Il mio lavoro

Soundtrack: Annie Lennox Why

Sono logopedista dentro

Ho cominciato nel 1982. Smesso nel 1990. Ripreso nel 2001. Resisto.

Scelto per caso, per far contento mio padre e fare qualcosa di simil-medico. Avevo la raccomandazione per il corso di logopedista e non quello per fisioterapista (che preferivo).

All’inizio mi sono spaventata a morte. Non c’è limite a quello che può succedere ad un bambino. E nel 1982 non c’erano sfumature, diagnosi leggere, piccole cose. C’erano le devastazioni da paralisi cerebrale infantile, gli esiti di assurde malattie e sindromi terrificanti e senza nome. Poi c’era qualcosa di divertente, tipo un bimbo classificato come “disfasico” (oggi si direbbe “disturbo del linguaggio) che, in realtà, parlava uno strettissimo dialetto di Sant’Anastasia, provincia di Napoli. Quando ce ne rendemmo conto, migliorò anche lui.

Il mio primo lavoro (pagato meravigliosamente bene), era in un orfanatrofio per bambini disabili in provincia di Avellino. Un film di Ken Loach a ripensarci. Un casermone gigante e puzzolente tenuto da suore altrimenti impresentabili (nane, ritardate, barbute, zoppe) pieno di bambini dai 6 ai 17 anni con ogni genere di patologia esistente sulla faccia della terra. C’erano anche due suore gemelle sudamericane. Ma ci ho messo mesi per capirlo, pensavo fosse una con il dono dell’ubiquità, ché a stare là dentro giorno e notte dovevi essere una santa. Sua Eccellenza il Direttore Sanitario si rifiutava di visitare i bambini, gli facevano schifo, e li imbottiva di sonniferi. Ogni tanto qualcuno di loro moriva, nessuno se ne è mai lamentato.

Visto quello, il resto è passeggiata.

Negli anni 80 non si capiva una mazza delle patologie varie e si lavorava a vista. Senza materiale naturalmente, perché si tende a risparmiare su un lavoro inutile e improduttivo come era quello.

Allora ho imparato.

Ho imparato a vedere i bambini per quello che sono: bambini. Anche i peggiori, anche i tronchi, anche i pazzi furiosi sono e restano bambini. Sempre soli, sempre spaventati, sempre attenti a far felici gli adulti senza guardare se si tratta di persone orrende o meravigliose.

Bambini.

E lavoravo così. Lavoravo per loro e su di loro. Li guardavo, li vedevo (non sempre però, non sempre riesce), li lasciavo crescere a modo loro, con i loro tempi, con i loro limiti. Li portavo per mano a guardare cosa sapevano fare, non chiedevo quello che non sapevano fare. Insegnavo loro a giocare, ché questi bimbi non lo sanno fare mai, a cazzeggiare, a farsi furbi per prendere per il culo gli adulti, a tollerare l’intollerabile di se stessi e degli altri senza piangere, senza spaccare tutto, senza inferocirsi, a diventare autonomi nel quotidiano e nella testa.

Sei solo tu, ciccio, nessuno può far niente per te se non fai da solo.

Ha funzionato quasi sempre.

Ora sono stanca – mentalmente almeno – e non credo più che “i miglioramenti” dei cicci piccoli dipendano da me. Mi pare di aver capito che fanno tutto da soli e che, come ha detto qualcuno “se guariscono con la terapia, vuol dire che sarebbero guariti anche da soli”. Alcune terapiste dicono: “spesso guariscono malgrado noi”. Esatto.

Quindi sono più Signorina Rottenmeier che Teresa di Calcutta, negli ultimi anni. Crescono uguale.

Due sole cosa restano costanti: l’esserci e il non mentire. Mai. Da alcuni disturbi non si guarisce, devono saperlo e in fretta, senza illusioni e senza aspettative. E’ così che possono occuparsi di quello che sono e non di quello che non sono. E’ così che stanno meglio.

I genitori sono un’altra storia e, dopo oltre vent’anni, mi fanno paura e tenerezza sempre nello stesso modo. E nessuno si occupa di loro. Quando ci riesco (è difficile che io lo faccia, non è capacità mia e sono feroce nei giudizi interiori), cambia tutto e anche i bambini stanno meglio. Ma è estremamente più faticoso e pericoloso. Gli adulti hanno sovrastrutture e cancrene caratteriali che non è facile fronteggiare.

E’ un mondo di donne, va ricordato. Donne Madri, Donne Terapiste, Donne Amministrative, Donne Medici, Donne Insegnanti, Donne Baby Sitter… gli uomini scompaiono in questo gineceo sofferente e si perdono bambini che non esisteranno fino a che non diverranno ciò che devono diventare.

Normali.

Parola che non si pronuncia più, pare brutto, ma che campeggia nelle teste di tutti noi che viviamo nel mondo dell’inadeguatezza, della Deviazione Standard (definizione tecnica quantitativa delle disabilità specifiche di un bambino), della impossibilità a, della difficoltà di, del NON.

Io non li voglio normali però, li voglio autonomi, li voglio capaci di fare a meno di quello che non possiedono. A volte funziona.

LD*, 12 anni, dislessico: è arrivato depresso, avvilito, spento. Una vita, la sua, passata a sentirsi dire che non si impegnava, che non era capace, che era un idiota. Lo dimettiamo dopo 6 mesi con rammarico, perché ci fa ridere e divertire quando viene in terapia. A scuola dicono che ora va una scheggia in tutte le materie tranne italiano. Aveva bisogno che qualcuno gli dicesse “Hai ragione, non sei stupido o pigro, è che non puoi leggere e non leggerai mai bene, per quanti sforzi tu possa fare”. E’ bastato.

LM*, 10 anni, disturbo dell’apprendimento. Biracial (direbbero gli americani), bello come il sole. Non diceva una parola, testa bassa, occhi obliqui e taglienti. Una rabbia che se lo mangiava dentro. L’ultimo mese non riuscivamo a fermarlo per quanto parlava e per quanto spaccava le palle con i suoi scherzi. A scuola andava una merda uguale a prima. Ma almeno si è ritrovato vivo.

