Sento “laggente” affermare con sicurezza che la causa di tutto sono le hostess raccomandate e iperpagate e che non è possibile solidarizzare con gente che guadagna tanto e pretende di tenersi il proprio lavoro ed il proprio stipendio.

Sento dire che, in fondo, peggio per loro, hanno magiato talmente tanto e talmente a lungo…

A me questo paese fa schifo anche e soprattutto per questo. Per l’assoluta, incondizionata, ottusa mancanza di buonsenso e spirito critico. Ci si beve qualsiasi cosa e chissenefotte. Le informazioni sono assunte come pillole di antibiotici, una ogni 12 ore, e senza nemmeno leggere il bugiardino (a proposito, perché cazzo si chiama “Piccolo Mentitore” un foglio di carta che dovrebbe spiegare gli effetti e i controeffetti di una medicina? i misteri della vita). Chiedersi se una notizia appare (a sentimento, a pelle semplicemente a istinto) veritiera, chiara, limpida ed esauriente è, attualmente, uno sport da intelletuali comunisti del cazzo, disfattisti e rompicoglioni.

Ma questo, ricorda qualcosa a qualcuno?

E il tutto, alla fine, mi riguarda. Mi riguarda sempre e comunque.

Mi scuso, ancora una volta, per l’empiricità del testo ma, cazzo, qui ognuno dice la prima strunzata che gli viene inmente tanto per far prendere aria alla bocca, stai a vedere che io non posso.

(Air Botswana è una compagnia di bandiera)

Zitta e a cuccia!

Soundtrack: The Ting TingsShut Up And Let Me Go (solo perché dice shut up)

Capitolo I

Zitta e a cuccia Penelope.

Vergognati per la tua presunzione, per le tue lamentazioni da bimba viziata e capricciosa, per i tuoi miagolii da affamata dotata di mangiatoia vascia (=bassa N.d.T.).

E dormi e sogna tutto quello che hai, più di quanto non ti sia guadagnata, gatta pigra.

Non hai da guardarti le spalle, felino di scena, c’è chi le guarda per te, mentre sfrantumi le palle a destra e a manca con i tuoi personali cataclismi e le tue preci mute e mutevoli. Chi ti copre non parla, agisce. Poche chiacchiere, c’è da fare.

Impara.

Per una volta fai quello che va fatto, palla di pelo, fa’ ciò che è meglio, ragiona e conserva, preserva e risolvi, ringrazia e stai zitta.

Che pure culo ci hai.

In questa serata molte cose in poco spazio.

No.

Poche e precise cose. Anche queste mie.

Comunque.

Capitolo II

Oggi record assoluto di visite al blog. Oltre 400. Mai viste tante in questi mesi. Che accade?

Chissenefotte di che accade, accade ed è già abbastanza.

Accadono un sacco di cose d’altronde.

S’è squetata l’Olanda, diceva la mia prof di storia di epoche pre-zoiche.

Mi sto persino disfrigidando.

Dovessi mai diventare meno acida di così?

Non sia mai.

Buonanotte a tutti, dormite e sognate babbo natale.

 

 

Non lo so ancora

Soundtrack: Charlotte Martin Beautiful life

Non lo so ancora quello che scriverò.

Ma voglio scrivere.

Da un paio di settimane a questa parte codesto blog sta avendo una quantità di visite inusitata. Dopo la moria delle vacche estiva, non si sta capendo più niente. E non è che ne comprenda il motivo.

Mi pare di non avere più argomenti altro dal mio noiosissimo e piatto quotidiano.

Del resto abbiamo già parlato dei misteri della vita del blog tempo addietro, ma non ho la costanza e la pazienza di mettermi a cercarlo.

Io mi sento in gabbia.

Irrimediabilmente in gabbia.

Eppure le cose vanno a sistemarsi.

E questo mi fa sentire ancora di più incastrata. Catena alla zampa destra, come una elefantessa da circo che gira intorno ad un palo da 75 anni.

Uno dei miei cicci, di circa 10 anni, oggi ha confessato di aver paura del lupo.

Stavo per avere una crisi isterica: aver paura del lupo a 10 anni è come aspettare i regali da babbo natale a 45.

Come cazzo si fa a lasciare che un ragazzetto di quarta elementare fantasizzi le paure come uno dell’asilo?

Poi ci ho pensato bene bene.

Anche io ho paura del lupo e, soprattutto, aspetto che babbo natale mi porti i regali. Ancora e sempre. E la voglia che ho di mandare tutto allegramente affanculo, sperando nel sempercerto regalo di babbo natale per risolvere la situazione, è talmente forte da soffocarmi.

Dover resistere, ragionare e stare (come un giocatore di sette e mezzo con un 5): mi opprime.

Voler andare, modificare, stravolgere e squilibrare: mi chiude i polmoni.

E tutte queste cose messe insieme non sono altro che paura del lupo. Paura di niente. Paura di una fantasia fiabesca e senza corpo.

Presumibilmente mi calmerò. Mi calmo, prima o poi.

Passiamo ad altro

Watching Grey’s Anathomy, ho letto da qualche parte che nella nuova serie c’è un amour lesbienne. So anche tra chi e chi. Ma non ve lo dico.

Si porta. Tutte le serie televisive più importanti hanno una lesbica tra i protagonisti.

Spesso muore, oppure le muore la fidanzata, si uccide, si trasforma in un serial killer, si converte. Insomma cose così. Mai che vada tutto normale come vanno le cose nelle coppie. Si incontrano, si piacciono, si amano, litigano, si schifano, si tradiscono, si lasciano. MAI.

