Hey Ho, Hey Ho, andiam a lavuràr

Soundtrack: Black Box recorder Child Psychology

Domani al lavoro.

Aggratis.

Ma non voglio tediarvi con le strunzate del mio quotidiano.

Vi raccomando la Soundtrack, è adatta. Mi si accusa di metter musica di merda sul blog. Ma codesto non è un blog di musica, darling, è un blog di chiacchiere autocentrate.

E quelle sono sempre di qualità.

Non che mi dispiaccia andare a lavurar, mi rompe un po’ andare all’alba, in questa settimana e, comunque, sempre meglio avercelo un lavoro che non avercelo affatto.

Questi giorni sono andati tra varie cose da fare e traumi di vario tipo. Per ora non si vede ombra di housemate. Andiamo verso il trasferimento rotolando lungo la scarpata. Infatti ho dei graffi sulle spalle. Non ho idea di come li ho fatti.

Prometto che il prossimo post sarà sulle lesbiche banane. E’ che sono in crisi visti i test che ho fatto in questa settimana. Viene fuori che sono assolutamente etero. Sono disperata e mi sento nel settore “millantato credito”. 20 anni di onesta lesbicità, spazzati via in un attimo.

‘Azz’.

Avrei voglia di tirare giù una di quelle mie pagine di delirio. Vediamo.

Oggi, con mia sorella, abbiamo tirato su il coperchio del cascione (=cassapanca – N.d.T.) dei ricordi di famiglia: il pater e “la Signorina”.

“La Signorina”, malgrado quello che potreste pensare, era la governante/balia/colf/educatrice/bancomat e cuoca della famiglia di Penelope. Si è sempre chiamata così, nessuno ricordava il suo nome di battesimo e i miei amici hanno spesso ricevuto telegrammi e regali da parte sua firmati “la Signorina”.

Le ho dato del Lei per 30 anni. Educatamente la mandavo affanculo in terza persona. Mi ha cresciuto, con l’aiuto dell’autorevolezza dei suoi 120 chili e di una cucina indimenticabile.

Capace di preparare un pranzo con 5 pietanze diverse (una a persona, per rispetto dei gusti e delle fobie di ognuno), tenere a mente impegni di tutti, necessità di tutti, manie di tutti. Uno per uno.

Abbiamo provato a massacrarla, mia sorella ed io, al suo arrivo. Ma lei era nata per gestire le altrui famiglie. Non si è fatta abbattere dalle due orfanelle bisbetiche e rabbiose come varani. Aveva pazienza, poche o nessuna alternativa e un filino di cazzimma e, alla fine, vinse lei. Non ne potemmo più fare a meno.

Era l’unica a conoscere i nomi dei miei amici (nella mia famiglia la voce “amici dei figli” non rivestiva del benché minimo interesse collettivo), l’unica a sapere di cosa ero capace. E’ riuscita a maneggiare una famiglia sfilacciata e instabile come la mia senza cedere e senza ammalarsi; ha mediato, si è esposta, ha protetto, ha sgamato, ha nascosto, si è piantata a terra e ha fatto in modo che tutto iniziasse a girare intorno a lei; l’unica tecnica possibile per mantenere ordine e logica in una casa che era un patchwork mal fatto che non produceva calore. Sapeva tutto di tutti in ogni momento ed in ogni condizione.

E’ andata via quando ha visto il pater oltrepassare il segno della decenza e della ragionevolezza. E’ andata a crescersi un pezzo della sua famiglia in Sardegna. Cucinare e crescere i bambini anche lì malgrado i suoi 60 anni. E’ morta qualche anno fa, lo abbiamo saputo dopo parecchio tempo. I miei amici ancora chiedono di lei.

Un pezzo della mia vita. Non saprei dire cosa mi abbia lasciato, oltre a fantastiche ricette e a tutte le mie manie di pulizia estrema. Ma so che c’è, da qualche parte, la Signorina.

Si chiamava Franca, era calabrese.

Sono stupefacentemente malinconica in questo periodo. Ma senza tristezzeria. Solo malinconica.