Il mio lavoro

Soundtrack: Annie Lennox Why

Sono logopedista dentro

Ho cominciato nel 1982. Smesso nel 1990. Ripreso nel 2001. Resisto.

Scelto per caso, per far contento mio padre e fare qualcosa di simil-medico. Avevo la raccomandazione per il corso di logopedista e non quello per fisioterapista (che preferivo).

All’inizio mi sono spaventata a morte. Non c’è limite a quello che può succedere ad un bambino. E nel 1982 non c’erano sfumature, diagnosi leggere, piccole cose. C’erano le devastazioni da paralisi cerebrale infantile, gli esiti di assurde malattie e sindromi terrificanti e senza nome. Poi c’era qualcosa di divertente, tipo un bimbo classificato come “disfasico” (oggi si direbbe “disturbo del linguaggio) che, in realtà, parlava uno strettissimo dialetto di Sant’Anastasia, provincia di Napoli. Quando ce ne rendemmo conto, migliorò anche lui.

Il mio primo lavoro (pagato meravigliosamente bene), era in un orfanatrofio per bambini disabili in provincia di Avellino. Un film di Ken Loach a ripensarci. Un casermone gigante e puzzolente tenuto da suore altrimenti impresentabili (nane, ritardate, barbute, zoppe) pieno di bambini dai 6 ai 17 anni con ogni genere di patologia esistente sulla faccia della terra. C’erano anche due suore gemelle sudamericane. Ma ci ho messo mesi per capirlo, pensavo fosse una con il dono dell’ubiquità, ché a stare là dentro giorno e notte dovevi essere una santa. Sua Eccellenza il Direttore Sanitario si rifiutava di visitare i bambini, gli facevano schifo, e li imbottiva di sonniferi. Ogni tanto qualcuno di loro moriva, nessuno se ne è mai lamentato.

Visto quello, il resto è passeggiata.

Negli anni 80 non si capiva una mazza delle patologie varie e si lavorava a vista. Senza materiale naturalmente, perché si tende a risparmiare su un lavoro inutile e improduttivo come era quello.

Allora ho imparato.

Ho imparato a vedere i bambini per quello che sono: bambini. Anche i peggiori, anche i tronchi, anche i pazzi furiosi sono e restano bambini. Sempre soli, sempre spaventati, sempre attenti a far felici gli adulti senza guardare se si tratta di persone orrende o meravigliose.

Bambini.

E lavoravo così. Lavoravo per loro e su di loro. Li guardavo, li vedevo (non sempre però, non sempre riesce), li lasciavo crescere a modo loro, con i loro tempi, con i loro limiti. Li portavo per mano a guardare cosa sapevano fare, non chiedevo quello che non sapevano fare. Insegnavo loro a giocare, ché questi bimbi non lo sanno fare mai, a cazzeggiare, a farsi furbi per prendere per il culo gli adulti, a tollerare l’intollerabile di se stessi e degli altri senza piangere, senza spaccare tutto, senza inferocirsi, a diventare autonomi nel quotidiano e nella testa.

Sei solo tu, ciccio, nessuno può far niente per te se non fai da solo.

Ha funzionato quasi sempre.

Ora sono stanca – mentalmente almeno – e non credo più che “i miglioramenti” dei cicci piccoli dipendano da me. Mi pare di aver capito che fanno tutto da soli e che, come ha detto qualcuno “se guariscono con la terapia, vuol dire che sarebbero guariti anche da soli”. Alcune terapiste dicono: “spesso guariscono malgrado noi”. Esatto.

Quindi sono più Signorina Rottenmeier che Teresa di Calcutta, negli ultimi anni. Crescono uguale.

Due sole cosa restano costanti: l’esserci e il non mentire. Mai. Da alcuni disturbi non si guarisce, devono saperlo e in fretta, senza illusioni e senza aspettative. E’ così che possono occuparsi di quello che sono e non di quello che non sono. E’ così che stanno meglio.