Non li rivedo mai, dopo le dimissioni. Non so mai che fine fanno. Bene così, ma a volte vorrei spiarli e vedere che ne hanno fatto di quegli anni passati, 3 volte alla settimana, con una sconosciuta in un orribile posto pieno di ragazzi strani e stranissimi. Non si può.

Sei solo tu, ciccio, nessuno può far niente per te se non fai da solo.

Comunicazione Interna

Soundtrack: Nine Inch Nails Discipline (e rendetevi conto di come sto)

Sono a casa col mal di gola e nessuna voglia di scrivere, ma la mia addiction al blog mi impedisce di frenarmi dal farlo lo stesso.

Quindi, con la presente si comunica che:

la partecipazione al Gay pride di Roma prevede la formazione di un gruppo denominato:

LesbianBloggers&Friends

Ognuno è pregato di dotarsi di t-shirt con nome e logo del proprio blog o del blog preferito.

Comunicare adesione qui, che poi ci accordiamo perbenino.

Per ora ci sono:

Penelopebasta

Onewomanshow

Elideinviola

Omaha

Vediamo di essere un numero decente. Il tempo è poco.

 

 

Sliding Door

Soundtrack: The Pretenders Back on the Chain Gang

Prima di resocontare la serata di ieri, vorrei esprimere un grezzo pensiero: loro sono al governo e alla guida della capitale d’Italia, possono decidere, scegliere, cambiare e inventare le leggi con le armi della democrazia, ne hanno il diritto, insomma, perché sono stati scelti e hanno la maggioranza. Invece no, la loro interpretazione della democrazia è la stessa di 70 anni fa: si sentono liberi di picchiare, di imporre la violenza come modo, di convincere le persone a forza di spranghe e olio di ricino (questo ancora no, ma ci arriveremo, ci arriveremo…). Non è cambiato niente, non sono cambiati, il tempo non serve. E la responsabilità è di chi li ha votati basandosi su una memoria corta e limitata, sull’ignoranza della storia e su sentimenti orrendi di chiusura e vigliaccheria. E adesso ce li teniamo, gente.

Serata di ieri (che non ve ne può fregà de meno, mi rendo conto, ma a me ha dato molto da pensare).

Il Fab è qui a Roma per un convegnone internazionale delle cose sue (che tanto io non capisco quindi inutile specificare). Mi fa un gran piacere vedermelo gironzolare nel mio territorio e fare cose con lui. Fa anche un po’ strano, di solito sono io a cazzeggiare nel suo, di territorio.

Dunque ier sera mi invita ad accompagnarlo ad una serata ufficiale per i partecipanti al convegno.

Location: San Pietro in Vincoli (Saint Peter in Chains, traduce un oratore), università di Ingegneria della Sapienza. Chiostro.

Style della Penelope: “cannellone” (ovvero l’unica configurazione decente esistente nel suo armadio e che viene tirata fuori in occasione di matrimoni e ricevimenti.

Style del Fab: cravatta verde pisello (fallocentrico senza speranza).

Programma della serata: introduzione storica, Coro e arie d’opera, cibo.

Pubblico: International, National, Local. Tutti ingegneri, tutti maschi, giusto un paio di femmene direttamente coinvolte, le altre in qualità di moglie accompagnatrice. Tutti impegnati a spettegolare e inciuciare su colleghi di ogni parte del mondo. Dovrebbero essere cervelli superiori, questi.

L’introduzione sempre troppo lunga, il Coro canta sempre troppo. Quanno se magna? Se magna.

Mi ritrovo a chiacchierare, condotta dal Fab, con gente assurda: un tipo australiano, uno israeliano, un toscano, una tipa mooolto carina di Lecce.

Per fortuna che mi ricordo l’inglese, sennò mi impiccavo.

Tra una chiacchiera e l’altra ci rendiamo conto, con il Fab, che questa avrebbe potuto essere una scena possibile e quasi standard della nostra vita. Il tipo di vita che il nostro universo si aspettava da noi. La signora Fab che accompagna il marito Fab. Fa impressione a pensarlo. E sembra anche riposante a guardarlo così. I ruoli precostituiti sono confortevoli, non c’è che dire, confortevoli e lineari. Una considerazione stupefacente e terrorizzante. Se non avessimo avuto a che fare con la nostra omosessualità, avremmo fatto ogni cosa come da manuale, non avremmo scelto, avremmo perseguito. Non avremmo buttato il sangue alla ricerca di una identità personale e individuale, ci saremmo adeguati. Soffrendo come bestie in gabbia saremmo stati una coppia ben assortita (?), socialmente riconoscibile, rispettabile (‘o prufessò) e anche socialmente impegnata (‘a logopedista a 18 ore). Ma che quadretto shining, mi si rizzano i peli sulla nuca. 

Che orrore. Ci rifaremo al Gay pride.

La dimensione femminile

Soundtrack: Pink, Lil’ Kim, Mya, Aguilera – Lady Marmelade

Meravigliosa.

La dimensione femminile è il luogo dove tutto può accadere.

Qui ogni genere di contraddizione vive appassionatamente abbracciata al suo opposto senza domande da fare.

Dove le parole, tutte, si agitano e si mettono in fila sollevando polvere per non farsi guardare in faccia.

Il tempo nel quale ogni parte di un essere umano si mette a girare piano, disegnando otto perfetti e senza spaccature.

La dimensione femminile.

Impossibile non restarne affascinate e incastrate come speleologi curiosi ed imprudenti. A volte persino macinate ed inghiottite. Un hamburger di infinito stupore.

La dimensione femminile scivola fuori dagli occhi di donne che piangono e lo negano, amano e lo odiano, vivono e lo nascondono. Si intravede nelle crepe del cristallo che protegge il sangue dalla polvere, tra i denti mostrati per sorridere e ringhiare, nei capelli che parlano, parlano, non smettono di parlare.