I serial italiani si adeguano. Si adeguano con quella pudicizia braghettona tipicamente italiana. Non sia mai che si possano baciare, figurati scopare. Gli amori lesbici italiani sono strazianti, casti, momentanei e soggetti al giudizio del vaticano.

Che culo.

Nei film si va anche peggio. Nel primo film a tematica lesbica del quale ho memoria lei, l’orrido mostro che si era permessa di innamorarsi di Audry Hepburn (e te credo), si impicca.

Poi c’è quello dove le due fedigrafe si ammazzano volando da un burrone.

Poi ce n’è uno dove la ragazzetta si suicida buttandosi dal tetto del college.

In un altro la arrestano. In uno si da fuoco.

Ma non è mica finita qui.

Amori impossibili, non corrsiposti, redenzioni, manicomi… ne ho presente giusto un paio a finale neutro.

Anche qui viene naturale dire: “che culo”.

Volevo seguire l’isola dei famosi ma non ci riesco proprio. Mi fa cagar. Ci ho provato ma resisto circa 25 secondi. Tenetemi al corrente voi.

La mia gatta sembra un persiano col raffreddore. Ha tirato fuori la pelliccetta invernale in 24 ore. Peli lunghi 36 chilometri e starnuti scostumati. In cuollo a me.

Sarà un inverno freddo, mi sa.

 

 

 

Anima moscia

Soundtrack: Malika Ayane – Feeling Better

Ci ho l’anima moscia.

E devo andare a comprare le sigarette.

E non mi sono fatta la doccia.

In un neverending pijama da domenica pomeriggio.

Eppure cose da dire ce ne sarebbero.

Ho anche promesso un post sul sesso tra lesbiche a letto.

Ma poi mi imbarazza.

Devo scendere. Sigarette. Rota. Che palle le dipendenze. L’idea di infilare i pantaloni. Aborro. E poi espormi alle intemperie, al gelo autunnale improvviso e improvvido.

Non so se ce la faccio.

Ahhh bè, andiamo bene…

Allora?

Sappiate che siete tutti schedati. Sono la Granda Sora di WordPress. E non mi spiegherò meglio di così.

Tra i miei mosci pensieri odierni, anche uno sul fidanzamento. Il pensiero era: “E se mi fidanzassi?”.

Una risposta si è formata tra la parete posteriore del cranio e il deltoide. Era una risposta tridimensionale, con una texture marmorizzata ed un peso specifico pari a quello di un pietrozzo di Uranio.

Era una risposta molto chiara, limpida, assolutamente non equivocabile.

Era una affermazione più che una risposta.

La scritta di marmo e uranio recitava “MANCO MORTA” ed è arrivata sulla nuca alla velocità di un protone impazzito.

Sono svenuta.

Credo di essere ancora svenuta, è per questo che sono moscia?

Può darsi.

Ma come si fa?

E’ troppo complicato, fa perdere un sacco di tempo, scompiglia programmi, destabilizza ritmi.

Nun se ne parla.

E poi:

  1. bisogna incontrarla, una donna che ti faccia venir voglia di stravolgere l’ordine ossessivo che ti tiene in piedi, ma chere Penelopè;
  2. bisogna che lei incontri te, dear Penelopi;
  3. bisogna trovar la forza di essere seduttive, simpatiche, affascinanti, travolgenti, misteriose, socievoli, trascinanti e tu, mein liebe Penelopen, sei una uallera (=ernia inguinale, N.d.T.);
  4. bisogna ricominciare a spiegare (come diceva Lello Arena che non lo trovo su youtube), c’è da impegnarsi, si ha da essere un minimo collaborativi ed è necessario avere liquidità per sostenere gli incontri on the road, e tu non brilli nel lavoro di gruppo e non hai un euro, querida Penelopes.

Detto questo, ho detto tutto.

Parlar di sesso proprio non mi va, vero è che chi non lo fa ne parla, ma anche no.

Buonanotte, schedati lettori del blog di Penelope, vecchi e nuovi che voi siate.

E non mi si sfracantino i coglioni, please, che mi basta il fatto che devo andare a comprare le sigarette.

Bloggers & wine

Soundtrack: Goldfrapp Happiness

Venerdì intenso. Non esageriamo. Denso di cose fatte e dette.

Per ottobre le mie faccende lavorative si sistemano, almeno dal punto di vista economico. Resta da decidere cosa fare, per me. Restare, andare, spostarmi. Più facile decidere quando ho le spalle al muro, quando non ho alternative, quando sono in piedi su schegge di vetro e legni in fiamme. Ho sei mesi, vedremo.

La mia coinquilina è un ectoplasma. Che meraviglia. A volte penso che non sia una persona in carne e ossa, ma una bella ‘mbriana in regalo per me.

Iersera enoteca con la Omaha e la Alice e gruppetto delicatissimi e internazionali amichetti loro.

Momento bloggers&friends.

Loro, le bloggers, sono personcine amorevoli e piacevoli. Ovvio che lo scrivo perché mi leggono.

Ma è sempre un gran piacere incontrare persone che hanno da comunicare e che sanno interagire.

Contenta che qualcuno si cominci a fidare di me, personalmente con Omaha mi rilasso oltremodo e mi sento sufficientemente @home. Contenta che qualcuno (peraltro con il mio stesso nome) riesca ad oltrepassare i muri spuntuti ed abrasivi della mia antipatia cronica. Contenta di conoscere persone e punti di vista che non conosco e, infine contenta di sentir parlare inglese. Che quanto mi piace a me.

Forse un giorno riuscirò a parlare anche io, eccheccazzo.

Son tornata alle tre che non si smetteva di chiacchierare.

Devo essere ingrassata, i miei superpantaloni mi vanno giusti, in questo autunno già traumaticamente iniziato.