I genitori sono un’altra storia e, dopo oltre vent’anni, mi fanno paura e tenerezza sempre nello stesso modo. E nessuno si occupa di loro. Quando ci riesco (è difficile che io lo faccia, non è capacità mia e sono feroce nei giudizi interiori), cambia tutto e anche i bambini stanno meglio. Ma è estremamente più faticoso e pericoloso. Gli adulti hanno sovrastrutture e cancrene caratteriali che non è facile fronteggiare.

E’ un mondo di donne, va ricordato. Donne Madri, Donne Terapiste, Donne Amministrative, Donne Medici, Donne Insegnanti, Donne Baby Sitter… gli uomini scompaiono in questo gineceo sofferente e si perdono bambini che non esisteranno fino a che non diverranno ciò che devono diventare.

Normali.

Parola che non si pronuncia più, pare brutto, ma che campeggia nelle teste di tutti noi che viviamo nel mondo dell’inadeguatezza, della Deviazione Standard (definizione tecnica quantitativa delle disabilità specifiche di un bambino), della impossibilità a, della difficoltà di, del NON.

Io non li voglio normali però, li voglio autonomi, li voglio capaci di fare a meno di quello che non possiedono. A volte funziona.

LD*, 12 anni, dislessico: è arrivato depresso, avvilito, spento. Una vita, la sua, passata a sentirsi dire che non si impegnava, che non era capace, che era un idiota. Lo dimettiamo dopo 6 mesi con rammarico, perché ci fa ridere e divertire quando viene in terapia. A scuola dicono che ora va una scheggia in tutte le materie tranne italiano. Aveva bisogno che qualcuno gli dicesse “Hai ragione, non sei stupido o pigro, è che non puoi leggere e non leggerai mai bene, per quanti sforzi tu possa fare”. E’ bastato.

LM*, 10 anni, disturbo dell’apprendimento. Biracial (direbbero gli americani), bello come il sole. Non diceva una parola, testa bassa, occhi obliqui e taglienti. Una rabbia che se lo mangiava dentro. L’ultimo mese non riuscivamo a fermarlo per quanto parlava e per quanto spaccava le palle con i suoi scherzi. A scuola andava una merda uguale a prima. Ma almeno si è ritrovato vivo.

Non li rivedo mai, dopo le dimissioni. Non so mai che fine fanno. Bene così, ma a volte vorrei spiarli e vedere che ne hanno fatto di quegli anni passati, 3 volte alla settimana, con una sconosciuta in un orribile posto pieno di ragazzi strani e stranissimi. Non si può.

Sei solo tu, ciccio, nessuno può far niente per te se non fai da solo.

20 pensieri riguardo “Il mio lavoro

  1. stai attaccando la mania ossessivo-compulsiva per questo blog anche a me.
    Questa pagina, in quanto a contenuti e bellezza espositiva, fa il paio con quella ormai leggendaria della nonna.
    Grazie. 🙂

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  2. che si fa per avere un ricovero coatto? me’ voglio’ fa curà.
    Alf**

    ps … ritorno ritorno, sto gia scrivendo, raconterò tutto, tanto sei l’unica che mi legge, in pratica potrei telefonarti, ma ammè mi piace così.
    AH dimenticavo, questo è il post + bello e tenero che ho letto in questo blog!

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  3. tanti impegni…ma appena ho un attimo di tempo passo sempre a prendere una boccata di ossigeno nel tuo blog. Che siano post apppassionati, divertenti, scazzati, tristi, impegnati, o sensibili come questo, è sempre un piacere leggerti. Grazie Penelope!

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  4. Guarda dico questa cosa con difficoltà….probabilmente la dico proprio perchè sto dietro uno schermo e non devo guardare in faccia nessuno. Ultimamente proprio non riesco a provare niente, tutto vuoto, tutto arido, pochissime emozioni (quasi tutte negative) uno stato di catalessi emozionale che mi psaventa un pò…però alcuni tuoi post riescono a fare breccia in questo silenzio e mi salgono anche le lacrime agli occhi. Non so se dirti grazie o se incavolarmi perchè riesci a smuovere questo stato di ‘insana indolenza’.