Stasera va così.

Buonanotte.

Politically Correct?

Soundtrack: Ali Farka Tourè & Ry Cooder – Bonde

Momento Politico. Non sono particolarmente portata per questo, ma quando ci vuole ci vuole.

Ieri partecipo (moi?) all’assemblea pubblica al Pigneto, cercherò di essere breve che tanto lo so, ci si annoia in fretta a leggere cose accadute sul serio e con risvolti sociali, siamo Italiani.

Per chi non ne abbia la più pallida idea, il Pigneto è un quartiere di Roma molto caratterizzato. Multietnico, studentesco, punkabestiesco (se non hai un cane mica ti ci fanno abitare), artistesco e con residui, storici abitanti allucinati dal cambiamento commercial-notturno degli ultimi anni.

L’altro ieri un gruppo di una ventina di persone ha assalito e vattuto (=picchiato, N.d.T.) il negozio di un bengalese, il bengalese medesimo e i negozi/anti vicini.

Il motivo? pare che il bengalese abbia il controllo della malavita e dello spaccio locale, qualcuno è andato lì a chiedere la restituzione di soldi rubati (anche i bengalesi fanno il cavallo di ritorno come a Napoli? apperò) e, non riuscendo ad ottenerli, è tornato con venti amici suoi a volto scoperto e ha sfasciato tutto sotto lo sguardo poco indignato dei Pignetini.

Sento la radio e la speaker, stamattina, dice: “Si esclude la matrice politica, si è trattato di un regolamento di conti.”

Minchia se c’è, invece, la matrice politica.

  1. Venti persone che si riuniscono per picchiare e distruggere sono, per definizione, fascisti.
  2. Se ad avere il controllo della “malavita” fosse stato un italiano, non ci sarebbero andati.
  3. Quando un intero quartiere (mo’ non esageriamo, non l’intero ma quasi) resta a guardare e gongola, si comporta in modo razzista e fascista.

E niente “però”, perché è così che si comincia, è così che l’Italia ha cominciato 70 anni fa, è così che si mettono le basi per cambiamenti sociali e politici che questo paese conosce più che bene.

Ma l’assemblea è stata bellissima. A tratti emozionante. Gente, tranquillità, sincerità, antifascismo profondo, voglia di farsi sentire in un paese che cammina con il bloccasterzo incastrato a destra.

In questa nazione manca una vera lotta per i diritti civili, diritti che dovrebbero essere acquisiti in automatico in un paese europeo industrializzato e che invece latitano vergognosamente.

Mi sono resa conto che una lotta così importante e così “evolutiva”, noi italiani non siamo in grado di farla, sappiamo involvere egregiamente, però.

Dobbiamo sperare che inizino gli extracomunitari per noi. Che siano loro, con i loro diritti di base negati, con la loro forza lavoro che è il 10% del Pil del paese, con la loro reale precarietà a far partire una battaglia che dovrebbe essere in atto da almeno 10 anni ma che non è mai cominciata.

E’ stato bello stare lì, mooolto vintage, molto esaltante.

L’ho detto. Una chiavica, ma l’ho detto.

Gay pride: Bologna o Roma (e Madrid)?

Soundtrack: Village People – YMCA (ma la metto dopo che ora sono al lavoro.

Và, che titolo serio.

Ma ci dobbiamo organizzare e io sono combattuta (ma si può essere combattuti per un gay pride?).

I fatti sono i seguenti.

La manifestazione nazionale si tiene a Bologna. gran bordello, occasione di andarsene fuori il we, Bologna capitale gay, città friendly e presenzialismo di livello.

Madrid, Pride Europeo, il delirio, il viaggio, il nuovo, il possibile, la riconoscenza.

Ma a Roma è un’altra storia.

Quest’anno sindaco di destra con espressioni politically correct border line. Fascisti che assaltano il Mario Mieli. Deputati Veline alle Pari Opportunità che pensano bene di esprimere i propri pregiudizi sul’omosessualità e togliere il patrocinio al Pride, Vaticano che incombe mentre al suo interno si consumano gruppage quotidiani.

Manifestazioni diverse. Diverso senso della partecipazione.

Bologna=andiamo a festeggiare/scopare/fare burdell’/divertirci/il cassero/tortellini/nazionale.

Madrid=festeggiamo il sogno/ringraziamo Zapatero/partecipiamo con il mondo/europeo.

Roma=facciamo presente che esistiamo/testimoniamo/protestiamo/infastidiamo/rischiamo/locale.

Un post serisssssimo direi, tendenzialmente noioso ma, rendetevi conto, non è facile decidere.

Si accettano suggerimenti.

P.S. Entro stasera dovrei fare i 30.000. Mi pare ridicolo festeggiare un’altra volta. Però, che meraviglia… e, soprattutto, grazie, come dicono i divi di hollywood alle premiazioni Oscar. Minchia, 30.000 in 6 mesi, mica bruscolini.

 

Firewalls

Soundtrack: Barriere – Thunder In Sunshine

Il firewall del mio pc mi protegge da attacchi e invasioni indesiderate. Ma chi cazzo è che va in giro per pc altrui a fare danni? misteri dei tempi moderni.

Però, il firewall del mio pc, protettivo e solerte, mi impedisce di scaricare file da e-mule. Irritante.

Devo aver attivato un firewall anche nella mia testa (cuore, polmone, ventre e altro hardware similare).

Credo di averlo messo lì per proteggermi da qualcosa che dovevo (devo?) ritenere pe-ri-co-lo-sis-si-mo.

Fa bene il suo lavoro, ma impedisce al mio pensiero (sentimento, respiro, istinto ed altro software similare) di modificarsi/fluidificarsi/ammorbidirsi/aprirsi.

Apperò.

Mica poco.

E’ un po’ come se avessi messo su uno splendido castelletto di carte francesi. Quelle con il dorso rosso o blu e i disegnini piccoli piccoli. Deve essere stato faticoso, un lavoro di infinita pazienza e determinazione, concentrazione e attenzione. Una di quelle cose totalmente inutili che si fanno nella convinzione di non poterne fare a meno. Una gran cazzata, in pratica, ma talmente costosa in termini personali da diventare un prezioso tesoro da proteggere.

