Soundtrack: Non lo so, anzi ci vorrebbe la Regina Spektor con Better, ma poi mi pare troppo.
Non so manco che titolo dare a questo post. Non so cosa scrivere. Ma voglio scrivere.
Lo scopriremo solo scrivendo.
Sono avvilita. Ci sono cose che quando ti accadono ti fanno rigurgitare tutto quello che credevi di avere ampiamente digerito. Come il sorso di birra il giorno dopo la sbronza.
Si prospettano tempi difficili.
Le mie gauloises rosse sono a sinistra. A destra il posacenere, davanti il pc poggiato sul portalaptop Ikea.
Mi sono piazzata in sottofondo una soundtrack da taglio vene.
La gatta strepita e protesta perché la pappa che le ho comprato le fa cordialmente schifo. Ho cucinato listarelle di vitello scaloppinate con i funghetti champignon. Buona, ma troppi funghi.
Giornata lunga ma almeno ci pagano anche questo mese. Non è poco. Ho detto ad uno dei miei cicci preferiti che se voleva litigare ero prontissima, non aspettavo altro. Mi sa che si è spaventato un po’.
La settimana prossima mi partono le mie due collegucce preferite. Palle a quadrigliè.
Sono avvilita. L’ho già detto? penso di sì.
Quello che facevo mi piaceva, ma semplicemente non posso più farlo. Non è bello. Sono senza energie. Mi chiedo il perché delle mie scelte. Costantemente in contrasto con l’istinto. Le conclusioni sono sempre le stesse. E ancora me ne stupisco.
Che faccio adesso?
Non mi importa, in fondo. Qualcosa farò, l’istinto di sopravvivenza prevale sempre at the end. Mia sorella mi dice che è più preoccupata per me e la mia vita che per la figlia.
Consolante. Perennemente in emergenza emotiva (e pure pratica, in genere). Come avere un cane, un animale domestico che sai non potrai lasciare mai solo perchè non ce la può fare. Non è in grado. Inabile al quotidiano e all’esistenza.
So che faccio la logopedista perché capisco, esattamente e perfettamente, cosa sia il disadattamento. Che è “la cifra stilistica” della mia vita.
Ma cos’è, l’ora del vittimismo?
Pare di sì, meglio cambiare registro. Ma la mia estensione vocale lascia un po’ a desiderare, in verità.
Non sono nemmeno stanca, solo avvilita e niente più. E a piangere non son capace. Cheppalle. Anzi di più.
Ci vuole un po’ di shopping selvaggio.
Adesso la gatta è stesa sulla mia pancia. Mi fa le fusa e affonda le lungherrime unghie nelle mie carni. E’ affetto, lo so, ma a volte fa male.
Ho mandato una mail alla mia ex perché voglio chiudere ‘sti cazzo di sospesi rappresentati da scampoli di cose, quisquilie e pinzillacchere che mi intristisce vedere appese all’ingresso, in attesa di uno scambio di ostaggi che non ha più ragione di esistere. Non credo di essermi spiegata un granché, ma immagino chiunque abbia avuto a che fare, dopo una separazione, con le decine di oggettucoli altrui ritrovati tra le pieghe dei propri. Ho la sensazione che in fondo restino fili appesi. Sottili lenze di nylon lunghe chilometri, in attesa di sentir tirare. Non che sia voluto, sensato o preventivato. Mi sa che avviene e basta. Senza coimplicazioni di sorta.
Penelope gatta appoggia il capoccetto sul palmo della mia mano e chiude gli occhi. Allunga la zampa nera sulla mia tetta. Riapre gli occhi e mi guarda con un misto di affetto e perplessità. Mi tocca il polso col naso umido. Spinge. Adesso mi accendo una sigaretta e lei andrà via. E’ una accanita sostenitrice dei danni da fumo passivo.
Penso che andrò a letto e mi chiederò, prima di dormire, perché non so mai fare “la cosa giusta”.