Che si abbia pazienza, in questo periodo non ho molta vena scrittoria, né voglia di approfondire pippe, né desiderio di analizzare persone e/o comportamenti, vuoi per le ossessioni quotidiane, vuoi per il bisogno che ho di riposare la cervella.

Son serena.

Senza apparenti motivi per esserlo.

Che culo.

 

50.000 cliks e corteo numero 3

Soundtrack: Queen We will rock you

Seeeee, che esagerazione. Ma mi pareva codesta musica suonasse bene.

Oggi i nostri cartelloni sono stati eletti i più belli del corteo (“senza contratto – senza stipendio“, “Annamo a lavorà – ma nun se pò magnà“, “contratto scaduto – stipendio fottuto“). Non ho parole.

La seconda volta che passo, quest’anno, lungo i fori imperiali fino a piazza venezia, il terzo corteo cui partecipo.

Che sia un segno? Sì, un segno che le cose non vanno avanti, tornano indietro.

Eravamo molti, circa 15.000.

Era lo sciopero nazionali dei lavoratori della sanità privata, per chi non lo sapesse.

A chi non interessa, spiego che il contratto dei privati è fermo da 33 mesi (i privati sono AIOP, ARIS e Don Gnocchi e spiego anche che l’ARIS sono i cattolici che ignorano persino il loro capo, mi pare si chiami Ratzinger, che sostiene che in Italia ci sono disparità salariali) e che c’eravamo noi, i colleghi dell’ex “anni verdi” e i poveri creaturi delle Marche, senza stipendio da mesi.

Nella sanità privata ci sono un sacco di lesbiche. A tratti pareva il gay pride.

Ma who cares? No one but me.

Quindi si passa ai 50.000 clicks dei quali sono orgoglioserrima. Dal 12 dicembre 2007 al 18 settembre 2008. 9 mesi e 6 giorni. Una gravidanza.

310 giorni e una media di 161 pagine visitate al giorno. Mi pare almeno. Per un blog privato e cazzeggiante. Per parlar di lesbiche e pippe individuali.

Apperò.

Ribadisco, domenica 28 settembre al Gloss io vado e mi faccio offrire una/varie birre – se non ho ancora avuto lo stipendio – o la offro io – se lo stipendio arrivò -.

Ma sai che son contenta? Di cosa cazzo sono contenta non saprei.

Fab, ora ti scrivo una mail, così sei contento.

Questo template è definitivo.

Auguratevi all together che sta storia finisca, perché al momento non riesco a parlare d’altro.

Questo paese fa schifo.

 

 

Proposta 1

Si ipotizza, per i 50.000 un rendez vous al Gloss – Testaccio.

Non questa domenica, l’altra.

Ai 50.000 ci arrivo domani.

Chi vuol venire viene.

Chi non vuol venire si sta a casa.

E fanculo.

E adesso cambio pure template.

Anvedi che novità.

Domani vado a scioperare per il rinnovo del contratto della sanità privata.

Le pischelle romane mi hanno chiesto dove si faceva lo sciopero.

Santa pazienza, ma mi posso ritrovare nel 2007 a fare quello che facevo nel 1977?

C’è qualcosa di atroce nel riproporsi dei cicli.

Come i peperoni.

Non si digerisce.

Mi sembro una uscita dal baule della nonna.

R.S.V.P.

Che sta a dire: fatemi sapere se l’idea del festeggiamento vi aggrada e la vostra eventuale partecipazione.

Dovessimo pure festeggiare la fine dello scassamento di palle lavorativo?

Potatemi buono.

Buonanotte.

Energia sprecata 2

Soundtrack: Santogold L.E.S. Artistes

Ero lì, inginocchiata a terra con un pennello in mano a scrivere uno dei cartelloni di protesta da affiggere sul posto di lavoro.

Ero lì e le colleghe mi guardavano.

Ero lì e mi sono sentita un’idiota.

Mi sono accorta, definitivamente, che i diritti li pretendono solo quelli che hanno il pepe al culo. Chi ce lo ha apparato, il culo, non ritiene utile sforzarsi e/o pretendere il suo.

Ho capito che tanto più mi incazzo come un animale nello scoprire che vengo presa in giro, usata, manipolata, ridotta a pietire 10 euro per comprarmi le sigarette e il latte (nell’ordine) a chiunque mi passi davanti, tanto più sono un’imbecille.

Ad attaccare gli striscioni mi hanno aiutato i genitori dei cicci piccoli. Loro vogliono sapere cosa possono fare per aiutarci.

Domani mettiamo un contenitore trasparente in sala d’attesa con sopra scritto “ADOTTA UN TERAPISTA”.

Mi è sembrata una idea carina. Mia, ovviamente.

Sono incazzata e non vorrei esserlo. Mi pento e mi dolgo di essere una post-settantasettina, veterofemminista ed ex-comunista che non resiste al fascino della affermazione dei diritti.

E questo non è neanche vero.

Sono solo una impiegata incazzata come un varano perché non prende lo stipendio da due mesi.

Ovviamente, dopo una giornata così, basta una frase. Non per farmi saltare i nervi, ma per farmi partire un delirio consolatorio al profumo di banana senza precedenti.

Una frase che, al momento, mi scivola addosso senza significato, il momento dopo monta come un bidone di albumi in un furgone che corre su una strada sterrata.

E fantastico così forte da ritrovarmi contromano sulla Salaria.

– E se? e se? e se voleva dire altro? e se quell’altra cosa significava questo? e se? e se? –

E se anche fosse, mia cara Penelope, tu non sei una giocatrice di poker. Potresti restare seduta al tavolo verde con gli occhi puntati sul piatto ad aspettare che entri una regina nel tuo ventaglio senza mai, assolutamente mai, guardare negli occhi l’avversario per capire se ha intenzione di scartare il suo re o tentare una scala.

