Soundtrack: Feist – 1 2 3 4 (l’ha detto sonica)
Ma tanto ho i miei dubbi che qualcuno di voi realmente ascolti la musica che metto. Eppure vi assicuro che la lettura diventa più piacevole e spesso si chiariscono un paio di cosette.
Ho appena finito di stirare una quantità di panni pari al totale della produzione nazionale cinese e, stirando anche mappine e cazette, ho scritto almeno 65 posts nella mia capa a vapore.
La mancata partecipazione di questi giorni mi preoccupa e mi sono chiesta, se per caso non stessi andando su un piano personale in qualche modo imbarazzante.
Per me lo è. Bene, torniamo alle sane e generalizzate masturbazioni mentali.
Qualche tempo fa il mio colleguccio psicologo – e sottolineo psicologo, lo devo scrivere così per forza, non posso farne a meno – mi ha dato un consiglio prezioso, molto. Dopo aver ascoltato 37 minuti di mie pippe (ma tanto lo fa anche per mestiere, sarà pure abituato), mi ha detto: “scrivi quello che, secondo te, è il comune denominatore delle tue relazioni – di coppia e non – poi, fra un mese, torna a rileggere”. Nel frattempo mi ha dato anche della pipparola freudiana, e torto non ha. Does anyone know che mi sono sparata 6 anni di psicanalisi freudiana su lettino tre volte alla settimana in tenera età? Mi ha salvato la vita, per quanto suoni irrimediabilmente vintage.
Mi è sembrato un consiglio meraviglioso per un po’, poi ho cominciato a pensare per davvero al “comun denominatore” e mi sono spaventata.
Shining, Rocky I-II-III, Hannibal Lecter, Candy Candy, Forrest Gump, Bambi, Mork & Mindy, l’incredibile Hulk, Belfagor.
Ne farò un post con password, prima o poi. Farò un post con password anche di un’altra cosa. Quando accadrà. Se accadrà. Quando le sfighe cosmiche smetteranno di abbattersi su di me ed io la smetterò di vergognarmi di essere una lesbica romantica.
Tanto per: ier sera, tornata a casa in stato confusionale totale (no drugs-no alcohol, sono una brava ragazza), non mi sono affatto resa conto di NON aver parcheggiato, ma di aver lasciato la macchina così, per strada, senza costrutto. Sono scesa, ho chiuso, sono andata a dormire. Stamattina la macchina non c’era, hanno dovuto portarla via con il carro attrezzi perché impediva il passaggio al bus.
90 euro di coglionaggine post-adolescenziale (forse pre-adolescenziale, direi fase “il tempo delle mele”). Che meraviglia. Non mi sono neanche incazzata. Da non credere.
Questi giorni sono governati da gesti incontrollati, lapsus fantasmagorici, confusione mentale, delirio fluente, iperreattività al calore altrui e mancata gestione delle conseguenze di qualsiasi gesto possibile. ‘Na bimba di 6 mesi.
Nel frattempo coltivo: la mia illusione di avere ogni cosa sotto controllo, la mia sicumera, la mia mammolite, la mia precisa programmazione di eventi e movimenti; e procedo convinta di sapere quello che faccio.
Mentre mi contorco appresso al mio utero in fase lunare. Tanto per.
Piccola (ma non tanto), nota a margine. Ho messo la webcam di Positano, si vede il panorama dalle Sirenuse. E mi è partito l’Orinoco dei ricordi. Le cose che fanno di me una 45enne vintage, vinciuta e vanesia.
Perché Positano è un brandello di cuore appeso alle costole. Dai 6 anni in poi. Il posto dei sogni bambini e della vita senza regole, il posto della solitudine e del delirio totale. E’ dove sono cresciuta senza scarpe (piccola chiattilla radical-chic…) e copricostume a righine bianche e blu, dove ho perso freni e controllo. In barca da sole, ragazzine di mare, a 12 anni fino a Capri, notti drogatissime e promiscue, marinai e principi, donne meravigliose e pescatori d’apnea. Fratellastri maledetti e belli da mozzare il fiato, amici complicati che ballavano coi polipi. Pelle spugnata e salata. Senza voce nelle giornate di libeccio per il troppo urlare affrontando le onde. Ancore perse e ritrovate, motori che affondano, baci stupiti, piede marino, sorgenti nascoste, amicizie morbose, pomeriggi aspettando notte, notti aspettando l’alba, sul mare, guardando li galli e immaginando ballerini russi che danzano nella torre.
Positano ha scalinate silenziose e scure, da imparare a memoria per non farsi male. Porte e finestre che chiudono segreti condivisi, incastri illegali, genitori discutibili e giganteschi. E musicisti in deliquio che perdono i capelli nei motori dei gozzi, ragazzini efebici che muoiono fucilati da re in esilio, uomini di mare che ci restano, nel mare. Le canne, l’alcol, le pere.