Sono andata al cinemà

Soundtrack: Feist Brandy Alexander

Ce soir sono andata a veder un film che si chiama “la zona”. Info qui.

Mi sorprende scoprire che è dell’anno scorso e non ne avevo avuto notizia alcuna.

Trama importante, riflessioni di peso sulla natura umana e sul cammino del mondo.

Peraltro perfettamente in linea con la mia teoria (spero bene non solo mia, perbacco) del lecito. Quando stabilisci che all’omicidio esiste anche una sola giustificazione, per quanto importante e corposa, uccidere diventerà l’ultimo e il più lieve degli orrori che sarai in grado di compiere.

E che il mondo si fa sempre più povero.

E chi povero non è, ha paura.

Della altrui disperazione come fosse un’arma carica puntata alla tempia.

Mondaccio schifo.

E di questo mondaccio schifo fanno parte persone che, a qualsiasi costo, non se ne evitano una. Persone che devono, necessariamente e senza freno, far male anche in obliquo. Se il diretto non fosse bastato.

Eppure sarebbe sufficiente un minimo di accortezza e gentilezza d’animo. O forse nobiltà. Ma una rapa è una rapa.

Ma questo è un altro discorso.

Dunque, se il film è in circolo nei vostri quartieri, andatevelo a veder.

Se domani non vado a fare la carta d’identità, difficile che mi facciano passare il check in all’aereoporto. Le foto sono di raro orrore, sembro una lesbica anoressica con l’ictus. Forse per questo non vado al comune.

Ma anche perché sto per piazzare sulla C/I l’ennesimo indirizzo obsoleto già da subito.

Ohhhbbè, ho da stirare circa 64 tonnellate di panni. Tra i quali almeno 3 magliette che mi servono per partire.

Come farò con il blog? Internet point, immagino.

Buon compleanno alla mia ex. Casomai dovesse leggere…

Per il resto tutto bene, disse Natascia.

 

Dimenticavo una cosa rimarchevole.

Mezzanotte, strada deserta, mi parcheggio per chiacchiere con amico. Finisco la sigaretta. La lancio dal finestrino con la solita modalità da lesbica camionista (pollice e indice e lancio lungo).

Finisce in una bmw cabrio transitante. Sul cruscotto.

Abbiamo sperato che il driver volesse una rissa, wonderles e supergay alla riscossa…

 

Post inorganico

Soundtrack: Living Colour Love rears its ugly head

Ho iniziato a scrivere senza decidere titolo e musica. Strano, non lo faccio mai.

Ho vari temi nel capoccione bacato.

Vorrei aprire un dibattito sulla iperreattività del varano. Si tratta di età o follia personalizzata? esso, il varano, è iperreattivo perché ha ormai una soglia bassa come uno scalino del marciapiede o perché è giunto alla sclerotizzazione delle arterie principali?

E già mi sembra un punto di partenza di un certo peso.

Poi mi sovviene che sono reduce da una chiacchierata tra colleghe dalle quali emerge che, nel 2008, ci sono deliziose donne di oltre trenta anni che hanno ancora difficoltà con il proprio corpo e con il sesso.

Che è togliersi uno dei pochi, veri piaceri della vita. Tantopiù tra i 30 e i 40. Che sono tra i migliori.

E ne ho conosciute molte, così in difficoltà.

Ma fra donne è diverso, in fondo si sa esattamente cosa fare per mettere un’altra donna a proprio agio. Punto dopo punto, step by step, parola per parola, gesto per gesto.

Mi sa che non tutti gli uomini sono capaci. Un gran casino per le etero.

Vi consiglierei di spararvi una esperienza lesbica. Fa bene e migliora la pelle.

Che altro? ahsssì, probabilmente mi trasferisco in quel di Roundmount, si trovano monolocali economici. Mi pare una buona soluzione sul piano pratico, un po’ meno sul piano social-emotivo.

Se mi legge una qualche lesbica di Monterotondo, si faccia avanti per favor, almeno mi sento in compagnia.

Una volta ho sgamato che mi hanno letto dal Comando Generale dei Carabinieri di Mentana. Mi è preso un colpo.

Ahhbbè, un post privo di senso, questo. Trovato titolo. Cazzo, so’ stata copywriter, ti pare che non trovo un titolo? ma mancano immagine e musica.

Mi si dice che dico troppe volte la parola “cazzo”. C’est vrai. It’s true. Mi devo controllare. E’ che sono una lesbica scurrile e maleducata. Un po’ rozza anche.

Vista una mia foto al mare di due settimane fa e realizzato che sono una donna poco sotto ai 50 anni. Niente di grave, solo piccolo shock nel trasportarmi avanti di circa 20 anni. Colpo di frusta e jet lag. Sopravviverò.

Ma sono necessari un paio di adattamenti. Sono quindi carica di buoni propositi. Basta con le giovincelle, solo over 35. Basta con i cazzeggi, si va per progetti. Prossimo progetto: arrivare a fine mese stipendiale. Progetto successivo: pure.

Del che, tutta una serie di cose che non sto qui a dire che mi faccio la palla già a pensarle.

Infine, momento Alberoni. Direi che esiste una differenza sostanziale tra innamorarsi e amare. Ma comincio a pensare che questa differenza abbia contorni di forte personalizzazione. Ovvero ognuno la vede come cazzo glie pare.

Per me l’innamoramento ha a che vedere con il fuoco, con la cecità alla realtà, con l’urgenza, con l’irragionevolezza dei sentimenti e delle emozioni, con il consumarsi. Una tempesta che, certo, si placherà e che nasce improvvisa e inaspettata, usually. Il primo pensiero la mattina e l’ultimo prima di andare a letto, in un balenare di fiamme e bisogni. Voglio te e ti voglio ora, non ti permetterò di andare via, a qualsiasi costo, usando qualsiasi mezzo. E l’oggetto potrebbe scomparire per sempre. Anche dalla memoria o trasformarsi addirittura in uno sgradevole incidente dal quale allontanarsi rapidamente. E se qualcosa è andato male, sarà sua la colpa, mai tua la responsabilità. Più vicino alla passione, insomma, con giusto qualche cosina in più che è poi la voglia di conoscere e interagire al di là di un letto sfatto.

L’amore mi sembra un fiume, a volte la terra solida e fertile O forse un fiume che bagna la terra e la feconda. Una cascatella argentina di un giardino zen ben curato e delicato. Non ti toglie la vista, non ti toglie il fiato forse, ma riempie e tranquillizza, nutre e accresce. Lentamente e senza sosta, in ogni piccolo gesto, in ogni momento. E l’oggetto d’amore (che non è oggetto, ma sangue e anima) resta seduto nel tuo atrio ventricolare sinistro vita natural durante. Non se ne andrà mai più, per quanto lontano e cattivo possa essere stato. Perché gli orrori di chi hai amato li conoscevi e li capivi, li perdonavi senza bisogno di perdonare e li osservavi con la tenerezza e la saggezza di un bodhisattva. E andavano bene così. Ti chiederai per sempre in cosa hai sbagliato, pensando, comunque, che sia tutta tua, la responsabilità . Te lo porterai dentro, l’amore provato, insieme alla persona amata, senza sosta. E niente lo cancellerà.

Toh, mi sovviene la soundtrack, eh eh. Da tenere conto che è tutto il giorno che ascolto muri di chitarre, schitarrate e rock anni 80/90. ‘Na fissa.

Infine ho ricevuto, in questi giorni, vari messaggi scaldacuore casuali ma al momento giusto. L’ultimo da parte di una amica nordica (ma non svedese) che non mi aspettavo e che mi ha fatto profondamente piacere.

Mi pare di aver detto tutto.

Manca l’immagine? forse ho pensato anche a quella. In fondo è il mio amore inossidabile e imprescindibile da quasi 18 anni.

 

 

Siamo fottute

Soundtrack: Vedi video

Dunque ieri autostrada sotto al diluvio universale senza l’unico equipaggiamento necessario: il sonar. Mangiatoria clamorosa in quel di Caianello (agriturismo di un amico) con I**.

Stamane Garbage City, recupero Miss I e C** all’aeroporto, vado a trovare il pater, poi dal dentista, poi a fare il pieno di calore ed affetto al Centro dove lavoravo.

Ho attraversato la città da est a ovest, da ovest a sud, da sud a nord.

