Com’è buona la birra

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Soundtrack: Prodigy – Firestarter

Stanotte, dopo quasi 6 (dico sei) anni, ho bevuto BIRRA!

Ero deliziosamente alterata, malgrado le maldicenze. E non mi sono sentita male. E mi ha preso pure “peace and love”.

E sono state delle splendide 24 ore, perché le persone valgono sempre e comunque la pena, malgrado le incompatibilità, i miei pipponi mentali e le “piccole modifiche della realtà”.

Ho dormito 4 ore l’altra notte, stanotte sono rientrata alle 6 e svegliata all’una e mezza e se non mi sbrigo a fare finta di pulire casa prima che torni Elide, ha ragione se mi taglia la gola.

Ho girato per mostre (al Palaexpo, bello) e locali (Tumbler, Beba, Contestaccio), ballato musica fantastica e bevuto, risposto male a tutti quelli che mi dicono di non fumare perché ho la bronchite, preso il sole e dormito con chi volevo. A** mi ha regalato una maglietta con sopra scritto “Vintage” (dovrò togliere gli strass, altrimenti posso solo attaccarla in camera). Il tutto in ordine sparso e senza pause.

Cos’altro? ah sì, ricevuta mail intitolabile “Adesso parlo io” e letta mail senza un solo battito cardiaco in più o in meno. Ho anche realizzato che sono lunare come la marea e che stamattina (?) non sono capace di formulare un pensiero sensato e scritto decentemente.

Ma che meraviglia. Certo che recupererò lo strapazzo nel 2016, ma, vista la giornata di oggi, me ne fotto.

Sono stanca ma felice.

Ah, le femmene…

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Soundtrack: Erykah Badu – Bag Lady

A volte nutro sentimenti di profondo affetto e comprensione per gli uomini. Inteso come genere maschile. Mi capita raramente, ma capita.

E’ che loro hanno a che fare con noi. Genere umano femminile.

Vero che sono pieni di inutili pregiudizi e immani quantità di stereotipi, ma molti li abbiamo confezionati noi. Impacchettati e serviti su vassoietti lucidi.

Perchè non c’è mai una cosa, dico una, che sia quella che appare.

Essendo io appartenente anche al genere umano lesbico, mi capitano cose che rasentano la fantascienza e, per giunta, sono costretta/portata a capire, interpretare, giustificare. Ma a volte, che palle. Altre volte, in quanto in forza al genere femminile, mi scemisco a cercare di capire e interpretare cose che non hanno nulla da significare.

Vorrei faceste mente locale sul rischio di schizofrenia al quale sono soggetta. Perlopiù le due parti di me (femmena e lesbica), pensano contemporaneamente, decidono contemporaneamente e interpretano in simultanea due cose diametralmente opposte.

Perché la terapista “man ‘n cuollo” mi si appoggia addosso? e perché lo fa solo con me? è una giovane etero in procinto di matrimonio e con uno splendido sorriso. Io non sono né androgina né Angelina Jolie. Le risposte sono due:

  1. non è vero, questa cosa non succede e te la immagini, lesbica rincoglionita che non sei altro;
  2. sì ma però non sorride così a tutte le altre, e poi certe cose si sentono.

Capirete che non se n’esce ma, d’altra parte, perché mai le donne devono avere questo vizio di spargere a destra e a manca contatti fisici senza prima sincerarsi dell’orientamento sessuale e della condizione sessuale del loro prossimo?

Altro caso difficile da dirimere (persona altra, ovviamente): dopo avermi detto e mandato a dire che non mi vuole, dopo aver detto e mandato a dire che le aggrada solo una sincera e profonda amicizia, dopo telefonate quotidiane, sms in media di 5 die, chattate terminate all’alba e scambi di battute acute che neanche gli sceneggiatori dei film hollywoodiani anni 50, perché mi si sparisce all’improvviso e non mi si risponde più agli sms? Abbiamo alcune ipotesi da vagliare.

  1. perchè le hai detto che hai incontrato una persona interessante e si è offesa;
  2. non dire cazzate, aveva solo qualche impegno e non ha avuto modo;
  3. ma se ha avuto modo, prima, anche nelle più deliranti delle situazioni, perché ora no?
  4. perché voleva amicizia e tu sarai stata fastidiosa;
  5. ma quale occasione migliore per “coltivare amicizia” di questa che vede me occupata in altro?
  6. te la canti e te la suoni, smettila di vivere in una realtà parallela.

E si potrebbe continuare all’infinito.

Abbiamo una percentuale di interpretabilità pari al 98%. Qualsiasi azione può essere quella, il suo perfetto contrario ma anche una serie di passaggi intermedi che ricordano il paradosso di Zenone.

Qualsiasi risposta o affermazione è relativa a momento, ora del giorno, fase del ciclo, attività in corso, programmazione della giornata e aspettative a lungo termine. Al cambiare di uno solo di questi parametri, qualsiasi risposta o affermazione è suscettibile di modifica, anche sostanziale.

Altra caratteristica fondamentale, è lo smodato uso della frase “non posso” in luogo del più sincero ed appropriato “non voglio”. Noi donne siamo fermamente convinte di non essere soggette ad autonomia di opzione, ma ad una serie infinita di variabili indipendenti dalla nostra volontà che governano le nostre scelte e ci costringono a non fare ciò che vorremmo, se solo fosse possibile, fare con immenso piacere.

Infine, altro tipico e peculiare comportamento femminile: trattenersi dal fare una cosa. Ovvero volerla fare, desiderare di farla, anelare, morire dalla voglia e NON farla, godendo intimamente della nostra capacità di resistere all’istinto.

Perché noi lo sappiamo fare benissimo.

 

 

Post Vintage

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Soundtrack: The knack – My sharona

In attesa di un ritorno alle origini lesbiche di codesto blog, avevo in mente un post sul mio lavoro. Una telefonata di poco fa, mi ha ricordato quanto sia difficile il quotidiano di ognuno e per ognuno.