Nel frattempo passi il tempo ad inventare interpretazioni di parole e gesti che non significano altro che quella parola e quale gesto.

Ma se non fosse così?

Che meraviglia inventarselo.

 

 

Si accettano proposte

Soundtrack: vedi la precedente

Ho un cazzo di niente da scrivere, diciamo la verità, ma mi sento in dovere sapendo, tra l’altro, che il prof passa di qui una centinara di volte al giorno. Mi secca se trova sempre la stessa pagina.

Gente vi vedo spenta e poco propositiva. Entusiasmo scarso e partecipazione azzerata.

Qui si ha da decidere su cosa fare per i 50.000 click che, vi ricordo, sono una considerevole conquista per un blog di cazzi squisitamente personali e privi del benché minimo interesse socio-culturale.

E in meno di un anno.

Vorrei anche lanciare un sondaggino per controllare il livello di acquisizione delle lezioni di lesbicamma che vi siete sorbiti in codesti 9 mesi.

All’isola dei famosi vi è una lesbica. Sapete riconoscerla?

L’ho vista per pochi minuti all’inizio della puntata e presenta almeno 3 segni caratteristici.

Vediamo se siete bravi scolaretti.

Allora, spremetevi le meningi per proporre cose decenti in occasione dei 50.000.

La caccia 2 non la vorrei organizzare, mi vergogno parecchio, l’altra volta ero preda di un attacco di faccia di bronzite che ora non ho. E poi già abbiamo dato in questo senso.

Come ho già detto, che sia qualcosa che prevede ampio uso di alcolici.

Forza, attivatevi e muovete il culo. Soprattutto voi napulitani che, in questo anno, siete venuti meno clamorosamente almeno 3 volte.

Se la ziasaimon mi ospita, potremmo organizzare rendez-vous a Positano.

Maffigurati. Uallere che siete.

 

 

Vecchie amiche

Soundtrack: Niente perché ‘sto box non funzia bene e devo capire che gli è successo,
però ci starebbe una favola King of Pain dei Police.

Cena Thai con V*.

Ho in mente molte cose, ma non riesco a tirarle fuori con ordine e logica.

Infatti, la prima cosa che mi viene in mente è: com’è bello entrare nel letto, quando comincia il fresco notturno, nelle lenzuola profumate di bucato con il pigiamino scoordinato sì, ma vaporoso.

Non credo sia il caso di raccontare la serata, non ho voglia di condividerla, è roba mia.

A cascata vengono giù pensieri correlati e ricordi cancellati.

Con V* posso parlare di Gabriella, è l’unica persona che lo fa volentieri. Le altre persone che hanno a che fare con lei e con quel periodo, di solito, si rifiutano.

Qualche ricordo ha cambiato colore, qualche altro è emerso dal cestino, altri ancora sono stati ricostruiti per intero, erano irrecuperabili.

Gabriella è morta nel novembre del 1998, di una cosa qualsiasi, come succede a chi muore di AIDS. Era una mia amica. Un’amica di quelle speciali. Una persona irritante come poche e particolare come nessuna. Di quelle che ti fanno fare e vivere cose che non ti sogneresti di fare e vivere neanche per scommessa. Gabriella non la potevi proteggere da se stessa, ma passavi il tempo a provarci, fino allo sfinimento.

A lei succedeva qualsiasi cosa. Qualsiasi.

La casa in fiamme, niente genitori, parenti serpenti fino al ridicolo, fidanzati psicopatici veri e suicidi, indigenza totale, ricchezza imbarazzante, AIDS, percosse, amiche truffaldine. E molto più di così, era difficile starle dietro. Non sapeva prendersi cura di sé, ma sapeva occuparsi di altri come è raro vedere.

Aveva un carattere di merda, perché aveva un carattere.

Ricordavo il momento della sua morte e poi più nulla. V* ha puntato la luce nel punto esatto in cui i ricordi erano stati affogati. E sono ritornati su.

Gli anni con Gabriella sono stati folli e travolgenti, talmente pieni da sembrare tre vite in una, senza contare la parte ai confini della realtà.

Dopo 10 anni, mi resta la sensazione di aver vissuto una parentesi delirante ed intensissima. Irragionevole e fondamentale.

Come lei.

Grazie V*.

Anche per avermi dato ragione dopo 10 anni (e non è la prima volta che mi succede, com’è che devo aspettare sempre tanto?).

E per avermi chiarito le idee sulle mie relazioni affettive.

Adesso ho capito.

Credo.

A buon rendere Ninja… 

 

P.S. Ma, dico, sto arrivando a 50.000… che si fa?

Energia sprecata

Soundtrack: Imogene Heap Speeding Cars

Tanta.

Le riflessioni si affastellano e accumulano. Ogni gesto e parola mi rimanda altrove e altruando.

Dovrei forse spiegare i fatti, prima, tanto per chiarire le ragioni e le origini del filosofeggiare.

Ieri assemblea sindacale. Partecipa il donatore di lavoro. Si presenta affermando cose che, nel giro di 4 minuti, mi fanno rendere conto che la mia vita lavorativa (e di conseguenza la mia vita in generale) è nelle mani di una persona tanto perbene e caruccia ma tanto inaffidabile e incapace.

Un’azienda da due milioni di euro di fatturato l’anno cui io dedico 36 ore alla settimana, è gestita da un ragazzino spaventato, solo e senza risorse che esordisce accusandoci di disinteresse nei confronti dei problemi della sua azienda ed affermando che non ha modo di sapere come mai la ASL RMA non lo paga.