Maledico il berlusca ininterrottamente. Il bastardo non ha fatto altro che il gioco delle tre carte. La munnezza è dappertutto. DAPPERTUTTO. Tranne che nei quartieri perbenini. Ma comunque il livello di sporcizia della città è da terzo mondo. Cerco anche di far capire a chi ci vive che non è una città normale, che niente ha un senso, una direzione, una traccia di amorevolezza. Niente. Non riesco nemmeno a farmi capire.

E mi si propone di tornarci.

“Tornare” non è la stessa cosa di “andare”. Basta questo.

Il pater è moscio, il dentista mi ha finalmente limato il dente gigante e le collegucce del Centro sono delle delizie al cioccolato che ti lasciano addosso tracce di zucchero e crema chantilly.

La mattina l’aereo delle roditrici dotate di appendici ossee frontali (zoccole cornute) era in ritardo e mi ritrovo, alle 9 e mezza di mattina, a guardare la TV. Metto MTV. Di seguito becco il video di Feist e feisteggio come una groupie col parkinson, poi quello di Fabri Fibra con la Nannini e penso che il pezzo è proprio interessante e notevole. Ma lui nun se po’ verè. La Nannini è in gran spolvero lesbico con giacchetta di pelle, collare al collo e capello sparato. Evito di soffermarmi a discutere con me stessa sulla questione del mancato coming out (che è diverso da outing, spiegheremo) dell’unica musicista lesbica famosa in questo paese bacchettone e vomitevole. E’ troppo poco che sono sveglia per tirarmi una questione con la mia parte aspirante-militante.

Subito dopo un video che mi porta, inesorabilmente, a far staccare la mascella dalla faccia. A bocca aperta e without words. Non lo so come si chiama questa cessa (scopro che si chiama Katy Perry), il pezzo si chiama “I Kissed a girl”.

Vedetevelo un attimo. Io cerco anche le parole. Casomai qualcosa.

This was never the way I planned/ Not my intention/I got so brave, drink in hand/Lost my discretion/ It’s not what, I’m used to/Just wanna try you on/I’m curious for you/Caught my attention

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

No, I don’t even know your name/It doesn’t matter/You’re my experimental game/ Just human nature/
It’s not what, good girls do/ Not how they should behave/ My head gets so confused/ Hard to obey

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

Us girls we are so magical/ Soft skin, red lips, so kissable/ Hard to resist so touchable/ Too good to deny it/ Ain’t no big deal, it’s innocent

I kissed a girl and I liked it/ The taste of her cherry chap stick/ I kissed a girl just to try it/ I hope my boyfriend don’t mind it/ It felt so wrong/ It felt so right/ Don’t mean I’m in love tonight/ I kissed a girl and I liked it/ I liked it

Rendiamoci conto che siamo fottute. Fottutissime. Circola una canzoncina adolescenziale da tormentone estivo che si esprime in questo, specifico modo: ho baciato una ragazza e mi è piaciuto il sapore del suo chap stick, ho baciato una ragazza giusto per provare, spero che il mio ragazzo non si arrabbi…

Saranno almeno 50 anni che si combatte qui in lesbolandia per non finire nel buco nero delle fantasie erotiche maschili. 50 ANNI.

Potreste pensare che il mio sia un discorso isterica da lesbica/militante/veterofemminista/vintage ed avreste ragione, ma anche no.

In fondo è una canzoncina del cazzo, che vuoi che sia? ma anche no.

In realtà significa che la questione è definitiva.

Non siamo un genere, non siamo una categoria caratterizzata da una tendenza sessuale specifica, non siamo donne che non necessitano di interagire con il genere maschile per sessualità e riproduzione.

No, siamo una moda adolescenziale.

Si porta fare la lesbica.

A beneficio maschile.

Fottute. Non esistiamo più.

P.S. To whom it may concern:

Maybe I need to stay alive, first. Maybe I won’t forgive the unforgiveness. Maybe it is hard. Maybe u’re not the kind of person I can walk with, in any way. Maybe I’m not ready enough to jump over. Just wait.

Proud2bme

Soundtrack: Gorillaz Feel good Inc.

Post veloce e arraffazzonato che è tardi e domani sveglia alle 6.

Stasera cena di colleganza. Tutte femmine. tutte non accompagnate. Età variabile dai 55 ai 23. Locale in quel di Poggio non so che vicino a Fidene.

Per farla breve, arrivati al locale, si materializza la ormai famosa terapista detta “mani in cuollo”: 23 anni, solare, carnale, morbida, vestita di poco e bella da svenimento (detto da tutte, non certo da me che ho il mariolo in corpo).

‘Na visione.

La mia collega M°° mi guarda e comincia a ridere e pariarmi in cuollo (=sfottermi, prendersi giuoco di me N.d.T.) con la successiva alleanza della collega S** e della collega V** mentre sudavo freddo e mi ripetevo mentalmente frasi raggelanti per non far sgamare la bavetta al lato della bocca.

Quando poi Ella è venuta alle mie spalle a farsi fare una foto, si è raggiunto il delirio collettivo della presa per il culo. Io cantavo nel mio cranio il mantra anti figur di merd: “sei in una caverna buia e qui non c’è nessuno, fa freddo e non senti niente”. Non scendo in particolari ulteriori che non vorrei perdere in dignità. Ho un’età che peraltro corrisponde a quella della madre di colei, oltretutto. Pedofilia genetica.

Mi hanno sfottuto tutta la santa sera. A morte. Divertentissimo e mi fanno ancora male le mascelle e gli addominali.

Ora, dico io, cosa c’è di più bello dell’accorgersi che la tua omosessualità può diventare oggetto di complicità, leggerezza e divertimento con le persone con le quali condividi le tue giornate?

E rendersi conto che hai cambiato la cabeza di persone rigide e pregiudizievoli?

Potrebbe sembrare un discorso adolescenziale e militante, ma è solo un gran piacere che scopro, di tanto in tanto, nella mia vita.

E non è che ho colleghe speciali (massì, anche pure), è che la testa della gente si cambia così.

Quindi, nell’ebbrezza onnipotente del post-birra, raccomando caldamente a tutte le lesbiche che passano le proprie giornate a mentire e nascondersi e ad avere paura e a farsi paranoie assurde su quello che le persone possono pensare di loro, di FOTTERSENE. Perché possono succedere solo buone cose.

Sono lesbica e me ne vanto e questo post pare una raccolta di pensierini di terza elementare.

Che meraviglia.

 

Bah!

Soundtrack: Jem They

Ho per le mani una ipotesi di casa ma è difficilissimo prendere una decisione. La casa è cara ma è un tutto-compreso strabiliante. Non riesco a capire se mi conviene o no.

Ci penserò domani, disse una filosofa di inizio secolo. Carta penna e conti del salumier.

Non apprezzate i miei momenti di libero delirio. Me ne dispiace. Ma anche no.

Allora, nei prossimi giorni ho da fare cose che, in genere, non riesco a fare neanche in un mese. Una gran testa di cazzo, vedremo di migliorare.

Ho avuto, ier sera, una conversazione illuminante con la Cugina. L’Icona di famiglia.

In ogni famiglia, credo, esistono ruoli assegnati, figure retoriche (a volte anche figure di merda) e inamovibili opinioni su ognuno dei componenti.

C’è l’estroverso, l’originale (che, perlopiù, è quello che nessuno capisce bene e si comporta in modo piuttosto inconcludente, ma gli si vuole troppo bene per dargli del disadattato), il superintelligente, quello che “più di tanto…”, quello chiuso, quello che fa sempre casini e quello che li risolve tutti, il ribelle fino a 80 anni, il pragmatico pure in pieno alzheimer, lo studioso, il fancazzista. E non importa se sei stato una testa di cazzo per 30 anni e poi sei diventato presidente della General Electric a 31, resterai sempre la testa di cazzo e, viceversa: hai preso tre lauree e poi ti sei sfrantumato il cervello a botte di crack? non importa, sei quello intelligente e capace (in un momento difficile però, anche se dura da 25 anni).

Immagino valga per tuttissimi.

Noi non siamo tanti, in verità, quindi è necessario rivestire un paio di ruoli a testa. Per sfangarla con stile abbiamo anche aggiunto elementi esterni. La famiglia allargata si forma per necessità di questo tipo, non certo per generosità.