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  5. Penny, guarda che io non mi posso mica permettere di lacrimeggiare…
    E allora che nont i venga in mente di scriverne altri di post così, che ne andrebbe della mia immagine, sai?

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  6. sono capitata per caso qui, digitando “fare un sacco di cazzate” (perché? bo). ho letto dei post sul gay pride, sulle adozioni… e poi questo. ho un bambino piccolo e mi sento mamma di tutti, magari non ti interessa, e sicuramente è una cosa che sai, ma saresti una brava mamma.

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  7. Hola!
    Da ieri sono capitata nel tuo blog, capitata non è proprio la verità….cercavo risposte….adesso penserai: “Ecco!Una che s’è presa il sole delle due…”.
    Si chiama E., ha 5 anni e un disturbop del linguaggio ancora non ben definito….ma lo capiranno…
    Una mattina di marzo scorso ero all’uscita dell’ospedale, mio padre dentro per il verdetto che poi avrebbe cambiato improvvisamente la nostra vita….lo vedo e riconosco subito dalle sue movenze e da come interagisce con la meggy (cane in affido della mia amica chicca) che sto ciccio picciolo ha qualcosa….
    Chiacchieata con la sua mamma, stravolta, stanca, incredula per l’immediata simpatia di E. con la Meg, mi dice subito quello che non va “E. non parla” finiamo con un abbraccio in mezzo alla gente che passa davanti all’ingresso del luogo che “cura” e manda via le mamme sole e disperate….
    Avevo fatto delle foto ad E. quella mattina,glie le ho spedite con un elenco di associazioni che sostengono le famiglie con figli autistici….gente che patisce e che si aiuta a vicenda ….mi riguardo le foto, sto ciccio tenero con un paio di occhiali bianchi tondi che tende la manina sulla testa di Meg e la rincorre….penso ” ma che aspetti?”
    Qualcuno mi ha detto che non si puö sfuggire ai propri sogni, ed io l’ho fatto sempre…oggi alle soglie dei 37 anni, lui si ripresenta….il desiderio di una vita, lavorare coi cicci piccioli che no sanno stare al mondo come vogliamo noi, come “pare” sa giusto per il mondo sano, da sempre ci penso e non ho mai realizzato quanto fosse forte sta cosa qua….mi ritrovo alle prese con una scelta di vta dura, complicata e mi sa che è arrivato il momento di tirarre fuori tutta la forza che negli ultimi anni ho sepolto sotto progetti talmente tanto lontani da me che non li ricordo neanche piü….
    Vorrei prepararmi per i test d’accesso alla laurea triennale in logopedia, ma sarà tosta…..ma quello che mi spaventa forse è soprattutto il dopo, si riesce ad imparare davvero in 3 anni?Potrei davvero essere capace di far sorridere, giocare, comunicare tutti i piccoli E. che vengono da me?
    E poi?Lo chiedo a te che sei di sicuro una che non te la manda a dire, non è tardi per cominciare?
    A giorni mi faranno sapere se ho superato la selezione in un tanto regale call center svizzero, accetterö?
    Intanto ti saluto e se un giorno dovessi capitare nella tua Napoli sarebbe bello fare un giro, che non ci metto tanto ad arrivare da casa mia…
    Buon lavoro! 🙂

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  8. mi permetto di risponderti, chè Penelope non si arrabbierà…non è mai tardi per cambiare vita e cercare di realizzare finalmente i propri sogni. La vita è una e alla fine che ti dirai? “Che bello, ho fatto esattamente quello che volevo” oppure “però, ho risposto a tante telefonate”. Probabilmente il call center ti pagherà bene (logopedia no! Vero, Penny?) ma la gioia di vedere un ciccio piccolo autistico che finalmente, dopo anni di lavoro, ti guarda e forse inizia un gioco a turno con te………..bè è impagabile (anche se in banca non lo puoi portare per pagare il mutuo…..eheheheehhehe!).
    No, non bastano 3 anni per sapere tutto, ma bastano per capire come continuare a studiare ed imparare anche dopo!
    A 37 anni sei ancora una ragazzina: in fondo hai vissuto SOLO 37 dei 100 anni che hai a disposizione….e per 63 anni vuoi rispondere al telefono? Naaaaaaaaaaaaaa…………….
    Insomma Meg vai!!!!!!! E se dovessi fallire, di call center ce ne sono un migliaio, anche fra 3 anni!
    Intanto lì in Svizzera puoi fare il mio nome???
    Ahahahahaahahahah………….
    Non sono una logopedista, ma senza logopedisti il mio lavoro sarebbe un semplice lavoro di scrittura cartelle: che palle!