Ovviamente può bastare un soffio di vento, una mano distratta, un cambio degli equilibri, un movimento involontario anche distante, per mandare tutto a puttane (con rispetto parlando delle signorine stradali che, certo, non hanno tempo da perdere con i castelli di carte fatti da me).

Si rende necessario il FIREWALL.

Uno strumento di difesa totalmente sovradimensionato per proteggere una strunzata senza senso.

Energie sprecate, perbacco.

Non si disattiva più. Ho anche provato a inserire le “Eccezioni”, a dare precise direttive su quando e come intervenire e su cosa no. Non funziona, fa come vuole, è fuori controllo.

Il risultato è che non sopporto che mi si facciano critiche, che mi si facciano notare contraddizioni, che si confutino i miei ragionamenti, mi si metta in discussione e mi si sollevino obiezioni. Su qualsiasi cosa.

Reagisco come un animale. Una belva feroce-un pitbull-un grizzly. Oppure piango. Signorina dell’ottocento. Il lupo con la cuffia della nonna. Rabbia animale e dissennata contro chi, comunque, dovunque, ovunque, si macchi della colpa suprema: tentare di superare il firewall.

E non riesco a fare update, upgrade o sharing del mio software (pensiero, sentimento, istinto, emozione, e-mule).

Quando mi è successo tutto questo? e perché? e come si leva?

DISCONNETTI

 

 

 

Incoerenza World Championship

Soundtrack: Waldeck – Addicted

And the winner is…

E che ve lo dico affare?

Smutandai e lo pagherò.

La questione è: quanti anni voglio campare?

Quindi o la va o la spacca. Nel senso che io ci provo, poi si vedrà.

Ed è così per tutto, finally. Le cose esistenti possono far male o non farlo, possono essere giuste o spaventosamente sbagliate, portare lontano o in un pozzo, riempirti di energia o svuotarti MA, dopotutto, che altro si fa mentre si vive?

Si vive, appunto.

Mi si potrebbe obiettare che, però, le mie scelte personali in genere si riflettono e invadono e pervadono e sciamano nelle vite di chi mi sta intorno, perché sono una fracassatrice di palle altrui, perché ho sempre da raccontare i cazzi miei secondo il principio che sono molto più interessanti di “Un posto al Sole”, che poi mi installo a casa di qualcuno come un Trojan e non me ne vado finché non sono stata debitamente rimessa in piedi da anime gentili.

Evabbè, cercherò di evitarlo.

Ooohhh.

Ier sera con R&B e la A* si parlava di tradimenti.

Pare sempre che, in teoria, nessuno valuti il tradimento importante in sé per sé. Risulta sempre un contorno, una strada laterale di una via più importante, un dettaglio che offre una luce in più sulle questioni centrali, un segnale e un simbolo.

IN TEORIA.

In pratica, quantomeno per me, rappresenta la fine del mondo annunciata dagli Avventisti del Settimo Giorno.

Mai una volta che io sia riuscita a tollerare la cosa con nonchalanche, mai che non le abbia dato importanza, mai che non mi abbia provocato grave tachicardia, inappetenza, confusione mentale, devastazione dell’orgoglio, gelosia patologica, crisi ossessive compulsive.

Succede solo a me?

E si parlava della questione nucleare riguardante il tradimento:

se è una scopata senza importanza: NON LO DEVO SAPERE. Per nessun motivo al mondo. Non devo trovare un capello, un sms, un foglio, una mail, una macchia. Nulla di nulla, finché campo. Perché se diventa noto, diventa importante. Chi tradisce deve avere il coraggio di nasconderlo e tenerlo per sé e solo per sé, senza triturare le ovaie della propria compagna ufficiale pretendendo di condividere la colpa e la responsabilità.

Punto.

Se si sceglie di dirlo: SI DICE. Non si fa in modo che l’altra lo scopra (scoprire, poi, si tratta più che altro di seguire le tracce che la fedigrafa rilascerà lungo il sentiero, con finta disattenzione e falsa distrazione) da sola.

Etica del tradimento, insomma, fermo restando che non mi va più tanto la teoria che chi tradisce lo fa, spesso, per salvare la coppia. Me pare ‘na strunzata. Chi tradisce tradisce, poco altro da aggiungere.

Poi potremmo entrare nella teoria della quantità/qualità del tradimento.

Pensare ad altri è tradire? (ma per carità, un mondo di corna, non si può).

Innamorarsi di altri è tradire? (mah, dipende, ma da cosa dipende?).

Baciare altri è tradire? (cazzo sì, certo che sì, baciare un’altra? ma mica bruscolini, sempre un bacio è).

Scopare con altri è tradire? (…).

Non scopare ma volerlo fare?

Non farlo perché non te la danno e non perché non ci provi?

E così via, in un delirio di sfumature.

Bene, questo è tutto.

Vado a far delle cose, che oggi sono in ferie.

 

 

 

Pulizie di Primavera

Soundtrack: Alanis Morissette You learn

Oggi pulizie ossessive.

Diavoletto della Tasmania con aspirapolvere pezze e scaletto e cambio stagione e stirare e passare i mobili con l’olio e lavare per terra tre volte…

A volte mi preoccupo. Ma poi sto bene e chissenefrega. Mi piace la casa pulita. Mi fa sentire nel mio territorio.

D’altronde credo di essere completamente pazza. Di quelle che non sanno di essere pazze ma ne hanno un sospetto che, a tratti, diventa certezza. Quella pazzia che mi fa fare cose non pensate, che mi fa agire al di là di ogni ragionevolezza.

Non ero una persona razionale? Me lo chiedo proprio, perché non lo so più. Non so più niente. Gnente te dico gnente.

Farei cose che è meglio non fare, non faccio cose che sarebbe meglio fare.