Abbiamo avuto di tutto un po’, con una forte propensione per ruoli statici, contrastanti e in odore di disordine mentale (lo slash divide i due ruoli fondamentali rivestiti da ogni singolo componente):

  • La studiosa pacata cazzi suoi/refugium peccatorum – che sta per: “risolvimela tu”;
  • la fancazzista iperreattiva/creativa ed emotivamente espressiva – che sta per: “la lesbica”;
  • l’icona iperintelligente algida/fantasiosa tormentata – che sta per: “vive in un altro mondo”;
  • il manager/sognatore maldestro – che sta per: “sarà mica ricchione?”;
  • Quella che “meno male che non ci arriva che sennò non ce l’avrebbe fatta”/la sopravvissuta – che sta per: “le sfighe tutte lei”;
  • ill tossico psicopatico/il bravo ragazzo – che sta per: “non è colpa sua”; 
  • lo scambio in culla perché troppo diverso da tutti (è persino diventato ricco!)/ – lui solo questo;
  • la depressa cronica immotivata/la viaggiatrice – che sta per: “ma che cazzo di lavoro fa?”;
  • il bello e dannato sfigato/spacciatore di fidanzate bonissime – acquisito;
  • la psicolabile bona/attualmente badante del pater – acquisita.

Negli anni ci siamo ridotti, ma lo zoccolo duro (essenzialmente le femmine) resiste tenendosi stretto il proprio ruolo familiare.

Non si potrebbe sopravvivere ai meccanismi familiari, altrimenti.

Ovviamente nessuno è così. Nessuno è statico, nessuno è fermo al palo da 40 anni, nessuno si sogna di vedersi con tale scarso realismo e cecità indotta.

O no?

 

P.S. La foto è della mia famiglia.

Woodywoodpeckerstory – II Parte

Soundtrack: Re:Jazz Keep on movin’

 

Devi far da solo, ciccio” disse una voce.

E perché?” rispose lui.

Io non lo so il perché, ma è così, poche discussioni e muovi il culo

Ma sono stanco

Non rompere i coglioni, quando è il momento è il momento. Quanto ancora vuoi rimandare? pensi di poterlo fare? pensi che la prossima volta sarà meglio? No, sarà peggio. Quindi alza il culo e fai un fatto ORA. Come si dice nel giuoco di carte <scopa a perdere>: piglia mo’ che a ropp’ è peggio (=prendi ora che dopo è peggio N.d.T.)”

Parli napoletano?

Lo vedi che hai proprio il gusto della perdita di tempo? che te ne fotte della lingua madre della voce nella tua testa? se preferisci parlo inglese, ma la sostanza non cambia. Se non che conosco meno parolacce

Mi piace quando parli inglese

Sei un cazzeggiatore di merda, ti attaccheresti a qualsiasi cosa pur di restare fermo. Può anche darsi che arrivi qualcuno a pararti il culo, ma tra un po’ staresti punto e a capo

Ma metti che qualcuno mi cerca? non mi posso allontanare. E metti che inizio qualcosa e non è la cosa giusta? e se faccio cazzate? e se non so prendermi cura di me e lo scopro irrevocabilmente? e se…

Mi hai già sfrantumato i coglioni, più o meno come hai fatto con il resto del mondo

Ma avrò diritto di porre delle questioni sostanziali?

Fallo camminando, testadicazzo, le questioni sostanziali non stanno nell’orgasmo della retorica, pipparolo minus habens

Smettila di insultarmi

Guarda che ti stai insultando da solo

E’ vero” 

 

 Aggiungo a prescindere, e lo farò ad ogni post, i seguenti annunci:

Affitto stanza (singola 650 doppia 350 a posto letto) zona africano, con gatto e inquilina fumatrice. Sono comprese spese di condominio, internet wireless e sky. Riscaldamento escluso. Contratto regolare.

e

Cerco stanza singola max 450 non in culonia. Sono dotata di gatto e fumo. Senza internet non se ne parla.

e

Qualcuno mi sa dire come fare a disfarsi di una macchina mentre la si paga a rate?

Thanx.

Paura eh?

Soundtrack: Propellerheads ft Shirley Bassey History Repeating

Vi siete spaventati. E’ evidente.

La pazienza che ci vuole.

Per tutelare le vostre fragili menti, non vi sottoporrò le mie personali considerazioni conseguenti alla visione di una puntata di “Amore Criminale” in tv.

Sarebbe il colpo di grazia.

Mi si creda, sono stanca come un salmone. Tra poco arriva la vacanzetta (della quale sono felicissima) ma, essendo io caduta dal cuore del Fab, non sarà facile. Ma tanto ha ragione lui. Inoltre preferirei partire con la certezza di avere trovato una housemate decente. E in questo mondo assolutamente fuori di sé, non è detto che ci riesca.

O voi penelopebasta-addicted, raccontatemi delle future vacanzette vostre, così animiamo l’ambiente altrimenti, tra un paio di giorni, cambio il celeste con il grigio cosicché si possa immanentemente comprendere il mood del blog. Che ha un po’ rotto le palle.

Forse vi piazzo una tarantella come soundtrack. Io adoro le tarantelle. Non ballarle, provocarle.

Non so che darei per reincontrare la mia maestra di yoga della fine del secolo scorso. O anche quella di shiatsu (ho avuto anche io il mio periodo new age negli anni 90, inutile negarlo).

Vi metto anche a parte del mio momento porno, dato che devo togliere la maglia bianca ed il reggipoppe bianco per permettere alla gatta nera perdipelo di spalmarmicisivi addosso.

Le devo tagliare le unghie o mi arresteranno per possesso di arma impropria. Ma è una operazione complicatissima e non priva di rischi. Come anche spazzolarla. Potrei mettere su e-bay in vendita almeno un paio di chili di lanugine felina al dì. Magari a qualcuno interessa, non si può mai sapere.

Considerando che c’è chi arriva a codesto blog digitando cose come “innamorare una zoccola“, “come indossare un cinto erniario” o anche “mia nonna e lesbo“, tutto è davvero possibile.

Ma bando alle ciance.

Non ho altro da dir.

 

 

WoodyWoodpeckerStory

Soundtrack: Erik Satie – Gymnopedie No 1

Le cose finiscono.

Finiscono le cose.

Disse Woody Woodpecker dopo aver abbattuto la foresta amazzonica a colpi di becco.

Poi si sedette su un sasso un po’ scomodo e iniziò a costruire, mattoncino dopo mattoncino, un pozzo senz’acqua, ma con lui dentro.

“Non ho più pensieri da pensare” – si disse – “Vorrei trovarne uno, vorrei trovare una cosa da dirmi che abbia un senso o, quantomeno, una gradevolezza estetica”.

Ma per quanto si sforzasse, non ne trovava. Non aveva voglia di guardarsi intorno, per questo stava costruendo il pozzo. Non aveva voglia di guardarsi in faccia, per questo nel pozzo non c’era acqua.

Non sia mai detto un riflesso, un momento di acqua cheta che potesse rimandargli quella faccia, quel becco, quell’assurdo colore azzurrino e quel ciuffo rosso. Giammai.

Non era nemmeno la prima volta, era forse la terza, ma stavolta c’era un sapore definitivo alquanto terrorizzante.

Vai a sapere se è una cosa che capita a tutti i Woody Woodpecker ad un certo punto del loro ciclo vitale. Che ne possono sapere loro e, soprattutto, chi mai potrebbe dirglielo?

Avrebbe dovuto conoscere almeno un altro cartone animato azzurro e rompicoglioni come lui per chiederlo. Che già ci fosse passato, se ha a che vedere con la genetica dell’evoluzione. Difficile trovarlo. E’ sempre stato difficile trovarlo. Non ricorda di averlo mai trovato. Ma potrebbe sbagliarsi, la memoria è bastarda e, magari ne ha incontrato uno e non se ne è accorto.

Costruiva un cerchio di mattoni e, improvvisamente, gli partiva il becco e ne faceva a pezzi almeno due o tre.

Poi ricominciava a costruire.

A che serve? “A niente” – si disse – “ma cosa serve a cosa? e, soprattutto, non so fare altro credo”.

Aveva la sensazione di rispondere alle domande di qualcuno. Ma non c’era proprio nessuno. Non c’era niente. Solo lui, i suoi mattoncini, il suo becco iperattivo e un colore di cielo che non era facilmente definibile.

Almeno lui non lo sapeva definire. Gli pareva grigio, ma chi può dire quale fosse il colore reale? Ognuno vede le cose a modo suo. Non c’è verso di spiegare un colore a chi non lo riesce a vedere. Eppure era il suo stesso colore.

Avvertiva il beep continuato del suo elettroencefalogramma piatto. Impossibile, si potrebbe pensare.

Scherzi della mente. Oltretutto il beep copriva egregiamente ogni possibile pensiero in formazione facendone inutile poltiglia, piccoli informi aborti di pensiero. Orrendi a vedersi, peraltro, mentre si contorcevano sul fondo del pozzo che cresceva molto, molto lentamente.