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  9. Questo blog continua a riservarmi sorprendenti sorprese. Tra l’altro oggi scopro pure che è un po’ il “MartaFlavi” del web. Ma questa è un’altra storia e, d’altra parte, lo è stato per me, perché non per altri?
    Vabbè, Meg, la Crila ti ha risposto nel giusto modo. Tre anni servono solo a farti capire se stai facendo la cosa che ti piace davvero, per il resto non si impara una mazza, se non un po’ di teoria che, di lì a 5 anni, avrai dimenticato.
    Fallo. l’età non conta nei mestieri come questo.
    Lo definiscono “d’aiuto”. Non ho ancora capito chi aiuta chi, a dire il vero.
    Comunque provaci, ne vale la pena sul piano umano e personale. Sul piano economico un po’ meno.
    Per formarsi perbenino sugli autistici ci vogliono una decina d’anni, i metodi sono molti e i corsi specifici costosi. Il ritorno emotivo delle prime terapie è devastante. Poi diventa il lavoro più bello del mondo. Dopo la prostituzione di alto bordo, naturalmente.
    Momento aneddoto: lui down e autistico come un armadio, io giovanissima e ardente del sacro fuoco dell’onnipotenza. Erano gli anni 80, si giocava al buio con la luce di una pila (che le giovani terapiste non ridano, pliz, parliamo di 20 anni fa). Io piangevo spesso per la disperazione e la fatica di tener fermo un ciccio piccolo di 10 anni e 40 chili.
    Un giorno lui si blocca.
    Restiamo fermi.
    Mi strappa la torcia da mano.
    Mette la torcia in bocca e la lecca.
    Alza lo sguardo e mi punta gli occhi negli occhi.
    Toglie la torcia dalla sua bocca e la infila nella mia.
    Incontri ravvicinati del terzo tipo…

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  10. …no, sono italiana migrante (sporca meridionale italiana migrante), in terra stranier per caso o per fatti di famiglia dciamo…..ma domani me ne ritorno nel profondo sud a meditare sul da farsi….
    Hasta amiga…..:-))

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  11. ciao penelope. io sono una logopedista di 26 anni lo faccio solo da 4 questo lavoro, vivo sola , a roma , ho una gatta nera pure io e leggo il tuo blog ogni tanto che trovai per caso mentre cercavo lavoro (sono disoccupata ) e sto vedendo.a parte cio volevo ringraziarti cosi per cio che scrivi e come lo scrivi , leggendo i tuoi pensieri le sperienze mi ritrovo seppur im maniera diversa su molte cose .semplicemente grazie