Pulizie di primavera… Ho imparato a buttare qualsiasi cosa. Gli innumerevoli traslochi fatti mi hanno insegnato che NON si conserva la roba inutile. Fa solo peso.

Ier sera, di ritorno da Ponte Milvio (zona carina assaje, ho scoperto, anche se un po’ troppo fighetta, ho passato il week end con V** e mi ha fatto gran piacere), ho imboccato Tor di Quinto e mi sono ricordata.

Mi sono ricordata dei miei ritorni a Rignano Flaminio.

Settembre 2007.

Mi sono ricordata di quei 40 chilometri percorsi correndo oltre ogni ragionevole velocità consentita e consigliata. Non volevo morire, volevo sentirmi potente e fare le curve senza scendere sotto i 110 e tenendo la macchina dentro la striscia bianca. Brava, anche questa l’hai fatta bene.

Mi sono ricordata della rabbia che mi teneva uniti i pezzi disintegrati.

Mi sono ricordata del dolore che non mi spiegavo.

Mi sono ricordata della paura che ho tardato a riconoscere.

Mi sono ricordata della fame che non avevo mai. Della sete che mi divorava. Di quanto il cibo mi disgustasse e mi sembrasse un pericoloso intruso dentro me. A meno che non cucinasse qualcuno cui volevo bene. Allora mangiavo.

Mi sono ricordata che ero una bimba. E niente più. Una bimba con la patente, ma una bimba.

Mi sono ricordata anche e soprattutto degli amici che c’erano. Nomi, facce e azioni.

E quelli che non c’erano.

Li ho buttati con le pulizie di primavera, credo.

Mi resta una cosa della quale non so bene cosa fare. Vorrei tenerla ancora, malgrado troppe cose mi dicano che sarebbe meglio lasciarla andare. Ma vorrei ancora un po’. Mi piace averla tra le mani, mi piace averla intorno a me. Mi piace sentirla. Mi piace la sensazione.

Sono pazza clinica e conclamata, questa è la verità.

Bonne nuit a tou le monde, dal mio splendentissimo buen retiro (che non so scrivere in francese).

@V**: è sempre bello vederti, per me sei una boccata d’ossigeno e serenità, anche se in questo periodo non ne hai tu.

Waitin’ 4.

Soundtrack: Carina Round Lacuna

Cosa mai ci frena dal fare le cose che abbiamo voglia di fare?

Strategie, vittimismo, paura, vigliaccheria, presunzione, orgoglio.

Immagino anche altro, ma non so vederlo.

Cosa serve per togliere il freno?

Coraggio, desiderio, orgoglio. In pratica, bisogna volerlo.

Se non si mette la manina sul cazzo di freno a mano per abbassare il bottoncino e tirarlo giù, significa che non lo si vuole fare e basta.

Sarà il caso di capirlo e lasciar perdere.

Per il resto, la vita quest’è: tempo limitato e milioni di cose da fare. Ognuno ha il diritto di tralasciare le cose che non ritiene importanti.

Uff. Ci ho provato però.

Piccole stranissime cose

 POI SPIEGO

Soundtrack: The Jealous girlfriends – Secret Identity

Elenco fatti della giornata.

1

Sono rimasta assai turbata da questa cosa terrificante successa in Sicilia. A tratti il pensiero si intoppa sull’orrore del gesto, sull’orrore di una adolescenza così atroce, sull’orrore raggiungibile dai singoli individui.

2

Ho cercato di parlare di quest’altra faccenda con varie persone, ma pare sconcerti solo me che una madre cerchi di spanzare (=uccidere con una coltellata al ventre N.d.T.) la propria figlia 16enne perché lesbica. Paese di merda che vuole i figli morti piuttosto che omosessuali.

3

Quanto è faticoso cercare di far capire al prossimo che le scelte sono personali e che non si subisce un cazzo a meno che non ti abbiano puntato una pistola carica alla tempia e che, nel caso si voglia davvero qualcosa, ci si muove per prenderla.

4

Oggi è venuto al Centro dove lavoro un logopedista maschio. Un tipo fichissimo che pare la copia sputata di Sayid di “Lost” (vedi foto). 34 anni, laureato in lettere, palestinese, logopedista diplomato, bello e caruccio di modi.

Dopo il colloquio fatto con la NPI, si parlava del fatto che un logopedista maschio è benvenuto perché spesso necessario in alcuni particolari casi (una marea di bambini comportamentali vivono in un gineceo invidiabile per me, ma massacrante per loro, quindi il riferimento maschile può diventare di per sé una terapia, non sto qui a spiegare meglio che mi rompo il cazzo, è intuitivo) ma che, purtroppo, costui avesse poca esperienza nel campo.

Ora, considerando che dove lavoro io, attualmente, sono state prese almeno 4 neologopediste giovanissime e assolutamente vergini dal punto di vista professionale, mi è venuto il dubbio che, in fondo, la sua esclusione, fosse una questione non dico razzista, che mi pare troppo, ma da diffidenza extrapaesana. Ho sollevato dubbi e si è riconsiderata la sua candidatura.

Una delle serie motivazioni per rimetterlo in lista è stata: “Se attiva la Penelope, bisogna tenerne conto”. Per attivare leggi “attizzare”. Perché ho avuto un attimo di vero sbandamento.

Vedi un po’ se un 34enne palestinese maschio deve essere raccomandato da una 45enne halfjewish lesbica.

Che se lo porterebbe pure a letto volentieri.

Stranezze.

5

Domani sveglia alle 6, lavoro e corso. Giornatona spaventosa. Ma la sera doppio appuntamento e rivedo anche un po’ V**, che mi fa piacere assaje e me la coccolo un po’. Poi week end “cazzi miei” con cambio stagione, cugini e cazzeggio assoluto.

6

Oggi ho smanettato come un’adolescente tra pc e cellulare e mi sono fatta una serie di sounerie assurde per il cell nuovo, spacciandone alcune sul lavoro e facendo felice la nipotazza Elide con The Niro on the phone. Mi sono sentita sfaccimmissima.