Comunque, accendendo la radietta cinese e sbariando (=perdendo tempo N.d.T.) sulla manopolina, ho beccato una radio che si chiama “VINTAGE RADIO”. Una folgorazione. In senso metaforico.

Duran Duran, Run Dmc, Imagination, Propaganda, Falco, Depeche Mode, Eurythmics. Qui si cospira per riportarmi indietro nel tempo, è evidente. Va a sapere perchè.

Di solito non mi piace ricordare cose così lontane, mi sa di una melensa malinconia che proprio non conosco. Ma dato il ricorrere della cosa, tanto vale aprire le valvole.

Così mi sono ricordata del periodo dell’alto mesozoico, quando ero etero e frequentavo le discoteche il sabato sera. Ero costantemente fidanzata peraltro. Di loro (i fidanzati) non ricordo più tutti i nomi, che assurdità. ma ricordo le cassettine che facevo. Con tutta questa musica qua e, in genere, sul finale tagliavo e cucivo frasi da vari brani e concludevo con la scena delle ingiurie della Gatta Cenerentola.

Ve ne strafotte qualcosa?

Credo niente. Però, per chi c’era, facciamoci un giretto mischiando un po’ tra alti 70 e pieni 80.

In tre, sul boxer blu della ziasaimon, inverno e capelli bagnati e niente giacca che poi devi pagare il guardaroba, su verso il Teorema tutti i sabati possibili e impossibili, pedalando quando serve. Orario di ritorno: 22 e 30 (il mio, il resto del mondo più tardi). I dj amici, le palle riflettenti, il volume a palla che ti rintrona fino al giorno dopo. La ricerca di un passaggio al ritorno da uno dei ragazzi dotati di vespina con sella lunga – sempre ottima per andare A tre, qualche volta anche A quattro -. I cavalli (=impennate N.d.T.) col vespone nella curva di via Orazio.

Gli adolescenti hanno culo per default, sennò sarebbe ecatombe e fine della specie.

La Jungla, la Mela, l’Accademia, il Teorema, il Papillon.

Spalline gigantesche, pulloverini con colori inverosimili, capelli gonfi a dismisura. Canne al pomeriggio per non farsi sgamare al ritorno a casa. Pantalacci orientaleggianti, camicie positanesi,  jeans Closed/Fiorucci, maniche a pipistrello. Born to be Alive.

Santa pazienza che orrore.

Ti vuoi mettere con me? Non lo so, ci penso. Lynyrd Skynyrd.

Divanetti bordeaux con coppie preda di insaponamenti ingarbugliatissimi. Pomiciare. Ballare. Protestare quando il dj cambia genere e passa dal rock alla disco. Un sit in sulla pista: “aridatece i led Zeppelin”.

Rapper’s Delight. Portavo anche le gonne a volte. Si fumava, si sudava, si beveva ogni genere di schifo alcolico. E Police e Blues brothers si ballavano saltellando ininterrottamente. L’invenzione dell’aerobica.

Fuori qualche genitore che ritira figli, dentro qualche madre che da in escandescenze per l’amoralità del luogo. A volte polizia.

Penso che è meglio se ci lasciamo. Sì, magari è meglio. Lacrime e disperazione sulla spalla di un altro/a che era già lì. Prendiamoci una birra. Bette davis eyes.

E non sapevo che i Village People erano ricchioni…

Ma qualcuno si ricorda quando e perché si portarono il fabolous nel cellulare (camion, non telefono) dei carabinieri?

 

Raffreddore smisurato

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Soundtrack: Nina Hagen – 99 luftballons

E’ un post noioso che la metà basta

La soundtrack è questa perché il prof fabolous, in queste vacanzette di pasqua, mentre io e il doc faboluos cercavamo di sopravvivere all’avvento del peggior raffreddore della storia, ci ha massacrato di heavy metal anni ’70 e ’80 e perché mi ricorda una cosa strana accaduta dopo un concerto della Hagen a Naples una ventina d’anni fa.

Dunque sono devastata da un raffreddore allucinante. Mi sento come se avessi 39 di febbre da tre giorni ma, invece, ho un miserabile 36,8 (altresì detto: 37 meno 2), mani ghiacce – granny’ style – delirio facile e rincoglionimento feroce.

In questi giorni, di nuovo, ho incontrato persone che non vedevo da 10 anni (altre, però, non le stesse), ascoltato musica che non sentivo da almeno 20. Il fabolous ha scoperto l’orgasmo via e-mule e non ce ne ha risparmiata una che fosse una, persino gli iron maiden e i black sabbath, come fa a ricordarseli? quando li ascoltava? io gli ho infilato nella playlist anche i blue oyster cult ma, purtroppo, non ricordo minimamente il nome del pezzo che preferivamo. Mentre ricordo che mi disegnavo il logo in faccia. Ma quanti anni avevo? Per queste informazioni ci vuole ziasaimon.

Vagheggio e deliro. Ma dovevo scrivere perché non ce la fo più a vedere sempre lo stesso post.

Dicevo reincontrare. Ma anche valutare qualcosina in più sulle persone con le quali ho a che fare. E ho anche parlato di argomenti che non toccavo da lustri con il fabolous. Andiamo con ordine.

Pranzo pasquale in famiglia (?): in realtà non c’è una famiglia, ci sono persone collegate tra loro attraverso fatti, eventi e legami non propriamente familiari. C’era solo il pater, in senso stretto.

Il pater gode di ottima salute, ci seppellirà tutti: è programmato amorevolmente dalla figlia di primo letto della seconda moglie (vado pazza a scrivere questa cosa), nutrito da un’architetta innamorata, coccolato dalle giocatrici di bridge del suo circoletto privato, intrattenuto dalle signore del cineforum.  Cosa altro? il labrador (femmina) gode di ottima salute. Il sospetto che ho, a vederlo così sorridente e tirato a lucido è che, finalmente, si è reso conto di avere realizzato il sogno di tutta la sua vita: l’harem.

A 79 anni.

C’è speranza.