Mi gelo. Mi alzo. Parlo per 5 minuti. Lui tace e abbassa gli occhi.

Lo avrei azzannato alla gola, se non fossi stata troppo stanca e avvilita.

E così sto per diventare rappresentante sindacale.

Io.

Per avere fatto una imparata di creanza (=lezione di educazione N.d.T.) ad un ragazzino terrorizzato.

Roba da ridere.

Mi pare di essere assoluta protagonista di un incubo ricorrente. Anche perché se mi pizzico non sento più niente.

Mi chiedo, da ieri, se la combattività e la determinazione di un adulto non siano altro che il darsi occasione di riscattare torti, ingiustizie e frustrazioni subite all’alba della propria esistenza.

Come a dire che allora si era troppo piccoli per rispondere, discutere, far valere le proprie ragioni, agire e che, ora, con qualche strumento in più, si rimette in scena lo stesso identico copione nella speranza vana e irragionevole di modificare il passato, di cambiare il finali di quella scena, di ridirezionare lo svolgimento delle cose e dei fatti.

Se così fosse, dio quanta energia sprecata.

E perché mai mi faccio questa domanda?

Sono sanguigna ma mi espongo raramente. Abbaio molto e mordo poco. Odio prendermi le responsabilità del pensiero collettivo perché ci credo poco.

Ma sono cresciuta negli anni 70 e 80. Il collettivo prevale sull’individuo, il pubblico sul privato, il generale sul particolare. Questa formazione non si stacca dalla pelle malgrado gli anni.

Ma ieri ero solo avvilita, offesa, stanca, peroccupata per me e per il mio futuro qui. Gli uomini mi hanno quasi sempre deluso ma mai, dico mai, ho esposto loro le mie ragioni.

Ho sempre pensato di meritare trattamenti poco lusinghieri e irrispettosi (viste le mie caratteristiche di irresponsabilità e inadeguatezza cronica) ma ieri no, non volevo tollerarlo, proprio no.

Faccio il mio lavoro al meglio delle mie possibilità, ho la responsabilità totale di bambini piccoli, delle loro famiglie, delle scuole che se ne occupano. Ho il costante senso di necessità di fare cose e offrire occasioni a loro (i cicci piccoli) e al mondo che li circonda e, CAZZO, non lo faccio perché aspiro alla santità. Mi da anche fastidio chi lavora nel sociale con questo inutile spirito madreteresadicalcuttesco, perché mi pare una dimostrazione di idiozia e di piccolezza mentale, oltre che di menzognerità di base. Quando stacco dal lavoro, stacco, me ne fotto di cosa succede, perché a ognuno la sua vita. Sono ventisei anni che lavoro. Ho preparazione, esperienza e scafataggine mentale. So come lavorare e anche come non lavorare. So che sono peggio di alcuni e meglio di altri.

Ma, tutto questo, ha un unico, fottutissimo, scopo: vivere le ore non lavorative senza negarmi nulla.

Non tollero più di essere trattata né come una eroina (mamma mia, ci vuole coraggio a fare il tuo lavoro…) perché ci vuole coraggio a scendere in miniera o a portare avanti un tabaccaio a secondigliano, non a fare la logopedista a Roma; né come una intrattenitrice dell’inutile (vabbè, tanto non serve a niente…) perchè solo le mie colleghe, le madri e le assistenti sociali sappiamo di cosa si parla.

Ora, dove voglio arrivare?

Io non lo so bene, penso che, comunque, io stia sprecando le mie energie per qualcosa che in realtà non può essere cambiato (considerando variabili come la nazione, la regione, la città), che farei meglio ad occuparmi del mio futuro, dei miei desideri, dei miei sogni e utilizzare a questo scopo determinazione e garibaldinismo. Penso che per quanto mi possa piacere essere il referente di qualcosa, sia solo una dissipazione di risorse. Penso che per la prima volta riesco a fare una cosa che ho sempre desiderato fare (espormi, esprimermi e, in qualche modo, sopraffare ed imporre il mio pensiero) ma nel luogo e per l’obiettivo meno indicato.

Io così perdo tempo, ne sono consapevole, e, tutto sommato, rimando quello che ha da essere fatto.

Inseguire i miei sogni e scoprire se li desidero davvero.

 

 

 

 

What’s next

Soundtrack: Nina Simone My babe just cares for me (and my babe it’s me!)

Domani assemblea sindacale.

Oggi colesterolo a 292.

Domani pomeriggio decidere se andare/restare/cambiare/aspettare/casa/lavoro/città.

Oggi pomeriggio inutili e reiterate rimostranze ed analisi della stronzaggine dell’Amministratore Unico.

Tempo perso.

Stasera piccolo break amichevole con coinquilina che soffre il freddo. A Roma. Stasera. Caruccia. Preparata pasta e zucca per seicentoquattordici persone.

Ieri sera battaglie campali con Rome Total War (sono la famiglia Giulia e ho fatto a pezzi i Britanni e pure i Cartaginesi e i Greci).

Domenica torna nipotazza per subito ripartire verso almeno 3 diverse destinazioni europee.

Un sacco di cosette in 24 ore.

Vorrei evitare, domani all’assemblea, di farmi salire la pressione oltre ogni ragionevole valore, ma sarà difficile.

Spaccamento di coglioni.

La frase di oggi:

“Sono andata via da Gomorra per finire a Sodoma”.

Forse glielo dico domani, all’ingegnere.

Da lunedì dieta salutistica anticolesterolica di questo cazzo.

Fino a domenica porcate a go go, del resto non ho finito né la scorta di semi di zucca né quella di vafer al cioccolato.

Se possedessi una bacchetta magica con tre desideri incorporati da esaudire cosa chiederei?