Ma dubito ve ne fotta qualcosa.

Cervelli & Piselli

 

Soundtrack: Feist  So Sorry

Stasera si chiacchierava, con la nipotazza preferita detta Elide, delle difficoltà tipiche dei post-rapporti lunghi.

Uno di quegli argomenti dei quali tutti sanno tutto, perché a tutti è successo e perché tutti ne portano i segni.

Le paure, le paranoie del cazzo, le resistenze, l’illusione che esista un tempo, un modo, una persona che siano giusti, esatti, millimetrici.

Ad ognuno il suo.

Parlavo quindi del mio. Del mio terrore di rimettermi in una relazione non già (ma che meraviglia di espressione ottocentesca) per questioni sentimentali, ma proprio per cose quotidiane e piccine piccine.

Paura di perdermi in qualcun’altra e sputtanarmi la vita, paura di rimettermi in situazioni uguali e mai diverse dallo pseudo-annullamento di me, sensazione di tempo insufficiente alla personale ricostruzione e così via dicendo liberamente e tanto per.

La Elide, reduce anche lei, conveniva.

Le ho detto, con noscialanz: “per te è diverso, avrai un uomo davanti.”

Ridevamo pensando ad una futura scena che si potrebbe svolgere più o meno così: Elide che parte con pippotti paranoici sul passato, il presente e il futuro, sulla vita, la morte e i miracoli, sugli ex e su ciò che è stato e che è e che sarà e Lui, occhio a mezz’asta, mormora un “sì, sì” procedendo nel countdown verso il prossimo futuro momento Sesso.

E si sono accese le luci del San Paolo.  Flash accecanti nel mio esiguo cerebello. Illuminazione totale. Ascensione a più alti livelli di consapevolezza. Trascendenza…

ESATTO.

A me tocca un’altra donna.

Una presumibilmente come me, che può ritenere argomento di conversazione una fragorosa, immane, cataclismatica bugia che è lì a coprire le poche cose vere che brillano tra le macerie.

E si può andare avanti per ore, fra donne. Anche 9 ore di discussione si possono fare. Senza spostarsi di un millimetro, fino allo sfinimento (e le donne SONO più resistenti degli uomini).

Per prepararsi a questo possono non bastare anni di yoga e di psicoanalisi. Che poi, in fondo, sono attività che forniscono straordinario nutrimento alla masturbazione mentale femminile.

Quindi, se Lesbica=donna al quadrato, 2Lesbiche=?

Non so se voglio saperlo.

Mi viene in mente una vecchia barzelletta sulla differenza uomo donna, quella di Adamo, Eva e il Padreterno che decide di fare loro due regali. Il primo regalo è il pisello. Adamo si precipita ad appropriarsene e poi comincia a correre in giro facendo pipì ovunque, tenedoselo tra le mani e agitandolo e urlando come un matto. Eva resta un po’ perplessa e poi chiede: “e l’altro regalo?” Il Padreterno risponde: “Il cervello Eva, è il cervello”.

Considero questa barzelletta una metafora (insieme ad un altro paio, delle quali una è quella di Ciro) ma, stavolta, mi viene da pensare che, in fondo, noi donne facciamo del nostro cervello la stessa cosa che gli uomini fanno del loro pisello:

PIPPE

 

Adesso basta, disse Penelope

 

Soundtrack: Jestofunk – Can we live

Basta.

Non ne posso più di stare in perenne agitazione adrenalinica.

Basta con le altalene emotive che mi tolgono energia e mi massacrano fisicamente.

Basta con le deviazioni.

Basta con i loop di pensiero, con le ossessioni mentali, con le proiezioni e le interpretazioni.

Non se ne parla di lasciare, ancora una volta, che la vita scorra senza una direzione.

Basta con le rotture di cazzo, con le paranoie, con le ansie da prestazione.

Basta con le stitichezze emotive, con il trattenersi. Bilanciare, equilibrare, trovare il giusto modo, mantenere le distanze, restare nel mio ruolo, contenere, contenermi, filtrare, censurare, chiedere solo il giusto, ricevere ciò che è il caso, semplificare, gestire il gesto, proteggere e controllare.

Basta avere paura di.

Basta con i giochi di potere, con le strategie, con gli sforzi inutili di tenere un equilibrio senza essere nata circense.

Voglio riprendere a dormire, voglio ritrovare il tempo di togliermi le sopracciglia e sistemare i miei cassetti, voglio concedermi quando è gradito, voglio negarmi quando è necessario. Voglio ballare l’ironing funky dance (**) ogni volta che mi va.

Voglio essere libera di sentirmi come mi sento, di ridere se mi va e scherzare quando ce l’ho senza sentirmi un juke box del cazzo: “metti la moneta che ti faccio sentire quello che vuoi, quando lo vuoi, come lo vuoi”.

Non voglio intrattenere, non voglio sostenere senza essere sostenuta, non voglio accogliere se non vedo accoglienza, non voglio fidarmi di muri di mattoni, non voglio prendere testate perché sono ottusa e caparbia, non voglio essere cambiata, non voglio fare di me quello che ne ho sempre fatto.

Voglio fare i conti con il mio peggio senza doverci aggiungere altrui giudizio. Basto io. Voglio far uscire il mio meglio senza intoppi e ceffoni sulla nuca.

Basta, non ne posso più, mi arrendo.

E fa male.

 

(**) Ironing Funky Dance: Danza effettuata durante l’atto dello stiraggio, al suono dei Jestofunk. Stancantissimo, giuro.

 

Lesbianless Party

Soundtrack: Hair OST – I got life

Sì sì.

Festa di compleanno Senza Lesbiche (escluso la presente ed R&B), sabato. Non capitava da anni.

Comunque, festeggiamento tranquillo, con persone cui tengo, menù casualmente vegetariano, belli regalli, si son fatte le 4 del mattino a chiacchierà.

Venerdì sera c’era stata cena indiana co’ Sonica e Omaha (blogparty) e Tumbler fino alle 4 del mattino.