Woody non sentiva più niente. Te dico gnente. Perché per sentire hai bisogno di esserci. Per esserci hai bisogno di saperlo e, se non c’è nessuno, che ne sai se tu ci sei o no? chi te lo dice che non sei un sogno degli aborigeni australiani?

Aveva la faccia bagnata. Non sapeva perché.

Scrisse la parola “speranza”, con il becco, sul muro. Ma non ricordava cosa volesse dire. La parola. Ma anche cosa avesse voluto dire lui. Aveva una sensazione di umidità nel cranio. Niente altro.

Ah sì, un leggero formicolio alle gambe, ferme da troppo tempo. Ma decise di ignorarlo. Non serviva a nulla sapere di avere un formicolio. Non c’era neanche modo di farlo passare se non cambiando posizione. E perché mai avrebbe dovuto? non credeva sarebbe cambiato niente. Dopo un po’ il formicolio sarebbe ripartito. Anche in un’altra posizione, anche in un’altro momento. Quindi, inutile spreco di energie.

Per cosa volesse conservare le energie, non era molto chiaro. Nel pozzo era sufficientemente protetto, specie minacciose in giro non se ne trovavano, eventi naturali cataclismatici non erano previsti a breve termine.

Ma non si può mai sapere. Quello è un istinto, mica un pensiero logico.

Aveva fame, Era abituato ad essere nutrito. Seccante procurarsi il cibo da solo. Seccante? no, questo è un tentativo di nobilitare una intrinseca incapacità alla cura di sé. Non ne era capace, punto e basta.

Volendo ci sarebbero state un paio di cose interessanti a cui pensare e da cercare nel deserto intorno.

Ma poi perché? per ricominciare a mettere in piedi cose che il becco avrebbe velocemente e radicalmente disintegrato? Non che riuscisse a produrre un pensiero così articolato e profondo, per carità, era un istinto anche questo.

Appoggiò la testa alla parete. Era rossiccia e polverosa. Umida come l’interno del suo cranio e la sua faccia.

Era stanco. Era stanco dentro. Si convinse di essere il sogno di un aborigeno australiano disabile (ipovedente, affetto da insufficienza mentale di grado medio e border line). Le cose prendevano un senso e lo alleggerivano un po’.

Trovò da mangiare ma non aveva più fame.

Trovò da bere ma non aveva più sete.

Improvvisamente si rese conto che non aveva più niente da fare. Che non c’era più niente da fare. Chiuso lì dentro, però, non riusciva nemmeno a trovare un mezzo utile a andarsene. In ogni possibile senso: niente scale per salire, niente balconi per buttarsi (ma aveva mai imparato a volare? non si ricordava), niente corde per issarsi o legarci il collo, niente armi per far rumore e farsi sentire o mettere a riposo il cervello, niente psicofarmaci o alcolici utili a far dimenticare la scomoda posizione sul sassetto dentro al pozzo. Ma, in fondo, chissenefrega?

Stese le zampette e decise che, stavolta, avrebbe sognato lui. Voleva rubare le immagini dell’aborigeno border line, nasconderle per benino e produrre lui stesso qualcosa di nuovo, diverso, più arioso e leggero. A glittering dream.

Ma soffriva d’insonnia e non si addormentò.

A ognuno il suo.

 

 

 

 

Non se ne esce

Soundtrack: Edith Piaf Non Je Ne Regrette Rien

No che non se ne esce.

Vero è che banana più di me non c’è. Tra le caratteristiche della lesbica-banana (ne parlerò, prometto, Shuly), c’è quella di soffrire di auto/eteroindulgenza praecox e, di conseguenza, di dimenticare ciò che di peggio si è prodotto.

Se ne potrebbe uscire ricordando i particolari, contestualizzando, storicizzando, provando a camminare nelle altrui scarpe, voltandosi indietro e guardando la vita precedente e vederla solo tale, intenerendosi delle proprie e delle altrui fragilità, considerando gran parte delle parole un parto di un DGS in piena crisi, scremando e oggettivando. Ma è difficile e non è detto che si possa fare ora. Magari un giorno, non so. Magari mai più, è da mettere in conto.

Ci ho provato, pur avendo messo per iscritto che ci vuole ancora sabbia nella clessidra.

Ma banana fui e banana restai. Ho l’affettività di una seienne ed è bene che me ne faccia capace.

Un po’ mi son sentita in colpa, davvero quando mi incazzo sono un animale. Un po’ no, perché non ho dimenticato del tutto in che stato ero. Certo mi auguro, prima o poi, di imparare quello che mi ostino ad insegnare ai miei cicci piccoli, ovvero la tolleranza alla frustrazione ma, dopo 45 anni, numeroserrime frustrazioni vere o presunte e tentativi di apprendimento anche corposi e dispendiosi, non credo sia più possibile.

Una bimba di sei anni che, in piena frustrazione, diventa Linda Blair.

Ognuno si salva come può. Niente da dire su questo, anzi fin troppo detto.

Allora? allora non so, di certo non avrei voluto reiterare, cercavo solo un modo per riassumere e cambiare pagina, niente di più. Dovrei stare un po’ più attenta alla mia funzione automatica di rimozione perché non è supportata da tutti.

Dovrei stare un po’ più attenta in generale.

Consiglio, per chiarire il pensiero reale, to whom it may concern, questo, questo e questo. Comprensivi di soundtrack. Tanto per scremare e tirar fuori il sentire e non il rigurgitare.

Good luck.

Volevo anche rimarcare – malgrado non c’entri assolutamente nulla con l’argomento del post – che stiamo per arrivare ai 40.000. In 7 mesi. Apperò. Per i 50.000 di sicuro nuova caccia alla Penelope, i 40.000 li passiamo brindando virtualmente.

Thanx 2 u all. 

 

 

 

Sono stanca

Ma così stanca che vorrei stare tra le braccia di qualcuno che mi tenga fino a farmi addormentare.

Cantando a bassa voce.

Una canzone che parli di perdenti e matti e marinai e donne e amore e morte e vita.

Con la testolina sulla spalla e gli occhi chiusi e i muscoli della faccia rilassati.

Che immagine rivoltante.

Sfiga/disabilità emotiva

Soundtrack: mica ce la faccio a pensarci…

Oggi mi ero presa un giorno di malattia per cazzeggiare e fare cose mie personali: foto e carta d’identità, andare a prendere la mia roba dalla ex, uscire nel pomeriggio con ziasaimon che è a Roma e stanotte ha dormito da me e mi pareva di essere tornata agli anni 80.

Invece sto talmente male che non riesco neanche ad andare dal medico per il certificato.

Ma di un male che non se ne ha un’idea.

Vi aggiorno.

AGGIORNAMENTO:

Fatto quello che dovevo fare, cercando in macchina di non continuare a vomitare dal finestrino mentre guidavo. non è andata poi tanto male. Quando si è voluto bene, si continua a voler bene.

Andata poi dall’estetista. Compreso di aver beccato estetista lesbica e autistica. Attivazione della sindrome della “lesbica banana” della quale parlerò, presto, diffusamente.

Ora a casa preda di un attacco di narcolessia. Tipica reazione della disabile emotiva.

A dopo.

D.G.S. reali e presunti

Soundtrack: Macy Gray Relating to a Psychopath

DGS sta per Disturbo Generalizzato dello Sviluppo. Un modo più medicalmente moderno per dire “autistico“, più tecnicamente chic di dire “fuori come un balcone”.

Loro, i DGS, sono difficili, incomprensibili, imprevedibili, carichi di dolore e rabbia. E se sono cicci piccoli o medio-piccoli, sono solo un involucro di emozioni esasperate e disordinate compresse in uno spazio limitato. Bombe a orologeria impossibili da disattivare.

A volte gli leggi, negli occhi, una tale quantità di orrore e paura, che ti viene da pensare che chiunque altro ne morirebbe, gli si spaccherebbe il cuore, gli esploderebbero polmoni e sangue. Loro se lo tengono, non sanno che farne, non lo riconoscono, non hanno modo di condividerlo, nessun modo conosciuto e riconosciuto per comunicarlo. E sopravvivono giorno dopo giorno dopo giorno.