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  12. Ciao Penny!
    Ho lasciato il cantone in cui la lingua italiana viene quotidianamente fatta a pezzi da italofoni mal riusciti, quasi peggio di certi italiani che fanno finta di sapere l’inglese 🙂
    Scherzo!!!
    Davvero, il ticinese meriterebbe uno studio scientifico approfondito, soprattutto per capire com’è che solo ad un passo aldilà del confine le parole si trasformano in altre, alcune soprattutto assumono una veste teutonica….io ci vedo una sorta di sudditanza, un asservirsi dell’italiano (o degli italiani!) alla lingua dei più forti….un pò come facciamo anche a casa nostra con le parole prese dall’inglese papele papele….o addirittura frasi intere che servono per comunicare in situazioni di emergenza….vi è capitato “men at work” in autostrada?
    Ora, vabè che quelli nati dai 60 in poi l’inglese un pò lo masticano per forza, ma mio padre che è del 42 e che ancora guida benissimo, che è un archivio (ops!database!) vivente di proverbi napoletani….come fa a sapere che deve rallentare davanti a quel cartello?Non ce lo potremmo tenere stretto il nostro “lavori in corso?….
    Cmq, dicevo della creatività elvetica applicata all’italiano….
    Tipo che il commesso di un negozio ti fa: “per attivare la card vai sul sito e ti “annunci”…che sarebbe “ti iscrivi” nella lingua di dante….se invece volete alloggiare in un albergo dovete prima fare una “riservazione” termine mutuato dal tedesco (credo!) oppure un prodotto in offerta al supermercato avrà un cartello con su scritto “AZIONE” sempre di provienza tedesca….oppure vi può capitare di essere un pò distratti dal rumore, magari sull’AUTOPOSTALE, il tizio seduto a fianco vi indica la borsa “Il suo NATEL sta squillando!”, caso questo in cui l’oggetto prende il nome della casa produttrice come succedeva da noi qualche tempo fa in piena era “paninarista”, quando le scarpe si chiamavano timberland e i piumini da neve moncler….
    Sfogo nazional-purista direte, sarà così….le trasformazioni sono un miglioramento certo, lo scambio è crescita, d’accordo, ma possiamo almeno parlare in italiano mantenendo un pizzico della nostra cadenza meridionale per favore?Solo un pò, non mi sembra che sia più bello l’italo-milanese quando affonda la parola “Rubrica” mettendoci una bella U tonica (Teresa Mannino docet), ma le elementari dove le avete fatte cakkio?!!!!Anche la chic manager con cui ho fatto il colloquio la settimana scorsa l’ha detto: ” Noi poi prepariamo una “rùbrica” di contatti……”
    Vabè!Questioni di forma, questioni di accenti….poco contano…
    Piuttosto, quando un nuovo momento aneddoto penny?
    Baciamo le mani a vossia 🙂

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  13. “E’ un mondo di donne, va ricordato. Donne Madri, Donne Terapiste, Donne Amministrative, Donne Medici, Donne Insegnanti, Donne Baby Sitter… gli uomini scompaiono in questo gineceo sofferente e si perdono bambini che non esisteranno fino a che non diverranno ciò che devono diventare.”

    No, non è vero, non lo è più, per fortuna. E’ un mondo che troppe persone vorrebbero non vedere, non scoprire mai. Come se il disagio di un cucciolo fosse colpa del cucciolo stesso o dei suoi genitori. Non sono colpe, sono disagi. Alcuni lievi, altri gravi, alcuni curabili, altri no. Le terapiste (questo sì è un mondo femminile, i terapisti uomini saranno uno ogni 10) fanno spesso la differenza tra il riuscire a intraprendere un percorso di recupero e non riuscirci. I genitori (entrambi, anche se spesso ne vedi solo uno e molto spesso solo le madri) sono abbandonati da questa nostra bella società. “Giustamente” se deve essere un’attività produttiva non possiamo “sprecare” risorse no? Non le “sprechiamo” per i cuccioli, tanto meno per i loro “colpevoli” (di nuovo) genitori. Le sprechiamo magari per troie, veline, calciatori, tronisti e faccie da culo varie, ma vabbè, “che c’entra”…

    In tutto questo i padri stanno capendo che essere padre, come essere madre, vuol dire sviluppare una relazione intensa e bidirezionale con il cucciolo che hai contribuito a mettere al mondo (parte piccola e piacevole ma pur sempre una piccola parte c’è). E stanno imparando che essere uomini vuol anche dire prendersi cura non solo della famigila da un punto di vista materiale (il lavoro, i soldi, la casa) ma anche stare vicini a coniuge e figli. Con o senza disagi. Nella buona e nella cattiva sorte. Eliminando per quanto possibile le proprie piccole meschinità ed egoismi (che abbiamo tutti, chi più chi meno: i santi, se ci sono, stanno in paradiso), per mettersi al servizio di un bene superiore, quello della crescita dei propri cuccioli e della sicurezza della propria famiglia.

    Come lo so? Lo so, lo so…

    Luca Spoldi

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