Domenica: disfacimento fisico e back to Rome.

Dunque lesbianlessssss party: forse le feste vengono meglio… Ci devo pensare un po’.

Regali:

  • Lenzuola vere (io ho solo quelle cinesi, che sono di carta, credo) di un bel blu soooo cool;
  • Libro foto di Terzani;
  • Maglietta originale con logo “penelopebasta”;
  • Pantalone + maglia (con immagine RAMONES, very vintage);
  • Telefonino nuovo nuovo.

Mi pare tutto.

Questa settimana voglio andare a dormire alle 9 tutte le sere.

Nota Bene: rendiamoci conto che sto scrivendo una chiavica e i miei post sono noiosi e a volte illegibili. Ne sono un po’ preoccupata, ma voglio immaginare sia un fatto periodico. In fondo mi sono sparata almeno 3 mesi fitti fitti. Vedremo, cercherò di scrivere solo quando ho qualcosa da dire. Ci sarebbe anche da fare una piccola noterella sul valore reale dei rapporti tra persone, ma mi pare noioso già solo a dirlo, quindi gnente.

Buon inizio settimana a tutti.

Lesbica Isterica

Soundtrack: Madeleine Peyroux I’m Gonna Sit Right Down And Write Myself A Letter

– Questo è stato scritto venerdì scorso a Capri, lunedì racconto la NapoliFest –

Scrivere al computer sulla terrazza caprese dei fabolous, mi fa sentire un incrocio tra uno scrittore russo in esilio e una british lady in pieno grand tour. Sono una lesbica romantica e questo è quanto.

Terrazza, mare di marina piccola di fronte, acqua caraibica, sole caldo, sigaretta, zuppone latte e macine appena finito, R&B che colazionano sul tavolo. I Fab sono usciti, leoni in gabbia.

Sono le nove e mezza. Alba.

Rifletto da un paio di giorni. Poche conclusioni, molte domande. Il profFab mi cazzea e mi fa altre domande.

Mi domanda spesso com’è che noi lesbiche tendiamo inevitabilmente alle relazioni isteriche e quasi mai alle relazioni serene.

Noi lesbiche o io? Dal generale al particolare.

Si parla e si riparla di meccanismi, reiterazioni, loop, coazioni a ripetere, inutilia, atteggiamenti patologici.

Gira che ti rigira, il problema sono sempre io, le mie ossessioni, la mia necessità di creare bisogni per sentirmi sicura.

Prendiamo il gommone. Giriamo per mare. Vento fresco, sole caldo e meduse violette e cazzimmose (=cattive, subdole e maligne N.d.T.). Riesco lo stesso a fare qualche abluzione, il bagno no, acqua gelida e le piccole bastarde velenose sempre intorno. Mi occupo dell’ancoraggio, come quand’ero pischella e mio padre mi affidava 30 chili di piombo da lanciare in mare e annodare senza sbagliare (piccole lesbiche crescono). Toplesssssssss.

Sale il maestrale, si rientra. DocFab, al ritorno, mi permette di sfogare. Timone a me, motore a manetta, in piedi, ginocchia rigorosamente piegate per ammortizzare, vento ormai freddo e mare aperto.

Ricordi di preadolescenza. Gioia pura. Quasi esaltazione. Una meraviglia. Dimentico tutto, ma qualcuno mi manca. Avrei voluto condividere il momento non solo con la R**.

Un regalo che vale l’invalutabile. Difficile da spiegare. E’ la stessa allegria che mi mette l’andare in motocicletta, ma con qualcosa in più: il mare. Sorrido come un’idiota. Ma chi l’ha detto che gli idioti ridono? Sorrido forte e questo è quanto.

Penso che le cose vanno prese per quello che sono. Accadono, fanno felici per venti minuti, un secondo, 1 anno o a tempo indeterminato. Vale questo. Il resto mancia.

Lesbica isterica. Cos’è che voglio? Cosa vado cercando. Siamo ancora ai piedi di pilato, siamo ancora alla porta di ingresso. Venerdì ne faccio 45. Età adulta. Senza tema di smentite. Più adulti di così si comincia ad essere vecchi, credo. E mi capita ancora di subire imparate di creanza (=lezioni di educazione, N.d.T.) da bimbe di 10, 15 anni meno di me. Cazzona. Come se, ancora, diventare grande mi apparisse come una caduta di gusto e di principio. Sempre e comunque figlia di qualcuno. Sempre e comunque eccentrica da recuperare, con delicatezza che sennò si rompe. Affetti da mettere alla prova ossessivamente, amori da inventare, progetti da affogare, futuro da cancellare. Se guardo bene tra le scritte della mia faccia (rughe? Naaaa), è questo che vedo.

Forse mi piace ancora tutto questo, forse no. Un equilibrio è possibile? Sembra il titolo di un articolo di Focus. Quello che vivo ha sempre due facce, quella che mi inetta adrenalina e botox e ketamina e quella che mi mangia neuroni e terminazioni nervose. Sono una tossicodipendente emotiva. Voglio il flash (si chiamava così?) dell’ago in vena tre volte al giorno. Senza vado a rota. Senza pare io mi spenga, inesorabilmente.

Che ce ne facciamo di questa inutile poltiglia emotiva. Cosa se ne può tirare fuori. Dove sono le cose che chi mi ama vede e che per me sono inaccessibili. Santa pazienza, mi pare di dover ricominciare la psicoanalisi. Questo è inaccettabile.

Non è possibile che io non sia in grado di dirimerla, ‘sta cosa. Ho tutto quello che serve per farlo, cazzo, non mi mancano strumenti. Come mai mi ritrovo in questo pantano? Cosa evito, cosa nascondo, cosa preferisco non dire. Cos’è che non voglio fare e non posso non fare.

Perché mi pare che la questione sia questa. Non voler fare qualcosa che va assolutamente fatto, pena la retrocessione.