Quando è troppo o troppo forte – non importa cosa, è impossibile saperlo e può bastare un gesto minimo e banale ad aprire le loro miserrime dighe – possono diventare violenti, contro se stessi o contro chiunque altro (che per loro non è “altro”, è un  niente che si muove e crea un disordine assolutamente intollerabile nel loro schema complessivo) finché non trovano qualcosa che li placa, qualcosa che riporta ordine nel disordine o magari un gesto ripetuto all’infinito che, finalmente, riporta le cose al posto stabilito (da dove credete che vengano le litanie, i mantra, i gesti religiosi stereotipati, i loop di basso tirati all’infinito, le danze dei dervisci, gli schemi e anche i pregiudizi? dalla umana necessità di placare l’ansia, perché funzionano egregiamente e i DGS lo sanno benissimo).

Oggi uno dei nostri cicci medio-piccoli, quello che sta peggio, non si calmava. E’ arrivato urlando, cantilenando una nenia infinita e continua, picchiandosi e picchiando chiunque gli stesse intorno.

Era un ciccio di F**, che ora è in maternità. Con lei aveva un rapporto speciale ed è sempre riuscita a calmarlo. Adesso lavora con una giovane TNPEE, una splendida persona (peraltro quella che lo psicologo ed io denominiamo “mani ‘n cuollo”) troppo giovane fresca e incompleta per tollerarlo.

Dopo un’ora di tentativi con il supporto della neuropsichiatra, si è deciso di mandarlo a casa. Ma i familiari si erano allontanati. Si è dovuto chiamarli e farli tornare. Si sono presi un tempo che era certamente superiore alla distanza bar-centro, a meno di non percorrerla in ginocchio, all’indietro e con la nonna sulle spalle.

Alla fine la Tnpee e la Npi sembravano uscite da un sacco contenente 12 gatti inferociti. Sanguinavano da ogni punto. Una scena pulp, c’è da dire.

La Tnpee ha iniziato a piangere, come spesso capita dopo terapie come questa. 

Perché è vero che i cicci DGS sono capaci di rovesciarti addosso – paro paro – quello che stanno sentendo e non è, umanamente, tollerabile. Non c’è cattiveria in questo, non c’è coscienza. Sarebbe come dare responsabilità alla bottiglia che, piena di passata di pomodoro, esplode all’improvviso. Succede perché quello che c’è dentro deve uscire. Punto e basta. Una reazione chimica, una cosa che non è colpa di nessuno e che nessuno può evitare. Ma è uno tsunami di passata di pomodoro emotiva, in questo caso.

E sono vampiri e succhiano energie fino a renderti un involucro vuoto, un cappottino di pelle attaccato ad una stampella.

Ti distruggono fino a quando non impari a distinguere quello che è tuo da quello che loro ti riversano addosso, fino a quando non impari a difenderti e a tollerare l’impotenza totale. A capirlo ci si arriva dopo molti, molti anni, molti DGS, molte mazzate prese e molte frustrazioni digerite.

Guardavo e pensavo, oggi, a quante volte tutti noi “non DGS” riversiamo addosso a elementi terzi (che non riconosciamo come persone, in quel momento, ovviamente) tutte le nostre compressioni emotive. Pensavo a quanta gente ha bisogno di vomitare in giro i propri malesseri senza neanche avere la più vaga idea dello schifo che schizza intorno.

Ci sono persone che non fanno altro, sputano merda e succhiano energie senza fermarsi e senza saperlo, ne hanno bisogno e non possono fare altro. Si attaccano con la cannuccia a chi ne ha e si fermano solo quando non ne ha più. A volte si incazzano, pure, perché viene loro negato nutrimento e sopravvivenza. Non vogliono rinunciare e hanno gli strumenti e le capacità cognitive per continuare.

Non mi escludo dal gruppo, non credo di potermelo permettere.

 

Riparliamone

Soundtrack: Telepopmusik ft Angela McCluskey Don’t look back

Appena tornata da Sperlonga. Un calvario arrivarci da Roma, se foste lettori interattivi vi chiederei di indicarmi una strada semplice e BREVE per arrivarci la prossima volta. Ma non siete interattivi.

Giornata bollente, mare splendido, Ultima Spiaggia neanche troppo affollata e bella compagnia. Sono stata con C** e Double I. Contenta di aver potuto parlare (e non chiacchierare) con C**, anche se c’è ancora strada da fare, si sente che abbiamo perso dimestichezza. Ma tornerà, perché per me è importante.

Sono nera come una cozza. Andrò a letto senza neanche docciarmi, sono troppo stanca e, soprattutto, io adoro questi momenti punk-a-bestia nei quali vado a dormire salata e sabbiata. Non ho idea del perché mi piaccia tanto. Alla maggior parte delle persone restare col sale addosso fa schifo. Io adoro.

Dunque dicevamo, “riparliamone”. Ci starebbe bene il video della Cortellesi.

E’ passato un anno, credevo non ci fosse assolutamente più nulla da dire o da chiedersi, nulla cui riferirsi, nulla di cui parlare. Mi si chiede, invece: “Come abbiamo fatto a sputtanare tutto così?”.

Combatto contro i pensieri e le interpretazioni e le supposizioni, combatto contro i ricordi, combatto con le parole spese per pochi centesimi e dimenticate. Da me, da lei.

Poi mi arrendo. Si vede che deve succedere. Inutile che io mi incazzi come al solito. Seguiamo il consiglio del monaco zen a lasciamo scorrere i pensieri, per quanto mi sembrino assurdi, fuori luogo e fuori tempo, evidentemente non lo sono.

Io non so se legge il mio blog. non ne ho idea, qualcosa deve aver letto perché l’ho ritrovata in alcuni suoi messaggi. Quindi, la spiegazione di come abbiamo potuto sputtanare tutto, io la metto qui. Se la legge, bene, se non la legge, qualcuno se ne occuperà, ne sono certa.

Ti ricordo che non ci amavamo più da tempo. Volersi bene e considerare l’altra importante e unica, non basta e non può bastare a mantenere in piedi un rapporto. Qualsiasi cosa sia stata tollerata, accettata, compresa e accolta durante il periodo nel quale ci siamo amate, è diventato il peggiore dei difetti e la più tremenda delle intolleranze quando abbiamo smesso. Entrambe.

Abbiamo provato a mantenerlo, questo rapporto – un po’ come gli etero quando fanno i figli – ma abbiamo finito per morirci dentro, prima, per considerare l’altro un carnefice, poi.

Abbiamo accumulato rabbia, dolore e sofferenza, senso di abbandono, insoddisfazione, incomprensione e rancore. Ma abbiamo continuato a camminarci dentro come muli per almeno due anni. Perché le persone importanti non si cancellano dall’oggi al domani, perché pensavamo che l’amore sarebbe tornato, prima o poi, perché abbiamo voluto credere che stabilizzarci, solidificarci, radicarci e standardizzarci sarebbe bastato.

Non è bastato.

Tu mi hai regalato il sogno di stabilità di cui solo io avevo bisogno (avevi 26 anni quando ti ho conosciuto, io 38 e molti, molti problemi di equilibrio, almeno quanto i tuoi), io ti ho regalato il sogno dell’essere amata con tutta l’essenza dell’altra. Due atti nobili e profondi. Totalizzanti.

Ma la stabilità non era il tuo sogno, amare con tutta me stessa è durato un periodo, non è stato per sempre.

Come se ne esce?

Se ne esce scavando fosse senza fondo, se ne esce tagliando dipendenze con violenza, perché non sia più possibile tornare indietro, se ne esce mettendo una distanza che non può essere più percorsa se non in un tempo lungo, molto lungo. Perché nulla più possa riportare indietro a quella routine, abitudine, dimestichezza che è diventata, in un attimo, un collare chiodato che potrebbe riagganciarsi al collo con facilità, se si smette di ringhiare, mordere e abbaiare.

E qualsiasi cosa può andar bene da usare come vanga per scavare: innamorarsi di un’altra, insultarsi, odiarsi, farsi male, fare male, manipolare fatti e persone.

Si avanza col machete per allontanarsi il più velocemente e lontano possibile e non importa se cadono teste. E dentro sai anche che ne cadranno tante, perché tante sono state le cose fatte insieme, tanta è stata la fatica per tenere tutto in piedi, tanto è stato il sacrificio.

Ma è sopravvivenza.

E siamo sopravvissute, infatti. Non siamo tornate indietro. Siamo riuscite a fare cose necessarie per ritrovare l’equilibrio perduto. Ognuna per sé, ognuna contro l’altra. Uno strano modo di tenersi in piedi continuando ad appoggiarsi alla stessa persona che si sta cercando di vaporizzare. Ma forse questo riguarda solo me.