Non ne ho idea. Vorrei poter chiedere qualcosa in più degli stipendi di agosto e settembre, ma non mi viene in mente altro, per ora.

Ci penserò stanotte.

Nervosa

Soundtrack: F.F.F. – Marco
(pezzo del 1991 che ho ripescato da e-mule e mi ha fatto assaje ridere,
ma quello che dico io non lo trovo perché non so come si chiama, uff)

Sto nervosa, nervosissima, nervoserrima.

E non so nemmeno se dipende tutto e solo dalle questioni di lavoro.

Ho appena finito di scofanarmi (=divorare con ingordigia, N.d.T.) una quintalata di sementi (=semi di zucca, N.d.T.). Compulsivamente.

Ci manca solo che riprendo a mangiare come una scrofa. Se ingrasso di nuovo denuncio il mio capo. Così, tanto per rompere il cazzo.

Odio essere messa spalle al muro e costretta a prendere decisioni. D’altra parte se non sono spalle al muro non prendo una decisione neanche morta. Peggio mi sento.

E allora?

La R* si intristisce e borbotta al sol pensiero che io vada via. Questo è bello.

Come mio solito la ricostruzione del curriculum va a rilento. Manco avessi cose importanti da scrivere. E’ che una parte di me (quale?) recalcitra e si impunta come una vecchia asina testarda.

Same old story.

Sick to hear it/me.

Oh bè. La cosa non riveste del benché minimo interesse per alcuno. Forse neanche per me.

Ho la nuova coinquilina, to whom it may concern. Mi pare una persona tranquilla e fortunatamente nevrotica ossessiva più o meno quanto me. Sono io ad avere qualche difficoltà. Questa casa è il mio territorio, a quanto pare. Mi devo abituare a lei e a non considerarla un invasore.

Che palle.

Buonanotte.

 

 

Il concerto di Madonna

Soundtrack: Madonna Give it to me

Va’ che titolo originale. La foto è una merda ma il Nokia quello è.

Stasera concertone di Madonna all’Olimpico. Biglietto gratis. Da sola nei distinti.

Madonna sarà per tutta la serata un puntino bianco iperattivo e l’acustica una vera chiavica, con un eco corto corto che creava solo grande confusione.

Ma ci sono andata di lusso lo stesso, non era neanche lontanamente previsto ci andassi. Quindi niente da ridire, anzi grazie ad M* per il biglietto.

Salgo le scale del settore 52A e mi si apre davanti uno spettacolo fantastico che tronca un po’ il respiro: stadio stracolmo, umanità pigiata e indistinta ai miei occhi da talpetta, un dj fenomenico che intrattiene prima del concerto. Uno splendore.

Tra le file una rissa ogni due secondi. Questo è il posto mio, no siediti da un’altra parte, voglio passare, passa da un’altra parte, ma vaffanculo, vaffanculo tu eccetera eccetera.

Càpito in un punto ad alta concentrazione lesbica. All under 25. Benevento, Torino e Pescara. Rissosissime. Che ridere.

9 e 15 e si parte. La signora si leva subito dalle palle le canzoni che tutti vogliono, compresa Vogue. Ha riadattato tutto, i pezzi sono letteralmente irriconoscibili, se aggiungi la distorsione dell’acustica di merda, un paio di loro non ho proprio capito cosa cazzo fossero.

Salta con la corda e canta, la Stronza cinquantenne. Come cazzo fa? se io fra 5 anni mi metto a cantare mentre salto la corda, mi prende l’eliambulanza e mi deposita direttamente nel mio loculo al cimitero degli inglesi. Una via diretta.

I pezzi sono talmente diversi che la gente non può cantare, deve essere una bella soddisfazione.

Il palco non è fantasmagorico di per sé, ma ci sono delle immagini proiettate che sono bellissime. Filmati di animazione veramente particolari. E un paio di trovate fichissime e ipnotiche che zittiscono letteralmente lo stadio.

C’è una specie di cilindro fatto con una cosa tipo rete che sende giù e la avvolge. Sul cilindro proiettano immagini. A tratti sembra che lei stia cantando dall’interno di uno di quei souvenir con la bolla di neve. Si applaude alla bellezza dei giochi di luce. Che strano fatto. Poi escono dei pannelli semoventi rettangolari a misura umana su cui proiettano immagini di ballerini che ballano e che si interscambiano con ballerini veri. Meglio di così non lo so spiegare, mi spiace.

Scopro che è pro-Obama e pure lei maniaca della storia del riscaldamento globale (che da quando ho letto quest’estate il libro di Crichton, non ci credo più).

Trasforma “la isla bonita” (che di per sé è già una canzone orrenda e cafona che la metà basta) in un ibrido tipo balcanico o comunque rom-style. Siamo oltre il trash, siamo a livello differenziata. Ma mi viene il dubbio che in capa sua sia un messaggio, in particolare all’Italia. Ma forse sopravvaluto.

I musicisti credo fossero androidi, vista la precisione. Non li presenta nemmeno quindi sì, sono androidi. 

Ho la sensazione che abbia deciso di divertirsi molto e di impostare il concerto in fasi alternate tra loro.

C’è la fase old time con le canzoni sue vecchie, Like a Virgin è a cappella verso la fine per farla cantare anche al pubblico che era rimasto fottuto dai rimaneggiamenti di Into the groove e altre. C’è la fase rave, dove gli arrangiamenti ti fanno sentire in una megadiscoteca di Berlino e ti pare pure che ti sei calata ma non te lo ricordi più. C’è la fase rock dove suona la chitarra elettrica e gioca a fare la rock star anni 70 come da copione, compresa la distorsione del suono davanti all’amplificatore, alla Hendrix, suona col sedere… La fase cantante quando canta quasi acustica. Infine la fase bucchinariella (=furbetta, N.d.T.) dove spara bassi a palla, accordi in maggiore, luci ad effetto e bacia ballerine bonissime, nerissime, bravissime, sexissime. Fanculo come ho rosicato.