Cosa? – poi vediamo – Basta, che palle, poi vediamo è una frase che fa schifo. Voglio saperlo adesso. In questo istante, dopo una giornata passata come volevo passarla da anni, dopo attimi di esaltazione impagabili, dopo prove d’affetto che riempiono uno stadio. Lo voglio sapere adesso. Sia quel che sia.

Merito/demerito

Sono al lavoro, quindi niente musica e per le immagini vediamo.

Ho buchi di terapia sparsi, cosa che oggi mi fa incazzare, considerando che avrei molte cose da fare.

Per fortuna la Sonica si è offerta. Offerta? offerta.

Dunque dunque, non ho avuto modo di uploadare quello che ho scritto a Capri.

In compenso ho voglia di scrivere su un sacco di argomenti.

  1. Negli Stati Uniti ci sono almeno venti attrici che fanno cabaret al femminile/lesbico, in Italia?
  2. Esiste un guardaroba lesbico? secondo me sì, e va oltre i pigiamini scoordinati che, in fondo, sono composti da vecchie cose che proprio non si riesce a buttare (la felpetta della ex, il pantaloncino che si portava sulla spiaggia greca nel 1746, la magliettina del concerto dei Rolling Stones del 1980 e così via);
  3. Gli affetti si meritano? Trattasi di difficile domanda. Ce l’ho la risposta? No, non ce l’ho, accetto suggerimenti;
  4. Quando ti accorgi di evidenti incongruenze, contraddizioni e autosmentite in una persona altra da te, è il caso di farle notare o è meglio tenersele? Direi: DIPENDE. Dipende da come reagisce/rebbe l’altra da me. C’è chi non vuole sentire, c’è chi non lo ammette, c’è chi non ti crede, c’è chi non te lo permette, c’è chi ascolta e va in paranoia, c’è chi se ne fotte, c’è chi non aspetta altro, c’è chi lo vorrebbe ma se lo fai ti colpisce con un randello. però poi chiede scusa;
  5.  I consigli sono necessari? siamo davvero in grado di capire una persona altra da noi come sta, cosa sente, dove si trova e cosa può fare? Certo che no, ognuno pesca dal laghetto personale, dove allignano i propri pescetti e con le esche costruite con quello che si ha. Ma, senza il concetto di “consiglio”, esiste lo scambio? come manifesti l’empatia? e la partecipazione?
  6. E’ davvero possibile che una persona priva di affettività, passione, calore e comunicazione, possa ritrovarsi con decine di persone intorno che le vogliono bene comunque e con grandi manifestazioni di affettività, passione, calore e comunicazione? che poi è la stessa domanda di prima sul meritarsi gli affetti;
  7. Se ti svegli la mattina e soffri di pressione bassa, sei tabagista cronica, tendente al distacco neuronale e bisognosa di abitudini nevroticamente costruite negli anni per avviare un quotidiano necessario ma non desiderato e quindi continuamente soggetto a revisione/distruzione, sei una merda di essere umano?
  8. Se si ricevono cose ma non le si concepiscono in quel modo e in quel momento, se i gesti altrui vengono considerati insufficienti e non all’altezza delle aspettative, se l’importante è dare, mentre ricevere appare una faccenda poco seria e non accettabile, che tipo di persona si è? e, alla fine, si è una persona che merita gesti da parte di altro da sé? e diventa ovvio che la gente si sfracanti le palle di prodursi in gesti di attenzione incompresi e/o giudicati poco pregnanti?
  9. Esiste un modo vero di dire grazie a qualcuno?
  10. Mi hanno coinvolto in un meme, mi viene l’angoscia, più tardi eseguo il compitino, ma non ho blogger cui rimandare la palla. Devo cercare.
  11. R.S.V.P., questo è un post interattivo.

Mannò, massì, massù, maddai…

Soundtrack: Metric Succexy

Grazie. Certo sono veramente eccessiva e capricciosetta come una principessa pisellopoggiata, lo so.

Ci vuole ogni tanto.

Devo dire che in questi giorni, comunque, ho avuto poca voglia di scrivere, ma a Capri ne ho scritto che ne ho scritto.

Di sopra ci sono i post che ho scritto lì.

Qualcosa su come vestono le lesbiche arriverà, così come cose sul mio lavoro, sulla categorizzazione delle lesbiche alternative, sui passaggi standard delle chiusure di rapporto, sulle persone importanti della mia vita.

Dalla settimana prossima, quindi ricomincio con cose nuove.

Gesù, mi son fatta lo schemino, sono veramente ossessiva.

Mi si è rotto lo stereo della macchina, una sofferenza indicibile.

Ho fatto una cosa nuova, dopo aver tentato di cambiare il template e dopo aver abbandonato l’impresa, ho deciso di aggiungere informazioni musicali.

Quindi, sotto la parola “soundtrack” si trova il link di wikipedia sulla band selezionata come sndtrack, appunto, sotto il nome del gruppo il sito ufficiale e, dove possibile, sotto il titolo si trova il testo.

Precisina precisina.

Da oggi sono in preparativi per il double+1 party del mio compleanno.

Venerdì: “Penelope Birthday” in Rome, sabato “Penelope Birthday Reprise” in Naples (in contemporanea ad altre due e dico due feste di compleanno di amiche e quindi senza alcune persone) e , domenica, “Penelope Birthday again” con chi non avrò visto sabato.

Per una che sta con le pezze al culo, avviare tre giorni di festeggiamenti è veramente meraviglioso e fuori dalla realtà.

Per questo. D’altra parte ne sono 45, che dobbiamo fare? numero pieno, festeggiamento pieno.

Allora, a ben pensarci e visto che non avrò il tempo di scrivere, per ora tenetevi questo, poi uploado le cose già scritte una per volta, così avete cose nuove da leggere e io non mi sento in colpa.

Ovviamente avete creato un mostro, ne siete consapevoli.

Ovviamente ero già un mostro, ne sono consapevole.

Ovviamente non potevo stare senza il blog.

Avrei ricominciato comunque la settimana prossima.

Ma così è bellissimo.