Mi ha fatto gran tenerezza con i suoi modi inadeguati, orseschi e totalmente inadatti all’interazione parentale. A me sembra anche inabile all’interazione sociale, ma non mi pare ciò sia un handicap nella sua vita.

Al pranzo ho incontrato una pletora di parenti acquisiti che davvero non vedevo da 10/15 anni. E non mi sono sentita la “piccola de casa”, strano a dirsi. Mi sono anche comportata benino, da personcina ammodino, senza indugiare nelle mie grossieraggini tipiche o dando sfoggio di grezzitudine intrinseca.

‘Na Signora. Mah.

In qualche modo questo ha a che fare con la mia rivisitazione dei rapporti con alcune persone che frequento solitamente. Improvvisamente mi sono chiesta: ma ci vedo bene? quello che vedo è realtà o è, again, quello che voglio vedere? sono rapporti veri, aperti o nascondono altro? trattasi di amicizie o conoscenze? perché può essere facile, per me, dare un peso a qualcosa che non ne ha. Ho questa tendenza. E a me interessano ancora rapporti di questo tipo?

Ci devo pensare ancora un po’.

Infine, con il fabolous, tra metal/punk, starnuti e attacchi di tosse che sembro un vecchio cane col cimurro, abbiamo parlato di Massimo. La settimana scorsa ricorrevano gli 11 anni dalla sua morte, sua madre ci chiama, uno per uno, ogni anno per “invitarci” alla messa. Quest’anno non mi ha chiamato, ci sono rimasta male, pur sapendo che non ci sarei potuta andare neanche stavolta. In fondo ci andiamo per lei, immagino che la maggior parte di noi potrebbe farne a meno, altrimenti. 

Certo che se fumo mentre tossisco non è che mi rendo la vita più facile.

Vorrei parlarne, di Massimo, in questo blog, prima o poi. Avrei molte cose da dire e raccontare.

Comunque, il ricorrere di questi flashback esistenziali, mi preoccupa. Preoccupare no, non è la parola adatta. Mi fa venire in mente che, a volte, può essere utile andare a recuperare qualcosa che si è perso lungo la strada. Che forse alle spalle della storia di coppia u.s., c’è qualcosa che non ho fatto, non ho detto, non ho preso.

Ormai so bene che i sei anni con S** sono stati la migliore fuga dalla realtà che io mi potessi organizzare. Sono stata bravissima, non c’è che dire. Perché prima di incontrare lei mi ero ritrovata senza più nulla. Proprio nulla, almeno dal punto di vista pratico. E avevo voglia di capire cosa fare di me così come avevo il terrore di capire cosa fare di me. Ho scelto il terrore.

Non hai vinto ritenta.

Movimento per la vita? VAFFANCULO

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Soundtrack: Meredith Brooks – Bitch

Stasera, mentre cercavo di fermare l’autoriproduzione di panni da stirare, ho ben pensato di accendere la televisione. Cosa che non faccio da un paio di mesi, pagando inutilmente Sky.

Mi paralizzo su Anno Zero, dibattito ennesimo sulla legge sull’aborto, sull’aborto, sul diritto alla vita, sulle donne che abortiscono, sulle istituzioni dove si abortisce.

Ci sono due cose che mi hanno fatto saltare il sistema nervoso e, una delle due, mi procura anche dolore perché mi costringe a decretare la fine di miti e riferimenti della mia formazione (mentale e culturale).

Chi era quel coso inutile con gli occhiali da presbite? uno che partorisce? uno che resta ingravidato? uno che ha le mestruazioni? se è così, deve essere uno scherzo della natura, perché sembrava un uomo. In particolare sembrava un uomo che sosteneva che una donna non è in grado di decidere da sola, che avere figli è un dovere in qualsiasi – e sottolineo qualsiasi – condizione e, infine, che il problema è solo pratico e ideologico: se dici ad una donna che se abortisce uccide, le fai cambiare idea. Senza contare che ha avuto il coraggio tipico degli unti del signore di impedire la libera espressione di una donna che era lì in qualità di disabile devastata e disartrica nell’espressione verbale (e Santoro, pure tu però).

Poi c’era una tipa “faccio-finta-che-so’-d’accordo-colla-libertà-di-scelta-in-realtà-manipolo-dati-per-fare-spaventare-tutti”. Una che afferma che sì, in Italia gli aborti sono diminuiti e che c’è la media più bassa in Europa, malgrado la mancanza di informazione preventiva, malgrado la mancanza di educazione sessuale, malgrado la mancanza di posti dove andare ad abortire senza essere sfracantati le palle da scassacazze travestite da sante e martiri e vergini; e dice che è STRANO. Perché nel resto dell’Europa, dove tutto questo c’è, il numero degli aborti non diminuisce.

Strano? Che cosa è strano? Non è molto più strano che non aumentino il numero delle nascite in questo paese di merda? Non è strano che il numero di figli sia ridotto a 1 per famiglia?

Mi provoca dolore, invece, vedere due donne che rappresentano la mia mitologia del femminile: Emma Bonino e Franca Rame, cercare parole da compromesso, accettare ingerenze inaccettabili, metterla sul piano del penoso e compassionevole, consentire al coso inutile di dire cazzate in libertà e tacere dell’unica cosa che è vera e che ogni singola donna sulla faccia di questa terra sa nel momento esatto in cui ha il menarca.

Ovvero che deciderà lei e solo lei SE avere un figlio e che nessuno potrà impedirle di averlo o non averlo se non uccidendola o privandola della libertà materiale (ma non è sufficiente neanche questo).

Dalla notte dei tempi esistono metodi per abortire. In ogni gruppo antropologico, regime religioso, livello culturale, epoca, luogo geografico dell’intero mondo, esistono metodi per abortire.

Non c’è nulla che si possa fare, punto e basta. E mi sono pure rotta il cazzo di dover trovare giustificazioni pratiche, sociali ed emotive per chi abortisce. Ce n’è solo una: “Io, questo figlio, non lo voglio”.