Preferisco decisamente la fase rave. Fantastica.

Due ore pulite pulite in piedi a ballare e cantare (ah, ma allora anche io me la cavo).

Il primo concerto di Madonna che vedo.

La percezione più forte è che 70.000 persone non chiedano musica, tantomeno arte, ma solo “facce divertì e stupiscici”. E lei lo fa, il puntino bianco iperattivo. Lo fa bene.

Quello che hai, se ti arripigli un momento dal delirio ballereccio, è la sensazione di esser di fronte ad un cartonato. Un cartone molto ben disegnato, vuoto ma esteticamente perfetto, falso come Giuda ma irresistibile. E chissenefotte se canta in playback. In fondo è come essere andate in discoteca insieme. Io e Madonna.

Anvedi.

Affinale Give it to me. Fantasticamente identica alla Radio version e quindi una droga, in pratica, non ti puoi esimere dallo sbatterti.

Il concerto si chiude con la scritta GAME OVER. Fa-vo-lo-so.

Nessuna richiesta di bis. Gnente, te dico gnente. Ci so’ rimasta male.

All’uscita riesco ad incontrare S*, V* ed E*. Contenta di vederle. Contenta di delirare per 30 minuti in un tripudio di napoletano urlato e sbracalone. Un po’ come mangiare la cotoletta alla milanese: sapore di casa.

Infine, aspettando L* che ci ritira per riportare M&M e me a casa, non resisto e libero una macchina di cinque giovani frocetti dalla trappola della seconda fila. Prima cerco di spiegargli come uscirne malgrado la macchina affiancata, poi mi offro per fare la manovra io e la faccio. Applausi a scena aperta da tutto il marciapiede. Dico al ricchioncello che, come sa, una lesbica al volante è una garanzia. Mi risponde che ho trovato le bionde giuste… Che teatrino.

Give it to me
Yeah!
No one’s gonna show me
How!
Give it to me
Yeah!
No one’s gonna stop me

Per il Fabolous

Soundtrack: Estelle Ft Kanye West American Boy

Oggi volevi sapere di me.

Ero a casa di amici, a fare un po’ di sostegno emotivo a qualcuna che va sotto i ferri lunedì. E poi mi imbarazza sempre un po’ parlare a telefono davanti ad altri (allora – dirai – trovi meno imbarazzante scriverlo sul blog? – certo che sì, quando scrivo sono sola e mi diverte immaginare che ti irriterai assaje).

Ma tanto lo sai.

Ti ho sentito più calmo, più presente, meno agitato.

Son contenta.

Vuoi sapere cosa accade, sai che non accade nulla di trascendentale, nulla di speciale o di rimarchevole. Le cose, semplicemente, si assestano, a sobbalzi e scossoni più o meno forti, le cose si assestano. E non su loro stesse.

E lasciano intravedere strade nuove, eventuali, possibili, probabili.

Certo ho paura di decidere, as usual. Certo ho dubbi che le mie ipotesi siano le solite fughe fantastiche, i soliti voli pindarici di una mente che sfugge la realtà come un idrofobo l’acqua. Ma non sono ancora arrivata alla schizofrenia. Sono una qualsiasi, con dubbi qualsiasi e paure qualsiasi. E non ho niente da perdere. Perché non si perde mai niente che non si voglia perdere.

Niente di nuovo, mio principe indaco. Guardo e vedo la solita, reiterata, conosciuta, necessità di modificare gli squilibri abituali con un qualche altro squilibrio tutto nuovo e luccicante. Come passare da una gamba all’altra per stanchezza, perché si sono anchilosate le giunture e i muscoli tremano per la tensione.

Sapere che ti preoccupi per me mi inumidisce il naso.

Sapere che, negli anni, sono diventata io quella che “non trova pace”, rubandoti il primato assoluto, mi fa serrare le palpebre come una gatta soddisfatta.

The Mad Professor scalcia, scarta e nitrisce, ma non si perde nella boscaglia.

La gatta nera strepita, si oppone e fa le fusa con ancora troppa bestitudine dentro. Forse non la perde. Forse per addomesticarla del tutto c’è tempo. Almeno un’altro po’. E poi tu sei l’unico che lo sappia fare, favoloso amico trentennale. E ora non è il momento.

Siamo due animali da cortile senza padrone. Continuiamo ad andare dove ci sembra sia il caso di andare. Dove una porta si apre. Dove c’è cibo. Dove c’è riparo da. Anche solo un po’.

Tu sei più capace di me a trovare e a tenere. Io ci arriverò. Forse.

Dici che lì c’è un tempo settembrino. Qui siamo in pieno agosto. Sono qualche passo indietro, mio adorato.

Ma tu sai che sono lenta. Sei l’unico che non si arrabbia mai per la mia lentezza.

L’unico che ne ride.

Baci biondo.

 

Adultità

Soundtrack: Sofa Surfers – Say Something
(ora c’è e vado pazza e non vi metto i link che stanno già nel post precedente)

Sono stata un anno intero dietro questa parola.

Perché di parola si tratta e non di concetto. E no, non una parola, più un aggettivo.

L’adultità o adultitudine o l’adultezza o l’adultà non sono sostantivi esistenti in lingua italiana. Esiste Adulto/a/i/e inteso come un “organismo pluricellulare che ha raggiunto la piena capacità riproduttiva”. O più genericamente riferito ad individui animali vegetali e minerali che abbiano superato con successo la fase prepuberale. Quindi non c’entra un cazzo con l’età, il comportamento, le reazioni, le scelte, le responsabilità e manco con i dati anagrafici.

