Perché a un certo punto, le cose scorrono

Soundtrack: Talking Heads – Take me to the river 

Tante cose.

Persino difficili da districare.

Emozioni di vario genere e tipo, fluire di cose, ritorni al futuro, delicatezze dell’anima, calore e colore e candore e calma e agitazione.

Perché potrei mettermi qui e spiegare, per filo e per segno, l’incredibile mole di cose e fatti e persone che ho incontrato e accompagnato in questi due giorni. Ma i fatti non contano un cazzo.

Conta quello che significano, conta il sangue che pompa, contano le parole che si agganciano e la potenza degli scambi. E poi se ci penso, già i fatti non hanno più un ordine cronologico nella mia cassa toracica. Quindi nun se po’ ffà.

Sul piano pratico, non ho fatto la spesa e non ho pulito casa. Lo sconterò tutta la settimana. Ma mi sembrava veramente una cosa orribile fare una o l’altra o entrambe le cose. Un sacrilegio.

Una cosa, però, la devo raccontare.

Sono stata, ieri pomeriggio, all’Ara Pacis, qui a Roma. E’ da premettere che:

  1. non sono mai andata (o l’ho fatto veramente poco), in questi tre anni, in giro per Roma a vedere le cose uso turista, perché in genere mi sfracanto le palle;
  2. essendo dotata di animo grezzo e ignorante, l’arte mi annoia quasi quanto un convegno di logopedia.

Invece è stata una faccenda di rara bellezza e delicatezza. Non credo fosse per l’Ara Pacis in sè (che quattro vecchie pietre incollate so’), ma per come il mio sguardo è stato cambiato e condotto dove doveva andare.

Le due amichette della Sonica (che il Signore abbia in Gloria Lei e C*&G*), quelle nordiche ma non svedesi di cui al post precedente, mi hanno fatto vedere cose che voi umani non potete immaginare. No, cose che io umana non potevo immaginare.

E sembra niente, ma il risultato è stato un terremoto che ha abbattuto le dighe dei castorini che hanno occupato le mie vene e le mie arterie emozionali trascinando tutto verso il mare, senza dolore e senza traumi. Senza recriminazioni e senza accartocciamenti. 

E i castorini se ne sono andati affanculo.

E il fiume ha ricominciato a scorrere.

E le cose scivolano e puliscono e rinfrescano questa palude del cazzo nella quale ero seduta.

Ma ho molto altro da raccontare.

Una città che non si nasconde più, persone che vale la pena, recupero della memoria della cura, dell’attenzione, dell’accoglienza, i dubbi sulla natura delle cose e la sottile sensazione che, sì, le cose non sono davvero più così, ho quello che mi merito, ne sono certa, nel bene e nel male.

Scrivo con qualcuno accanto, stasera, che ha voluto fare una visita allo zoo di Penelope e guardarla zampettare sulla tastiera. Questo rende stranamente più difficile scrivere, per una serie di buoni motivi che non sto qui a spiegare che non sono cazzi vostri.

A parte, quindi, questa immane fonte di distrazione, non ho ancora finito di rimettere tutti i pezzi al loro posto e capire cosa mi è successo.

Ma perché mai dovrei sapere qual è il posto delle cose?