E siccome siamo noi che gli diamo pezzi di noi stesse per crescere e formarsi, siamo noi che ci spariamo 9 mesi da incubo fisico, morale e pratico, che rischiamo la nostra, di vita (nel senso letterale o quotidiano), siamo noi che ce lo attaccheremo al seno dopo e che ce lo sciropperemo finché campiamo, che sia biondo con gli occhi azzurri e ingegnere, autistico o Erica e Omar, se non lo vogliamo, non lo avremo.

E non è un diritto, è un fatto.

Ripeto: rivoglio le femministe incazzate degli anni 80, quelle che aggredivano e non facevano parlare, quelle che insultavano e si isterizzavano ad ogni critica, anche la più velata, quelle che non ne facevano passare una, quelle che prendevano a schiaffi e menavano calci. Loro, trent’anni fa, hanno costretto un paese intero a fare finta di essere progressista. Era una finta ma andava bene così, perché quello che si è ottenuto è stato parecchio. Voglio donne che si sfilano le scarpe coi tacchi a spillo e le impizzano sul cranio degli idioti che cercano di trasformarci nell’Islam europeo.

Poche sere fa guardavo con un paio di amichette mie, il vecchio sketch della Marchesini nella parte della sessuologa. Abbiamo convenuto che, dieci anni dopo, ovvero ora, quel pezzo non lo farebbero passare in TV. Troppo esplicito, troppo vero e persino troppo educativo (lesbiche d’Italia, andatevi a rivedere la parte sulla spiegazione dell’ubicazione del punto G!).

Per l’ennesima volta sottolineo che tutto questo bailamme serve ad evitare che a qualcuno venga in mente, during la campagna elettorale, di parlare di diritti umani (e degli omosessuali di conseguenza).

In questi giorni io non vorrei incazzarmi, sto tanto bene seduta in questo giardinetto a guardare fiorellini e mosche che svolazzano, ma mi si tira per i capelli, santa pazienza.

 

Buonanotte a tutti

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Soundtrack: A.C. Jobim, Elis Regina – Aguas de março 

Ho un sonno che me ne muoio e devo pure rifare il letto, che palle. Vorrei il teletrasporto delle lenzuola.

Buonanotte ai numeri che risultano stranamente elevati per un post sotto password, buonanotte ai dementi che scorrazzano sotto casa mia (c’è stata la partita?).

Buonanotte a chi non dorme per scelta e chi per necessità, ai bimbi spaventati, agli adulti terrorizzati, a chi guarda i fiorellini e a chi deve imparare a respirare. Buonanotte a chi rinasce e a chi rimuore ogni volta che si lascia andare.

Buon sonno a chi si legge i blog a tarda notte, che ci vuole coraggio e molta noia dentro.

Alle donne di sostanza, agli uomini con le palle, alle sorelle cretine e ai fratelli cinici e bari. A chi ha pensato che nella vita l’unica è sistemarsi e a chi si è sistemato in una bara. A quelli che sono calabresi dentro, a quelle che sono gran signore, a chi si strugge per la futura lontananza (e buon compleanno), a chi vive suonando. E a chi voleva altro e si ritrova questo, a chi sa volere molto bene e a chi sa volere molto male, ognuno fa quello che può. Nottenotte alle voci nuove, a quelle che raccontano le cose a me epperò non scrivono più per sé. Alla nipote workaholic, alla sorella curiosa e sorridente. Alle terapiste “man ‘n cuollo”, ai colleghi di lavoro che mi fanno ridere in quantità, alle segretarie che non si riescono ad incazzare con me (che sono troooppo simpatica). Buonanotte a me che ho una espressione deficiente, buonanotte a chi legge, si è fatto tardi, vada pure a dormire, che domani è giovedì, che è prima di venerdì, che poi è finalmente sabato e c’è pure pasquetta lunedì.

Sono giorni che vorrei scrivere cose divertenti e invece mi ha preso il pippone affettuoso/poetico che non mi molla più. Che sarà?

 

L’avevo detto

che mettevo un post con la password…

:mrgreen:

Per intanto vi racconto che stasera, per oltre un’ora, la R** e la Sonica si sono incaponite su un delirio internettiano riguardante un video che si chiama “2 girls 1 cup”.

Un video che pare comporti, in chi lo guarda, immediate reazioni di vomito e ribrezzo assoluto. Youtube è pieno di video di reactions al video base. Non so di che parla, non sono riuscita a trovare spoilers…

Io, non lo voglio vedere, R** non lo vuole vedere ma vuole filmare chi lo guarda, Sonica lo vuol vedere.

Se qualcuno ne sa qualcosa, me lo racconti pliz.

Aggiunta del pomeriggio (che, miracolo, ho un ciccio piccolo assente).

Stamattina un tipo ha cercato di farmi la truffa dello specchietto (quella che tu passi, ti danno una botta sulla macchina e poi sfracantano le palle che gli hai rotto lo specchietto retrovisore e vogliono soldi subito).

Ero sola su una strada interna di campagna che mi porta qui al lavoro. Sapevo di cosa si trattava, non sapevo come uscirne. Ma me la sono cavata con 10 euro.

Sono un fenomeno a fare la parte della piccola fiammiferaia, devo dire, e sono stata convincente. Ma nell’agitazione non ho preso targa né fatto cose che sarebbe utile fare in tal momento. Sono una vera banana.

Comunque, cosa davvero esilarante se non fosse agghiacciante sotto altri aspetti, è stata la richiesta di pagamento in natura: “Signora, se non ha soldi allora potrebbe pure fare un’altra cosa”. Mi dice il calabro truffaldino.

Mi ha fatto una pena esagerata. E comunque, con l’aria indignata e risentita sono riuscita ad andarmene dall’incatastamento. Peraltro tremava, il sempre calabro millantatore.

Mi sono preoccupata un po’, fintanto che non riuscivo a sganciarmi e, dentro dentro, pensavo a quante chiacchiere faccio del tipo “spacco qua, spacco là, se capita a me gli faccio un culo così, questo, quello e quell’altro”.

Chiacchiere e distintivo.

La verità è che reagisco come una BANANA.