E allora non è un valore assoluto. Neanche un obiettivo da raggiungere, esiste di default, che cazzo corri a fare per arrivarci se ce l’hai già in tasca?

E’ un insieme di lettere utile a meglio definire qualcosa.

E in realtà, sta uno schifo con quasi tutto: “una scelta adulta” = una scelta che abbia raggiunto la capacità riproduttiva? che sia riuscita a superare viva l’adolescenza?

Oppure “Da adulti è necessario accettare compromessi“= perché da bambini no?

Ma anche: “adulto responsabile” = uno/a che mette il preservativo/usa la pillola.

Bene. Chiarito il concetto base, mi sono accorta di essere stata dietro, per un anno, ad una parola che è un concentrato di stereotipi e niente ha a che vedere con la gestione della propria vita.

Si è adulti per forza, dopo i 12 anni e, con il passare del tempo si può diventare capaci di affrontare le faccende dell’esistenza con maggiore o minore leggerezza, capacità, forza, coraggio o consapevolezza.

Non molto più di questo.

E si può essere in grado di fare alcune cose con maggior discernimento di altre. Affrontare alcune paure, ma non tutte. Decidere con sicurezza per qualche settore, non per tutti, perché il cuore non è di marmo ma batte finché ce la fa mantenendo in vita un intero apparato in continua e incessante trasformazione e il cervello è un budino di colesterolo che trema e si scioglie per poco e niente.

Non è tutto uguale. Non per tutti. Quello che saprai fare tu della tua vita può non essere adatto/accessibile/giusto/armonico per me. E viceversa.

Lo stereotipo è duro a morire. Se qualcosa non riesci a vederla o affrontarla o scansarla o a caricartela sulle spalle, ti senti una bimba fragile e senza strumenti, un esserino colpevole di lesa adultità, una reietta della società dei “GRePPE: Grandi Risolutori e Portatori di Pesi Esistenziali“.

Ed il tempo scorre a prenderti la faccia a schiaffi cercando di arrivare ad una cosa che non c’è, non è così, non va bene e non è neanche lontanamente raggiungibile (un po’ come pretendere di essere una donna senza cellulite). Una fatica improba e del tutto useless.

La questione è altra.

Gli anni passano e impari che a delle cose non ti puoi sottrarre. Impari che perdinci, alcune finché puoi è meglio sfuggirle che non sei proprio in grado, impari che altre cose ancora le fai e le hai fatte senza pensarci, senza festeggiare coi fuochi d’artificio o aspettandoti medaglie al valore e con tempi e modi invidiabili.

Impari anche che ci sono cose che tu, proprio tu, non raggiungerai mai – meglio farsene una ragione – e che, per ogni fase della tua vita ci sarà un modo e un pensiero diverso. Un giorno sai affrontare una montagna, il giorno dopo la rampa di scale ti pare l’Everest, un altro ancora non riesci a ricordarti come è fatta una pianura e a riconoscerla. Poi passa, poi torna.

E così via in un ciclo che dura finché duri tu, che cambia finché tu respiri. Che tu lo veda o no, che tu ne conosca il nome ed il cognome o meno. Che tu sappia di esistere o lo abbia dimenticato.

Codesto momento di alta filosofia è il prodotto delle mie personali pippe di questi giorni di eremitaggio mentale (non reale che sono stata travolta in una rapida di socializzazione). Non serve a giustificare nulla, né né ad apparare alcunché.

E’ una pippa, chell chell’è (= quello, quello è N.d.T.).

 

Rami secchi, affetti lessicali, trasloco 10

Soundtrack: Sofa Surfers – Say Something (non ce l’ho, sentitevelo su last.fm qui)

Quindi si andrà a Monterotondo.

Non ci sono alternative. Non riesco a trovare qualcuno per questa casa. Eppure è carina.

E si rende necessaria la potatura. Definitiva.

Essendo io, fondamentalmente, una Lesbica_Banana, se ho un affetto, è fiducioso e sufficientemente incondizionato. Così mi servono molto tempo e molte, molte prove di inutilanza, per staccarmi e tagliare.

D’altra parte sono un po’ stanca di sentire dichiarazioni che appaiono politiche più che affettive. Bisogna prendere atto che dietro le chiacchiere non c’è nulla che le chiacchiere stesse. Ne ho avute troppe prove in questi giorni, per continuare ad ignorarle.

C’è chi finge desiderio di chiarezza per nascondere una furba pigrizia e una genetica inconcludenza, c’è chi finge interesse a distanza e non si interessa alla vicinanza, c’è chi promette momenti di comunanza dei quali poi, perde la memoria, c’è chi dichiara affetto smisurato per nascondere invadenza e compulsivo bisogno di controllo e sadomasochismo.

Sto imparando a fingere anche io. Sto imparando a sorridere e dire “ma certo, con piacere”. A qualsiasi cosa.

Ma non mi piaceva prima, non mi piace adesso. Diminuiscono sensibilmente i motivi per restare in questa città. Ma per questo c’è tempo.

Monterotondo non mi alletta, ma è un buon compromesso, tagliare non mi fa piacere, ma è un buon modo per liberarmi dalle inconsistenze che pesano e mi mantengono la testa impegnata nel nulla.

Ehhhssì.

Comincia una settimana che si prospetta faticosa. Rientrano pure i cicci piccoli.

Certo, se uscissi qualche volta, avrei qualcosa da raccontare, cazzo.

Si accettano volontari per impacchettaggio e trasloco: poca roba, in verità.

Buon lunedì a tutti. Rami secchi compresi.