Quello che resta dopo – e ci penso ora – sono macerie, ectoplasmi di memoria e piccole cose evanescenti. Il tempo migliorerà l’inquadratura, il tempo riporta e riporterà, lentamente, le cose nella loro reale dimensione. Le misure stanno cambiando e continueranno a cambiare.

Non è vero che per me è un problema vederti, non lo è affatto. Perché la questione non è questa.

E’ vero che, oggi, la messa a fuoco non è ancora quella giusta, è vero che l’inquadratura è ancora confusa, distorta, offuscata e scura.

Un giorno non lo sarà più.

Avrei voluto che un anno fosse sufficiente, che 12 mesi fossero il giusto tempo.

Ma evidentemente ci vuole ancora un po’ di sabbia nella clessidra.

Ciao e, ovviamente, fammi sapere quando mi restituisci gli ostaggi…

 

Drivin’

Soundtrack: Yael Naim New Soul

Io so portare il monopattino, i pattini e la bicicletta.

Ho guidato motorini, vespe, vesponi, scooter, motociclette enduro (dai 30 anni in poi, prima non ci ero mai salita, come la Honda Paris Dakar, KLR, Honda 250, Tuareg, Dominator, XT pur essendo alta 1e59, moto da strada (svariate, dalla 500 four in poi).

Guido macchine da quando avevo 16 anni (Fiat, Citroen, Opel, BMW, Mazda, Nissan, Toyota, Lantas, Renault, Hyunday, Skoda, Seat, Peugeot, Mini Minor, Ford e altre che non ricordo, perché dato che una lesbica al volante è una garanzia, mi si è sempre fatto guidare, anche quando non avevo la patente). E anche una Oldsmobile gialla decappottabile. La più piccola: una 500; la più grande: una BMW 323 (ma forse l’oldsmobile di più).

Ho portato un Fiorino da Roma a Pordenone con sosta a Venezia per un caffè a piazza San Marco in un giorno.

Ho fatto un trasloco con un Ducato Maxi riuscendo a girare la capa al ciuccio (=fare manovra N.d.T.) in una strada larga quanto due macchine.

Ho guidato in Francia (senza patente, appunto), in Spagna, in Svezia 700 chilometri sotto il diluvio universale, negli Stati Uniti mi sono sciroppata tutta la statale 70 coast to coast.

Gli incidenti sono stati opera di terzi cui avevo prestato l’auto. Due in tutto. Un tipo mi è entrato nella portiera, io ferma, perché non mi aveva vista uscendo da un parcheggio. Per il resto, essendo nana, ho sempre smussato gli spigoli durante le manovre che, peraltro, sbaglio difficilmente anche nelle situazioni più complesse. Cazzate insomma.

Se ne deduce che so guidare. E bene. Quindi:

GIU’ LE MANI DAL VOLANTE.

Ovviamente, mi piace guidare in compagnia. Grazie a tutti quelli che, per quasi un anno, hanno guardato la strada e indicato il da farsi a me, che ero troppo occupata a sbracciarmi e starnazzare per concentrarmi sulla guida. Ma, adesso, tocca a me.

 

 

Cercasi

Soundtrack: Talking Head Once in a lifetime

[Ripeto per l’ennesima volta che dovreste ascoltare i brani del music box, ricordo che informazioni sugli artisti e parole delle canzoni sono linkate sul titoletto soundtrack.
Non è che metto cose inascoltabili di solito, provateci qualche volta, in fondo si tratta solo di fare due volte clic sul titolo che compare per primo nel box, eccheccazzo]

Allora, comunicazione di servizio.

Cerco housemate: lavoratrice/tore, fumatrice/tore, lesbica/ricchione, che non sia appena uscita/o da casa di mammà, possibilmente di roma o ivi residente da molti anni. Altresì, va bene uguale.

Offro: stanza arredata ampia e confortevole con letto matrimoniale in zona più che decente, condominio – internet wifi – Sky compresi nel prezzo (650 euri), cucina abitabile arredata con pezzi originali anni 50, bagno nuovo nuovo, zona soggiorno in camera mia che, notoriamente, sono ospitale e tranquilla come un bradipo, piacevole compagnia costante di una gatta nera di 17 anni molto chiacchierina ed educata. Insomma casetta dignitosa e presentabile.

Dettagli in privato.

E uno.

Cerco facce nuove e vite da scoprire: persone con le quali andare a vedere il concerto di stasera di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti (10 euro), per esempio. Ma anche altro.

Ohhh.

A vous.

Mi dispiace, ma anche no.

Soundtrack: Tuck & Patty Time after Time
(già c’è, andatevela a cercare sul box, è che stasera li ho visti in concerto e altri pezzi non ce li ho)

Un po’ mi spiace che da un po’ di tempo a questa parte codesto blog sia diventato crepuscolare ed intimista fino all’eccesso. Penelopebasta è nato anche per sfogarmi, senza ombra di dubbio. Ma anche no. E’ anche il luogo dove inventarmi cose da scrivere, tirare fuori la parte cabarettistica e farmi leggere da quante più persone possibile.

Diciamocelo.

Se rileggo le cose degli ultimi tre mesi, mi rendo conto che la pesantezza regna sovrana e che la tendenza all’introspezione in stile vintage anni ’70 è pregnante.

Se penso a chi potrebbe capitare su queste righe (escludendo gli amici che mi conoscono bene e considerano il blog al pari di un aggiornamento telefonico su fatti, stati d’animo e curiosità), mi pare ‘na cosa illegibile. Anche ammettendo la tendenza italiana collettiva al Grande Fratello e al voyeurismo in genere, mi pare noioso uguale.

Ma anche no.

Da sempre scrivo per me, funzione terapeutica primaria, mi parlo allo specchio e mi dico le cose come stanno per me (non come sono, solo come stanno per me, c’è differenza, ma sono un’essere umano e l’obbiettività non mi appartiene per definizione). Mi s/chiarisco le idee, guardo le cose sotto punti di vista altri, mi lascio andare con poche censure e mi ascolto con attenzione.

Mi serve, insomma. Mi serve come il pane e l’aria.

Quindi questo è il periodo e nessuno è obbligato a leggermi.

Nuoto tra le poseidonie e ne scrivo senza più curarmi tanto del “lettore”. Ma anche no.

Ahhh bè, un argomento di un interesse propriio…

E’ che non mi voglio avviluppare nelle spire dell’intimismo depressivo, né rotolarmi nel fango dell’autocommiserazione narcisistica.

Ma non si può cavar sangue da una rapa.

E io sono rapa, in questo periodo.

Stasera mi sono commossa al concerto di Tuck & Patty a villa Ada. Lei è una nerona dal peso indefinito e dalla circonferenza toracica pari a quella di una colonna di San Pietro. Peraltro assomiglia ad una mia amica (C*P*) ed è in perfetto stile predicatore metodista. Fa delle splendide cose con la voce e ripete all’infinito “open your heart”. Lui è un bianco con i capelli bianchi, la metà esatta di lei. Suona la chitarra tenendola all’altezza della gola, praticamente. Fa delle cose fantastiche con solo 10 dita.

L’effetto su di me è “Blues Brother”, mi inginocchierei a braccia aperte gridando HO… VISTO… LA… LUCE…

Per mia ed altrui fortuna sono molto inibita. Però ho pianto. Pensa come sto. Per fortuna R* e A*non mi hanno visto. Sai che vergogna.

Mi è venuto anche in mente che so bene quello che non voglio. Vorrei invece sapere quello che voglio. Camminare per negativi mi ha un po’ sfracantato le palle. Che poi mi appare, anche questa, una cosa senza senso. Senza neanche significato. Quelle frasi fatte e inutili che ti sembrano pietre miliari della formazione della personalità ma che invece non significano un beneamato cazzo. Cosa voglio quando? in che momento? in che luogo? mentre faccio cosa? Per quanto tempo posso volere una cosa e perché non posso cambiare idea? E poi si può “volere qualcosa dalla vita”? Che frase è? ‘Na cazzata.

Voglio diventare una scrittrice famosa e ricca da fare schifo senza manco faticare troppo. Voglio vivere di rendita. Voglio un gelato (un cookie per favore). Voglio alleggerirmi. Voglio vivere 182 anni.

Cazzate appunto.

Non voglio niente di trascendentale. Nessun obbiettivo finale nobile e sostanziale. Di volta in volta vorrei (e sottolineo vorrei) le cose che mi fanno stare bene e che sono suscettibili di modifica da un momento all’altro.

Quindi accantoniamo sta strunzata.