Ohh, c’è da registrare che, evidentemente, un mio pompino varrebbe almeno 50 euro.

Ci penserò.

 

Le cose difficili

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Soundtrack: Feist – 1 2 3 4 (l’ha detto sonica)

Ma tanto ho i miei dubbi che qualcuno di voi realmente ascolti la musica che metto. Eppure vi assicuro che la lettura diventa più piacevole e spesso si chiariscono un paio di cosette.

Ho appena finito di stirare una quantità di panni pari al totale della produzione nazionale cinese e, stirando anche mappine e cazette, ho scritto almeno 65 posts nella mia capa a vapore.

La mancata partecipazione di questi giorni mi preoccupa e mi sono chiesta, se per caso non stessi andando su un piano personale in qualche modo imbarazzante.

Per me lo è. Bene, torniamo alle sane e generalizzate masturbazioni mentali.

Qualche tempo fa il mio colleguccio psicologo – e sottolineo psicologo, lo devo scrivere così per forza, non posso farne a meno – mi ha dato un consiglio prezioso, molto. Dopo aver ascoltato 37 minuti di mie pippe (ma tanto lo fa anche per mestiere, sarà pure abituato), mi ha detto: “scrivi quello che, secondo te, è il comune denominatore delle tue relazioni – di coppia e non – poi, fra un mese, torna a rileggere”. Nel frattempo mi ha dato anche della pipparola freudiana, e torto non ha. Does anyone know che mi sono sparata 6 anni di psicanalisi freudiana su lettino tre volte alla settimana in tenera età? Mi ha salvato la vita, per quanto suoni irrimediabilmente vintage.

Mi è sembrato un consiglio meraviglioso per un po’, poi ho cominciato a pensare per davvero al “comun denominatore” e mi sono spaventata.

Shining, Rocky I-II-III, Hannibal Lecter, Candy Candy, Forrest Gump, Bambi, Mork & Mindy, l’incredibile Hulk, Belfagor.

Ne farò un post con password, prima o poi. Farò un post con password anche di un’altra cosa. Quando accadrà. Se accadrà. Quando le sfighe cosmiche smetteranno di abbattersi su di me ed io la smetterò di vergognarmi di essere una lesbica romantica.

Tanto per: ier sera, tornata a casa in stato confusionale totale (no drugs-no alcohol, sono una brava ragazza), non mi sono affatto resa conto di NON aver parcheggiato, ma di aver lasciato la macchina così, per strada, senza costrutto. Sono scesa, ho chiuso, sono andata a dormire. Stamattina la macchina non c’era, hanno dovuto portarla via con il carro attrezzi perché impediva il passaggio al bus.

90 euro di coglionaggine post-adolescenziale (forse pre-adolescenziale, direi fase “il tempo delle mele”). Che meraviglia. Non mi sono neanche incazzata. Da non credere.

Questi giorni sono governati da gesti incontrollati, lapsus fantasmagorici, confusione mentale, delirio fluente, iperreattività al calore altrui e mancata gestione delle conseguenze di qualsiasi gesto possibile. ‘Na bimba di 6 mesi.

Nel frattempo coltivo: la mia illusione di avere ogni cosa sotto controllo, la mia sicumera, la mia mammolite, la mia precisa programmazione di eventi e movimenti; e procedo convinta di sapere quello che faccio.

Mentre mi contorco appresso al mio utero in fase lunare. Tanto per.

Piccola (ma non tanto), nota a margine. Ho messo la webcam di Positano, si vede il panorama dalle Sirenuse. E mi è partito l’Orinoco dei ricordi. Le cose che fanno di me una 45enne vintage, vinciuta e vanesia.

Perché Positano è un brandello di cuore appeso alle costole. Dai 6 anni in poi. Il posto dei sogni bambini e della vita senza regole, il posto della solitudine e del delirio totale. E’ dove sono cresciuta senza scarpe (piccola chiattilla radical-chic…) e copricostume a righine bianche e blu, dove ho perso freni e controllo. In barca da sole, ragazzine di mare, a 12 anni fino a Capri, notti drogatissime e promiscue, marinai e principi, donne meravigliose e pescatori d’apnea. Fratellastri maledetti e belli da mozzare il fiato, amici complicati che ballavano coi polipi. Pelle spugnata e salata. Senza voce nelle giornate di libeccio per il troppo urlare affrontando le onde. Ancore perse e ritrovate, motori che affondano, baci stupiti, piede marino, sorgenti nascoste, amicizie morbose, pomeriggi aspettando notte, notti aspettando l’alba, sul mare, guardando li galli e immaginando ballerini russi che danzano nella torre.

Positano ha scalinate silenziose e scure, da imparare a memoria per non farsi male. Porte e finestre che chiudono segreti condivisi, incastri illegali, genitori discutibili e giganteschi. E musicisti in deliquio che perdono i capelli nei motori dei gozzi, ragazzini efebici che muoiono fucilati da re in esilio, uomini di mare che ci restano, nel mare. Le canne, l’alcol, le pere.

Si ballava Lou Reed, Steve Miller Band, David Bowie, Rolling Stones, Queen, Alan Parson Project e quanto esisteva nelle pieghe di un rockettone anni ’80 che a sentirlo oggi imbarazza per la sua ingenuità. Con un bicchierino di vodka infilato nella tasca dei pantaloni. Con i piedi massacrati dai cocci di vetro e dai mozziconi accesi. Ritornavo all’alba di nascosto, sperando che nessuno mi vedesse. In un paese dove tutti conoscono la storia di tutti e dove noi eravamo ” ‘a figlia ro’ ” e ” ‘o figlie ‘e ” o un cognome o un soprannome, mai un nome.
Ci ho quasi rimesso la colonna vertebrale, a Positano, con un tuffo terrorizzato e uno svenimento in volo che ricordo perfettamente. Raccolta da due meraviglie di ometti che pochi anni ancora hanno resistito nel vivere. Sono stata, per la prima volta, abbracciata da una donna. Ho imparato a giocare a tressette, a rollare le canne, a difendermi dai maschi, a difendermi dalle femmine, a sparare alle bottiglie di vetro con un fucile a piombini. Mi sono innamorata perdutamente di una decina di persone di ogni sesso e aspetto e carattere e lingua.
Mi vado a guardare un altro po’ la webcam…

Troooppe feste…

Davvero, sono alla frutta.

