Sliding Door

Soundtrack: The Pretenders Back on the Chain Gang

Prima di resocontare la serata di ieri, vorrei esprimere un grezzo pensiero: loro sono al governo e alla guida della capitale d’Italia, possono decidere, scegliere, cambiare e inventare le leggi con le armi della democrazia, ne hanno il diritto, insomma, perché sono stati scelti e hanno la maggioranza. Invece no, la loro interpretazione della democrazia è la stessa di 70 anni fa: si sentono liberi di picchiare, di imporre la violenza come modo, di convincere le persone a forza di spranghe e olio di ricino (questo ancora no, ma ci arriveremo, ci arriveremo…). Non è cambiato niente, non sono cambiati, il tempo non serve. E la responsabilità è di chi li ha votati basandosi su una memoria corta e limitata, sull’ignoranza della storia e su sentimenti orrendi di chiusura e vigliaccheria. E adesso ce li teniamo, gente.

Serata di ieri (che non ve ne può fregà de meno, mi rendo conto, ma a me ha dato molto da pensare).

Il Fab è qui a Roma per un convegnone internazionale delle cose sue (che tanto io non capisco quindi inutile specificare). Mi fa un gran piacere vedermelo gironzolare nel mio territorio e fare cose con lui. Fa anche un po’ strano, di solito sono io a cazzeggiare nel suo, di territorio.

Dunque ier sera mi invita ad accompagnarlo ad una serata ufficiale per i partecipanti al convegno.

Location: San Pietro in Vincoli (Saint Peter in Chains, traduce un oratore), università di Ingegneria della Sapienza. Chiostro.

Style della Penelope: “cannellone” (ovvero l’unica configurazione decente esistente nel suo armadio e che viene tirata fuori in occasione di matrimoni e ricevimenti.

Style del Fab: cravatta verde pisello (fallocentrico senza speranza).

Programma della serata: introduzione storica, Coro e arie d’opera, cibo.

Pubblico: International, National, Local. Tutti ingegneri, tutti maschi, giusto un paio di femmene direttamente coinvolte, le altre in qualità di moglie accompagnatrice. Tutti impegnati a spettegolare e inciuciare su colleghi di ogni parte del mondo. Dovrebbero essere cervelli superiori, questi.

L’introduzione sempre troppo lunga, il Coro canta sempre troppo. Quanno se magna? Se magna.

Mi ritrovo a chiacchierare, condotta dal Fab, con gente assurda: un tipo australiano, uno israeliano, un toscano, una tipa mooolto carina di Lecce.

Per fortuna che mi ricordo l’inglese, sennò mi impiccavo.

Tra una chiacchiera e l’altra ci rendiamo conto, con il Fab, che questa avrebbe potuto essere una scena possibile e quasi standard della nostra vita. Il tipo di vita che il nostro universo si aspettava da noi. La signora Fab che accompagna il marito Fab. Fa impressione a pensarlo. E sembra anche riposante a guardarlo così. I ruoli precostituiti sono confortevoli, non c’è che dire, confortevoli e lineari. Una considerazione stupefacente e terrorizzante. Se non avessimo avuto a che fare con la nostra omosessualità, avremmo fatto ogni cosa come da manuale, non avremmo scelto, avremmo perseguito. Non avremmo buttato il sangue alla ricerca di una identità personale e individuale, ci saremmo adeguati. Soffrendo come bestie in gabbia saremmo stati una coppia ben assortita (?), socialmente riconoscibile, rispettabile (‘o prufessò) e anche socialmente impegnata (‘a logopedista a 18 ore). Ma che quadretto shining, mi si rizzano i peli sulla nuca. 

Che orrore. Ci rifaremo al Gay pride.