Passo successivo? Ritrovare le energie, ma in modo diverso. Non so quale modo, ma non quello di prima. E’ stato parecchio antieconomico. Emotivamente. Vorrei “brillare” di energia e non esplodere di energia. Vorrei un equilibrio non esterno, quello è chiaramente una cosa inutile e anche dannosa.

Ma che sia il mio, senza stereotipi, senza sovrastrutture, senza aspettative, senza giudizio.

Perché del resto, sinceramente, me ne fotto.

E pensare che il simbolo dell’equilibrio me lo sono tatuato sul polso a 14 anni. Ago da cucito, cotone e inchiostro della stilografica.

E’ ancora qui nitido, definito e blu. Da 30 anni.

 

L’esplosione

Soundtrack: Elisa Sleeping in you hand

Non è stato un rumore intollerabile o assordante o sorprendente.

Come sabbia che scivola da una mano. Niente di più. Il silenzio dell’inutile.

I pezzetti di vetro sottili e quasi invisibili brillano. Trasudano umidità. In qualche punto si intravedono macchie rossastre.

Difficile rimettere in piedi questi pezzi, bisognerà costruire qualcosa di nuovo.

Sogno di perdere la borsa in una piscina. Attraversando un ponte.

Non mi tuffo a pescarla per non rischiare di perdere le lentine. Razionale nell’onirico. Assurdo. I sogni di una ragioniera.

Prendo la borsa più piccola e attraversando un’altra piscina mi cade di nuovo in acqua. Di nuovo non mi tuffo. Mi incazzo come un varano e non capisco con chi mi sto incazzando.

Mi sveglio sudata e perplessa. Fumo. Di nuovo sogno. parlo con qualcuno che mi spiega le cose come stanno. Una conversazione che si ripeterà nella realtà poche ore dopo. Per filo e per segno.

Poi sogno di tuffarmi. Scendo e scendo e scendo senza avere paura. Mi fermo. Guardo.

L’acqua è limpida. Blu scura. Profondissima. Splendida. Risalgo e nuoto nel nulla. Non un tremore, Non un pensiero di pericolo. E’ arrivato il momento di farlo.

Riappoggio la testa sul cuscino.

Mi sono arresa.

Sul mio letto neanche le lenzuola.

Pago per quello che ho comprato.

Non ricordo un altro momento così. Mi pare sovradimensionato. Allora mi chiedo perché. Qualche domanda/risposta si affaccia tra le rughe della fronte perennemente accigliata per tenere lontano il pericolo.

Quanto hai pianto per la devastazione del tuo sogno di normalità? Era il tuo sogno, il tuo desiderio, la tua cosa giusta, il tuo punto d’arrivo. Non hai pianto, Penelope, hai solo sbattuto i piedi per terra e inveito contro il mondo.

Quanto hai pianto per la desertificazione delle uniche emozioni cui tenevi? Niente, neanche ci hai fatto caso. Bisognava fare i fatti, c’era da correre, c’era da dimostrare di essere forte e inabbattibile. A lei, e te, agli amici, ai parenti. Cosa conta l’aridità che senti al centro del petto, non fa male, non si sente niente.

Quanto ti sei emozionata quando poi hai scoperto che potevi innamorarti ancora? Ti sei arrabbiata, Penelope, è l’unica emozione che hai provato. Come fosse una condanna da scontare, una vergogna da nascondere, una cattiveria da subire. Non hai avuto il coraggio di dirlo, di capirlo, di sentirlo per intero. Eppure era una benedizione in quel panorama aspro e inospitale che ti abitava dentro. Sei riuscita a trasformarlo in un orrore da cui fuggire. Con grande maestria, in verità.

Quanto tempo sei rimasta seduta sul marciapiede con la testa tra le mani a rimpiangere quello che avevi perduto, a sentire la mancanza, ad avvertire il dolore della perdita, il lutto di una storia di 6 anni tenuta in piedi con tutte le forze e le energie che avevi a disposizione? Neanche un minuto. Nemmeno quello.

Quanto tempo hai passato a chiederti chi sei e cosa fai quando ami? Non mi pare ti sia venuto in mente neanche una volta in questi 12 mesi.

Quanto ci hai messo per liquidare anche questa “storia”, come molte altre volte, stabilendo che sbagli sempre scelta, e non che sbagli il modo? Pochi secondi, direi. Un’ombra scura è passata fuggevole dietro agli occhi a ricordarti che le tue storie sono finite TUTTE nello stesso modo. Ma un’ombra fuggevole, appunto.

Ma tutto questo era lì, se guardi bene tra i pezzetti di vetro sparsi sul materasso riconosci i luoghi, i piaceri, i dolori, i sogni, la sicurezza, il futuro. Lì vedo anche l’affetto profondo e la gratitudine per la donna che ti ha dato tutto, proprio tutto, quello che aveva.

Un pezzetto umido e rosato ti ricorda che non è stato sempre e solo come pensi di ricordare. C’è stato un momento in cui svegliarti la mattina e trovarla accanto era gioia pura. Dovrebbe bastare a farti capire.

Poi ti capita anche di nuovo. Dopo un anno di niente. Ti ritrovi innamorata come un’adolescente, perché come adolescenti ci si innamora, per tutta la vita, non esiste un innamoramento da adulti, non esiste una tempesta emozionale mediabile con la saggezza e l’esperienza. Sarà così per tutta la vita, finché ne avrai. E spera di averne ancora e ancora, perché è l’unica cosa che giustifica la tua vita, Penelope.

Ma ti sei vergognata come una bimba ladra. E hai passato il tempo a lottare per non sentirti così, non te lo sei perdonato, non te lo sei neanche vissuto. Una cosa inutile. Innamorata io? naaaa. E poi di lei? non se ne parla, una imperdonabile caduta di gusto, non può essere. Di nuovo troppo giovane, di nuovo indefinita, di nuovo lontana da me, di nuovo incompatibile. Ma io una cosa precisa l’avevo vista. E volevo quella. E manco me la sono presa.

Sempre sullo stesso materasso puoi vedere anche la trama di quei pezzettini, sono meno trasparenti, certo, ma sono lì insieme alle certezze d’accatto, ai falsi sé, alla ricostruzione posticcia del tua personalità, alla violenza delle mie reazioni, al mio non saper più ascoltare, alla falsa pienezza, al dolore. Ancora e di nuovo.

 Non ho altro da dire, per il momento. Se non che so’ cazzi vostri a leggere ‘sto post.

 

 

Carne

Soundtrack: Corey GloverDo you first then do myself

Oggi sono carne.

Il sole sveglia e riscalda, accende e fa rabbrividire. Il vento è ruffiano e ti parla nelle orecchie ininterrottamente coprendo il silenzio subdolo del calore che inizia, piano a entrarti dentro centimetro per centimetro.

Sale, sabbia libeccio accarezzano contropelo e riportano alla memoria della carne altre mani e altri sensi. Tutte le mani, quelle che ho conosciuto, quelle che conoscerò, quelle che non avrò mai. Si infilano sotto le palpebre appena le chiudi cercando di nascondere la fame degli occhi. Un film proiettato senza sosta che ti attorciglia le viscere fino a fare male.

Il caldo entra in ogni curva del corpo, esplora e scioglie. Il caldo entra sottopelle e si nasconde aspettando il tramonto. Suadente e malevolo, sapendo cosa costerà alla carne restare inerte, più tardi.

E al tramonto viene fuori. Irrefrenabile, incontenibile, struggente e rabbioso. Senti il calore venire fuori da ogni parte, non lo freni, non lo raffreddi, non lo tolleri, non si ferma. Chiede e pretende. Urla e prega.

Assordante la voce della carne.

Guardo altrove, cerco cose, mi impegno, penso e non riesco a pensare. Non basta. Overload sensoriale.

Se bastassero le mie mani, potrei aspirare a rinfrescarmi. Non è questo che voglio. Non ora, non stasera, non adesso. Voglio ricoprirmi dell’acqua di mare che oggi mi ha punito così crudelmente riportandomi dove non volevo essere. Voglio squagliarmi fino a evaporare. Voglio restituire questo calore che mi impregna la carne.

Generosamente.

Se appoggio l’orecchio alla mia spalla sento il rumore delle onde alzate dal libeccio teso e mi sale nel naso l’odore del sale e di me.

Buon odore. Lo condividerei volentieri stasera.

 

Ho voglia (aggiornato al 5 luglio 2008)

Soundtrack: Smoma – Georgy Porgy

Ho voglia di una birra ghiacciata in compagnia. (fatto)

Ho voglia di passare le mani tra i capelli di una donna, non importa con quale sentimento.