Una settimana intenserrima, devo dire.  Invece di immagine e soundtrack, ve li prendete insieme. Il mio brano preferito di The Niro: Liar (un’ossessione proprio). Ecco qua.

Questo week end ben due feste due, di seguito, finite, prima e seconda, alle 4 del mattino.

Penelope nun c’ha fà.

Ed esco pure stasera. Un ritorno all’adolescenza. Domani nel saccone alle 9, immagino.

Prima Festa:

40 anni di una mia ex fidanzata, ora amica, la donna che credo di aver amato di più in assoluto.

Il primo impatto mi aveva suggerito un titolo tipo “vintage nightmare”, ero sotto shock. Gente che non vedevo da 10 anni, diecianni. Persone che non riconoscevo, delle quali avevo perduto nome e riferimento geografico. Persone trasformate, espressioni diverse, occhi diversi, vite diverse. Mi sentivo stordita e impotente nella ricerca di informazioni da associare e ricordi da recuperare.

Poi mi sono calmata. E ho rivisto cose che mi hanno riempito il cuore. Una famiglia che ha avuto la gentilezza di adottarmi che resiste, in piedi e sorridente, alle tempeste di sabbia e ghiaccio che la investono senza sosta. Persone che erano belle allora e lo sono tutt’ora, guadagnando e non perdendo. Facce che mi hanno ricordato quanto fossero importanti per me e che, anche se il tempo passa, non si cambia, in questo.

E’ come quando incontri, da adulto, qualcuno (più grande di te) che ti ispira, immediatamente e irragionevolmente un affetto caldo e inspiegabile. Poi scopri che ti ha tenuto in braccio da piccola o ha giocato con te, passato del tempo insieme ai tuoi anni bambini.

La stessa cosa mi è successa.

E guardi le ragazze che conoscevi e che “vivevano pericolosamente”, oggi hanno almeno un paio di pargoli in età scolare, difficili rapporti con mariti irrigiditi dagli anni e desideri incoercibili di ricominciare a vivere (desperate Housewives?). Non tutte, ovviamente, ma la voglia di poter ricominciare a vivere “senza regole”, ce l’hanno tutte.

Questi sono momenti nei quali mi rendo conto che essere lesbica può rendere la vita più semplice. In fondo faccio il cazzo che mi pare.

Quindi potremmo cambiare il titolo in “vintage emotions”.

Ho ballato senza separarmi dal blackborsalino e ho cercato di parlare con quanta più gente possibile. Non so se ci sono riuscita, spero sia arrivato l’affetto incondizionato.

Seconda festa:

Il fabolous ha fatto 47 anni. Che se li porta ‘na favola. Non voleva fare nulla poi, in base ad una serie di eventi non controllabili, ha deciso per la cena non troppo larga. C’era la ziasaimon, amicodelmuretto e altri vintaggissimi amici. Ho aiutato a preparare (che ‘sti ricchioni sanno fare tutto da soli, si ha da dire, ma una mano lesbica li aiuta sempre), ho parlato e riso e tagliato e cucito ad oltranza.

In realtà ci sarebbero molte cose da dire, più approfondite e precise: alcune persone si fanno inutilmente acrimoniose, altre non crescono, altre ancora cercano di capire.

Ma so che il fabolous non gradirebbe commenti scritti sulla cena a casa sua e mi astengo.

Senza contare che ho fretta e devo uscire. E che sono agitata. E stanca. E dovrei stirare. E vorrei fare ben altro.

P.S. delle 1 e 18 minuti: appoggiati ancora e non fissarmi così forte ché non sono capace di fare altro che abbassare gli occhi.

A volte si dimentica

A volte si dimentica.

la morbidezza della pelle, l’odore nascosto nelle pieghe del collo che ti riempie gli occhi e la faccia e ti lambisce il cervello e blocca il tempo. E non sei per strada. E non è notte. E non sapevi esistesse.

Quando troppo tempo ti è scivolato sotto le mani senza che una sola sensazione potente ti bruciasse i polmoni, si dimentica.

Sì, lo so, sono troppo spesso inutilmente cruda, troppo ancora mi piace spogliare le cose di ogni prevedibile magia per portarle, senza che sia necessario, altrove.

Fragile, dovrei tenerlo presente.

Le mani tra i capelli, non l’ho fatto. Avrei voluto. Non so com’è quando il palmo della mano riesce a liquefarsi e dilatarsi tra i fili arricciati e neri che cercano di coprirti i pensieri. La linea dei fianchi, la forma della schiena, le ho seguite ma piano, però. Ci sarà tempo?

Difficile andar via, anche questo si dimentica. Ricordarsi di mantenere gli occhi aperti mentre si guida. E lo stomaco che si ribella al pensiero: “mi devo svegliare alle sei”. Tenere il punto può diventare difficile, a volte.

Già, mi devo svegliare alle sei, non è questo che voglio, adesso. Allunga di nuovo quella mano, ripetimi ancora che non te l’aspettavi con quella precisa espressione di imbarazzo appoggiata sulla faccia, guardami negli occhi e fammi vedere se me lo ricordo, come si fa a sostenerlo.

Sono una lesbica romantica senza speranza, a volte lo dimentico.

Il resto è memoria procedurale.

 

 

Soundtrack: The Niro – Mistake

– in realtà la sndtrck doveva essere un’altra, ma mi sono letteralmente vergognata: è un pezzo dei Madreblu che si chiama Carmilla, già questo post è assai personale, metterci anche quel pezzo era troppo, quindi c’è The Niro per la seconda volta, perché è l’unico artista che mi ha emozionato davvero negli ultimi anni –

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E’ che sono presbite (pure?)

