Soundtrack: Madeleine Peyroux – I’m Gonna Sit Right Down And Write Myself A Letter
– Questo è stato scritto venerdì scorso a Capri, lunedì racconto la NapoliFest –
Scrivere al computer sulla terrazza caprese dei fabolous, mi fa sentire un incrocio tra uno scrittore russo in esilio e una british lady in pieno grand tour. Sono una lesbica romantica e questo è quanto.
Terrazza, mare di marina piccola di fronte, acqua caraibica, sole caldo, sigaretta, zuppone latte e macine appena finito, R&B che colazionano sul tavolo. I Fab sono usciti, leoni in gabbia.
Sono le nove e mezza. Alba.
Rifletto da un paio di giorni. Poche conclusioni, molte domande. Il profFab mi cazzea e mi fa altre domande.
Mi domanda spesso com’è che noi lesbiche tendiamo inevitabilmente alle relazioni isteriche e quasi mai alle relazioni serene.
Noi lesbiche o io? Dal generale al particolare.
Si parla e si riparla di meccanismi, reiterazioni, loop, coazioni a ripetere, inutilia, atteggiamenti patologici.
Gira che ti rigira, il problema sono sempre io, le mie ossessioni, la mia necessità di creare bisogni per sentirmi sicura.
Prendiamo il gommone. Giriamo per mare. Vento fresco, sole caldo e meduse violette e cazzimmose (=cattive, subdole e maligne N.d.T.). Riesco lo stesso a fare qualche abluzione, il bagno no, acqua gelida e le piccole bastarde velenose sempre intorno. Mi occupo dell’ancoraggio, come quand’ero pischella e mio padre mi affidava 30 chili di piombo da lanciare in mare e annodare senza sbagliare (piccole lesbiche crescono). Toplesssssssss.
Sale il maestrale, si rientra. DocFab, al ritorno, mi permette di sfogare. Timone a me, motore a manetta, in piedi, ginocchia rigorosamente piegate per ammortizzare, vento ormai freddo e mare aperto.
Ricordi di preadolescenza. Gioia pura. Quasi esaltazione. Una meraviglia. Dimentico tutto, ma qualcuno mi manca. Avrei voluto condividere il momento non solo con la R**.
Un regalo che vale l’invalutabile. Difficile da spiegare. E’ la stessa allegria che mi mette l’andare in motocicletta, ma con qualcosa in più: il mare. Sorrido come un’idiota. Ma chi l’ha detto che gli idioti ridono? Sorrido forte e questo è quanto.
Penso che le cose vanno prese per quello che sono. Accadono, fanno felici per venti minuti, un secondo, 1 anno o a tempo indeterminato. Vale questo. Il resto mancia.
Lesbica isterica. Cos’è che voglio? Cosa vado cercando. Siamo ancora ai piedi di pilato, siamo ancora alla porta di ingresso. Venerdì ne faccio 45. Età adulta. Senza tema di smentite. Più adulti di così si comincia ad essere vecchi, credo. E mi capita ancora di subire imparate di creanza (=lezioni di educazione, N.d.T.) da bimbe di 10, 15 anni meno di me. Cazzona. Come se, ancora, diventare grande mi apparisse come una caduta di gusto e di principio. Sempre e comunque figlia di qualcuno. Sempre e comunque eccentrica da recuperare, con delicatezza che sennò si rompe. Affetti da mettere alla prova ossessivamente, amori da inventare, progetti da affogare, futuro da cancellare. Se guardo bene tra le scritte della mia faccia (rughe? Naaaa), è questo che vedo.
Forse mi piace ancora tutto questo, forse no. Un equilibrio è possibile? Sembra il titolo di un articolo di Focus. Quello che vivo ha sempre due facce, quella che mi inetta adrenalina e botox e ketamina e quella che mi mangia neuroni e terminazioni nervose. Sono una tossicodipendente emotiva. Voglio il flash (si chiamava così?) dell’ago in vena tre volte al giorno. Senza vado a rota. Senza pare io mi spenga, inesorabilmente.
Che ce ne facciamo di questa inutile poltiglia emotiva. Cosa se ne può tirare fuori. Dove sono le cose che chi mi ama vede e che per me sono inaccessibili. Santa pazienza, mi pare di dover ricominciare la psicoanalisi. Questo è inaccettabile.
Non è possibile che io non sia in grado di dirimerla, ‘sta cosa. Ho tutto quello che serve per farlo, cazzo, non mi mancano strumenti. Come mai mi ritrovo in questo pantano? Cosa evito, cosa nascondo, cosa preferisco non dire. Cos’è che non voglio fare e non posso non fare.
Perché mi pare che la questione sia questa. Non voler fare qualcosa che va assolutamente fatto, pena la retrocessione.
Cosa? – poi vediamo – Basta, che palle, poi vediamo è una frase che fa schifo. Voglio saperlo adesso. In questo istante, dopo una giornata passata come volevo passarla da anni, dopo attimi di esaltazione impagabili, dopo prove d’affetto che riempiono uno stadio. Lo voglio sapere adesso. Sia quel che sia.
pensi davvero sia così importante dare nomi, definire, incasellare, far quadrare le cose?
e per quanto tempo rimarrano poi valide le definizioni, le categorie, le quadrature trovate ora?
trovo preferibili le infinite potenzialità attuali alle scontate certezze retrospettive; più stimolanti, quanto meno.
acqua caraibica vince su pantano, in questo post, ammettilo
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Non lo so, ziasaimon, non lo so.
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Io penso che a volte la voglia di qualcosa ci distolga dall’oggetto stesso del nostro desiderio.
Magari hai una fame tremenda ma sei così presa dal parlare della tua fame che non vedi le lasagne che hai davanti…
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Avercelo, un oggetto del desiderio, avercelo.
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Bè diciamo che la voglia di avere un oggetto del desiderio è essa stessa un oggetto del desiderio…o no?
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Qwesto sì. Banalmente
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ti ho letto per ore, è ora di pranzo e mi è evaporata l’acqua del tè…scrivi avvincente! secondo me solo quelli come te vivono davvero… ciao!
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Eeeeeeee…
Troppo a dirsi.
Thanx comunque e benvenuta.
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