Ho voglia di fare all’amore tutto il pomeriggio e tutta la notte e addormentarmi stropicciata e zuppa come una mappina da cucina. E soddisfatta.

Ho voglia di sentirmi sulla pelle l’odore del sale, del mare, del sudore e della sabbia dopo una giornata in spiaggia. (fatto)

Ho voglia di acqua fresca in bocca e sulla pelle. (fatto)

Ho voglia di chiacchierare, di sera, sotto gli alberi, con chi ha voglia di chiacchierare con me. (fatto)

Ho voglia di sentire cose che non so. (fatto ma ne voglio ancora)

Ho voglia di rispondere non lo so.

Ho voglia di leggere un libro che mi sappia catturare.

Ho voglia di appoggiarmi su una spalla e piangere solo un po’, tanto per.

Ho voglia di un massaggio sulle spalle.

Ho voglia di un tatuaggio della fenice sul collo.

Ho voglia di dormire sulla spiaggia, sotto un ombrellone da 5 euro che non sta in piedi se c’è vento. (fatto)

Ho voglia di vedere facce e immaginare vite.

Ho voglia di passeggiare al fresco in silenzio ascoltando qualcuno che parla. (fatto)

Ho voglia di una carezza sulla schiena.

Ho voglia di essere guardata.

Ho voglia di parlare nell’orecchio a qualcuno e vederne i brividi.

Ho voglia di appendere un quadro in questa stanza.

Ho voglia di andare a dormire. (fatto, ma ne voglio ancora)

Ho voglia di sentire le parole di una madre. (questo fa parte delle cose ai confini della realtà)

Ho voglia di volare.

Ho voglia di tagliare tutti i fili sfilacciati.

Ho voglia di tenere in braccio il mio gatto senza impazzire dal caldo.

Ho voglia di star bene. (fatto)

(per il resto qualcuno si offre?)

Niente di particolare

SoundtrackColdplayViolet Hill

Dove cazzo ho messo il mio accendino?

Sono sudata come una foca.

Ho stirato questo mondo e quell’altro, bevendo ettolitri d’acqua, ballando la ironing-funky-dance e facendomi gelare le goccioline di sudore che mi cascano dalla cabeza dal getto del ventilatore.

Perché sudo in testa, come i bambini.

In realtà non ho niente da dire, ma prima di andare a letto mi è venuta voglia di digitare qualcosa. Qualsiasi cosa. Ho cercato per un po’ un argomento nel mio cervello salato, ma non ho trovato nulla di degno di nota.

Ma volevo sentire il suono delle ditine sulla tastiera.

Vorrei saper scrivere un romanzo. Vorrei essere abbastanza disciplinata da trovare una storia che abbia un capo e una coda, metterla insieme e scriverla con attenzione e cura. Un po’ al giorno, senza perdere il filo, senza l’urgenza di arrivare all’ultima frase, senza ascoltare la voce della copywriter che è in me (frasi brevi, paragrafi sintetici, chiusure “fulminanti”…).

Vorrei sapermi abbandonare al filo di una storia, dei suoi personaggi che non sono me, dei migliaia di rivoli che si aprono e saperli condurre dove devono. O magari abbandonarli ché non servono. Perché a volte è necessario fare anche questo.

Il primo racconto l’ho scritto con delle mie compagne di classe a 8 anni. Era un incrocio tra “piccole donne crescono” e “Hansel & Gretel”.

Detto così però pare un racconto dell’orrore, invece parlava di ragazzine che crescono sole.

Poi ne ho scritti decine e mai finito uno. Unica storia, unica protagonista. Si dice che la scrittura femminile sia caratterizzata dall’autobiografismo (anvedi che frase tecnica, pare un trattato). Personalmente non credo di avere altri argomenti al di là di me.

E mi comincio pure ad annoiare un po’, ma mai abbastanza per smettere.

Senza accendino devo andare in cucina. Uff.

Il primo testo come copy iniziava così: “Incastonata nella splendida cornice della collina di Posillipo”. Lo trovavo orripilante ma mi valse l’assunzione. Poi ho scritto su qualsiasi cosa. Anche sulle trappole per scarafaggi. Finivo di scrivere i testi troppo in fretta, non mi restava un cazzo da fare e i capi si incazzavano come anguille a vedermi ciondolare in giro per l’ufficio. Uffici dove arrivavo con anche due ore di ritardo, dove quando prendevo cazziatoni restituivo una espressione gelida, presuntuosa e superba che mi è valsa il lincenziamento almeno una decina di volte.

La nana superba. Ho fatto inferocire manager scafati e uomini tranquilli. L’unico posto dal quale non sono stata buttata fuori era di proprietà di un tipo ormonalmente perso dietro le mie tette. Mi “molestò”, come si dice ora, mi chiese perdono e io ho fatto il cazzo che mi pareva finché non ho deciso di andar via. Zoccola dentro.

Facevo rabbia. Io non so perché. Forse era la strafottenza. Una virtù, secondo me. Ma non tutti parevano essere d’accordo.

Poi ho fatto molte altre cose. In una parabola discendente sia economica che di qualità. Ma ho lavorato sempre, non mi sono fermata mai. E una laurea non ce l’ho, perché volevo lavorare e non stare a perdere tempo. E ho cominciato a 19 anni.

Dovrei stare in pensione e andare in giro col mio laptop a cercare posti dove farmi venire fantastiche idee per scrivere Il Romanzo.

Dio che post irritante.

E’ che sono preoccupata: malgrado il mio istinto, i consigli e la ragione, sto per fare una gran cazzata. Spero di saperla gestire.

Scrivo per non pensare, in fondo. In genere ho la sensazione che stia scrivendo qualcun altro e non io (esci da questo corpo!) e non ha mai la più pallida idea di dove sto andando a parare.

Ma chissenefrega?

‘Notte

 

Vedi solo quello che vuoi vedere…

Soundtrack: Tania Maria – Please me

“Penelope, tu vedi solo quello che vuoi vedere” (detto da almeno 5 persone in una settimana, con ogni genere di tono, dalla rabbia, al disgusto, all’affetto profondo).

Prima fase reattiva: Ma vaffanculo.

Seconda fase reattiva: Ma perché, c’è forse qualcuno sulla faccia della terra che può presumere di vedere la realtà con occhi oggettivi e matematici? non lo facciamo tutti? i fatti, le cose, non passano forse per la mente e lo sguardo di ognuno in modo personale e soggettivo comunque e dovunque?

Terza fase reattiva: Se me lo dicono in tanti e in tanti modi deve essere vero. Ci devo pensare. Peraltro è quello che io dico del pater…

Quarta fase reattiva: Ma che vuol dire?

Già, che vuol dire.

A ben pensarci, per ognuna delle persone che ha espresso questa stessa, identica frase, c’è un diverso significato dietro. Per alcuni significa “non mi vedi, non ti accorgi di me, mi interpreti a tuo modo e non guardi chi sono”, per altri vuol dire “selezioni la realtà delle cose in base allo stato d’animo e ti relazioni come se esistesse solo quella parte e null’altro”. Per altri ancora “manipoli i fatti in modo da avere ragione” e poi, ancora “fingi di non vedere quello che non vuoi affrontare”.

E hanno ragione tutti, se ho capito la questione/le questioni. Tutti indistintamente ed è inutile che io punti i piedi e mi metta a starnazzare. E’ così, così, così e così.

Vero che mi dico una gran quantità di bugie, vero che manipolo, vero che mi infilo solo nelle pieghe di ciò che conosco bene, per quanto possa, a volte, essere orribile, e ignoro qualsiasi cosa possa essere diversa e sconosciuta, vero che sono una campionessa mondiale di slalom, ogni asticella rossa saltata è una verità che mi fa male, ogni asticella blu una rottura di cazzo che mi voglio evitare.

Ogni tanto, però, ne prendo una in faccia, c’è da dire.

Sono particolarmente iperreattiva, in questo periodo, fragilità capillare. Quindi reagisco spropositata. Ciò non significa che io abbia smesso di ragionare. Fa strano che mi ritrovo con lo stesso stato d’animo dubbioso e chiocciolesco di tre mesi fa. Le parentesi distraggono e distolgono ma non cancellano. Lesson number one. Si riparte da Darth Vader.

Per il resto tutto bene.

Ho acquisito alla Sagra dell’Unità un monile che cercavo da almeno 10 anni (vedi foto), ne sono fierissima e, soprattutto: ABBIAMO IL VENTILATORE!