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Soundtrack: Fleetwood Mac – Don’t stop

(pezzo veramente assaje vintage, come me e i miei occhiali da presbite che non tiro fuori per non far vedere che non ci ceco una mazza) 

Pare niente, ma non vederci da vicino può creare danni di dimensioni notevoli.

Capita così che si legga un nome per un altro e che tutte le pippe che scorrazzano nella capoccia surriscaldata dall’effetto borsalino, si schiantino di colpo. Tutte insieme. Rumorosamente. Piacevolmente.

Questo potrebbe essere un post sull’illusione del controllo, su me che me la canto e me la suono, su donne di sostanza, su incontri sorprendenti. Ma anche su Darth Vader che dentro quel ridicolo costume non ci sta tanto bene o sui casi della vita che ti spingono giù dallo scivolo mentre stavi lì a pensare se quello è uno scivolo o no. E su quanto ci si possa fare del male a tentare di fare la ceretta ai baffetti con le strisce per le gambe, quanto possa essere imbarazzante, divertente e rassicurante, scoprire che hai amiche protettive e curiose come gatte, quanto sia bella San Lorenzo di giorno e come sia possibile inventarsi una storia su un paio di mani che tremano versando la birra. E sulla la mia timidezza patologica (ti ho detto shmettela!).

Perché io so di non potermi fidare di quello che penso, non ora. Ma forse no, e allora via, a casa.

Invece è un post che non vuole raccontare la giornata di oggi, fantozziana e delirante e sorprendente.

Vedo che resto criptica. Vedo che questo non è un post per tutti.

Vedo?

Sarò mica bipolare?

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Soundtrack: NeroItalia – Neroitalia

(Questo è un cd del 1995, credo lo abbiano 10 persone in Italia, tra i musicisti c’è il mio maestro di percussioni, una delle numerose attività inutili da me intraprese nel corso degli anni…)

Oggi anche casa. Un po’ perché mi sono addormentata alle 4 del mattino (non per pensieri ma, paradossalmente, per lavoro?), un po’ perché sono una lavoratrice media e quando mi incazzo col donatore di lavoro, mi ammalo.

Ma oggi sarò attiva, d’altra parte se non vado a fare la spesa mia nipote mi taglia la gola di notte. E ne ha ben donde.

Sono irrimediabilmente rincoglionita. Sarà necessaria una botta di vita sana o non arriverò ai 90, come da genetica familiare.

Fra i pensieri maturati, mentre ero in uno stato misto di rigidità mentale antidisintegrazione e sdilinquimento zuccherino, ho maturato la conclusione che, fra le altre cose, questo blog mi ha dato alla testa.

Penelopebasta ha gratificato la mia parte più feroce, acrimoniosa e supponente. E mi sono sentita in dovere di aderire a questo. Completamente.

La paura di crescere (ancora? eccheccazzo a 45 anni shmettela!) ha fatto il suo e le cose si sono “leggermente” incancrenite.

Adesso ho fame d’altro.

Ho fame di umanità, gentilezza e pace.

Del che, mi viene da supporre che io sia clinicamente bipolare. Chiederò lumi agli esperti.

Stamane parlavo via Skype con una mia amica storica, compagnella di viaggio in USA, ex collega ed ora proprietaria di palestra in quel di Udine, con tre figli maschi e un marito napoletano. Io le dicevo che sono in fase di costruzione del “me” dovendo fare i conti con la mancanza di ruoli sociali predefiniti (moglie, madre), lei mi diceva che è in fase di costruzione del sé dovendo fare i conti con la presenza di ruoli sociali predefiniti (moglie, madre). E non è la prima che me lo dice.

Siamo a cavallo, pare non ci sia verso, come stai stai e da qualsiasi punto parti. E’ comunque uguale. Questo almeno mi toglie di dosso un paio di atavici e sottili sensi di colpa, non che aspirassi ad essere moglie e madre, ma credevo sarebbe stato più semplice e più lineare, credevo insomma di essermi resa le cose più difficili con le mie manine d’oro.

Guarda un po’ i pensieri che direzione prendono. Si arrovogliano, intoppano, caprioleggiano et voilà, dritti in piedi a farsi guardare in tutta la loro semplicità. Perché è sempre più semplice di quanto sembra.

E basta ricordarsi il sapore e l’odore di una emozione calda, per togliersi gli occhiali da sole e accorgersi che è necessario allungare il ditino e accendere la luce.

Troppo criptica? ebbè, ci sono cose che voi umani…

 

Ancora pensieri III

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Soundtrack: Carole King – You’ve got a friend

Sì lo so, questa sndtrack è eccessivamente melensa e paracula, però.

Però, quando hai una amica che ha il coraggio di dirti che sei diventata qualcosa di molto simile ad un essere insopportabile:

A – la devi ringraziare;

B – ti devi scusare per le omissioni e i millantati crediti vantati;

C – devi essere fiera di conoscerla;

D – devi fermarti a pensare.

La ringrazio, mi dispiaccio, sono fiera, a pensare già ero, non mi ero fermata.

Sarà un post pesante, meglio avvertire.

Ieri sera salendo le infinite scale che portano alla colombaia dei Fabolous, a Napoli, dopo una serata strana, assai strana, mi sono resa conto che sono molte le cose che mi accadono, molte le cose che proclamo starnazzando come un’anatra, molte le cose dalle quali credo di dipendere. E sono sistemata perbenino in una crepa del muro. Affaccio la capuzzella ma non esco, non si sa mai. Quindi non sto bene. Che non è un “non sto ancora bene”, perché il passato è remoto. E’ un non sto bene ora, qui.

Non mi riconosco. Non sono dentro me, mentre faccio le cose; e perché? perché non mi decido a fare quello che va fatto. E non lo faccio perché non sono abbastanza dentro di me per farlo. E siamo punto e a capo.

Sto vivendo una vita senza un dentro. L’unico dentro è questo blog, ma non posso passare le mie giornate pensando a come le scriverò la sera, parola per parola, frase per frase, titolo e musica comprese. A volte dalla mattina.

Sembra che l’unica cosa che mi interessi sia come apparire, cosa gli altri DEVONO pensare di me, quanto chi ho intorno mi debba. A prescindere.

Chiamatemi Tutankamon.

Ho tutto ciò che è possibile desiderare, ma sembra non basti: ho amici, ho affetti, ho solidarietà, appoggio, attenzione, soddisfazioni, una casa decente, un lavoro sicuro, riconoscimenti e persino gente che mi infila le mani nei pantaloni e la ragionevolezza per togliere quelle mani e declinare il “delicato invito”. Di cosa altro pretendo di avere bisogno?

Ringraziando il cielo, non ho una storia, perché se l’avessi sarebbe la rovina. Lo so, ne sono consapevole e cosciente, ne sono felice quando ragiono.

Ho una città intera davanti ai miei occhi e credo di dover guardare ancora indietro per trovare qualcosa. Qualcosa che non c’è e non si può trovare alle mie spalle. Eppure mi perdo ancora in questa città.

– Anche oggi, confesso, di ritorno da Napoli, con tutto che c’era la R** in macchina, autostrada deserta, due ore pulite di viaggio e poi sbaglio ingresso in città. Un’ora in più… –

Ho gli ingredienti giusti, direi perfetti, per cucinare la migliore torta della mia vita e giro in tondo in cucina alla ricerca di cosa? delle mie mani per impastare. Le ho perse e, se le trovo, come le prendo che non ho più le mani?

Rivolto i miei pensieri a rovescio. Io sono fuori di me e solo nell’ipotetico sguardo degli altri. E di quegli altri il cui giudizio, di solito, mi sembra pregnante come quello di Costantino.

Apparire, sembrare, mostrare, dimostrare. Verbi che non usavo per me dal secolo scorso adesso sono gli unici che mi affollano la fronte. E mi stanno disintegrando. Senza che io me ne accorga.

Nel trojaio che è la città dove sono cresciuta (?), non ho intenzione di tornare, avrò cura di scegliere il come, il quando e soprattutto il chi. Non voglio tarantelle, bagattelle, aria pesante, pensieri inutili. Ma non è questa la cosa più importante.

La cosa più importante è che mi devo ricordare chi sono e fare pace con quello che sto diventando. Che non sarà apparenza.

Come mi ha già detto qualcuno – circa 20 anni fa, però – è come se avessi una macchina nuova, più potente e moderna e pretendessi di guidarla allo stesso modo della precedente.

Credo sia semplicemente la paura di non farcela. Credo possa essere utile caricarmi dicendomi indecenti bugie su come sono e cosa posso fare. Ne ho tanti di bambini in terapia così: talmente spaventati dai propri limiti da doversi pensare onnipotenti per superare il terrore di vivere e di mettersi alla prova. Avrei dovuto accorgermene prima. Io e le mie parole trionfanti, esagerate, oversized.

Cazzo, come sono diventata lenta, sarà l’età?

I bimberottoli così, di solito, mi stanno sulle palle e, perlopiù, il mio lavoro iniziale è quello di massacrarli e riportarli dov’erano prima, ovvero di fronte ai loro limiti, senza più bugie, senza più niente cui appigliarsi. Ora capisco cosa ho combinato in queste settimane e, in fondo, questo è un buon segno.

Imparerò a uscire anche da sola, riprenderò ad offrire agli amici il meglio di me, ad ascoltare, ad esserci, come è stato per anni e come è mio costume fare.

Non credo di avere alternative, questo peggio mi fa sanguinare.

 

 

Gnente

 Soundtrack: Z-Star – Lost Highway

te dico gnente.

Domani, quando mi sveglio (ora sono le 3 e 31), racconterò il gnente.

Vi ritengo responsabili del danno arrecato al mio narcisismo strabordante.

Notte.

Mi sono svegliata alle 13, mi ha chiamato mia sorella, sennò stavo ancora là.

Mi è andato il tonico nell’occhio.

Per fortuna mi sono divertita lo stesso, ho assai danced e cazzeggiato in giro chiacchierando, ho avuto accesso al privé (?) di Z-Star e dei suoi musicisti e ballato con loro (ma va? sono amica della tastierista, non è che sia stato un gesto di impudenza), ho incontrato una mia amica/collega e ho avuto un crollo di stanchezza alle 2 a.m. Ero sveglia dalle sei di ierimattina, non ho più l’età, diciamocelo.

Oggi giornata standard, forse scendo a Napoli, forse no. Ci penserò.

Mi sento un po’ così:

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La Caccia a Penelope.

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Soundtrack: Maxim ft Skin – Carmen Queasy

Povera gatta mia, avessa sapè…

Dunque domani sera caccia alla penelope owner del blog Penelopebasta.

Sono terrorizzata dalle cazzate che partorisco.

Per quanto c’è da registrare che una collega di Elide (la quale Elide è stata rapita da un gruppo di alieni che sostengono essere i suoi donatori di lavoro e che affermano me la restituiranno solo quando le avranno risucchiato l’ultimo organo interno rimasto) ha detto che sono la maga del marketing multimediale.

La prova definitiva che partorisco cazzate.

Il problema è duplice o, come si suol dire nei circoli riservati upper lipstick lesbian: dicotomico. Nel caso nessuno mi pensi, il mio narcisismo ne verrebbe ferito irrimediabilmente, la mia autostima vacillerebbe, l’immagine di me disintegrata, la dignità perduta, l’orgoglio massacrato.

Una strage.

Nel caso qualcuno davvero mi dovesse pescare tra la folla: svengo.

Lunga lunga per terra sul pavimento del Circolo degli Artisti, quindi, siate prudenti, cauti e delicati (nel caso).

Badilate di amici mi hanno detto: “Veniamo, facciamo, diciamo, restiamo… “.

Non ho più sentito nessuno. Il deserto, il silenzio siderale, il nulla cosmico, l’assenza assoluta, il buco nero della comunicazione.

Quindi me la devo vedere da sola. Se mi esplode il cervello, raccoglierò i pezzetti da sola, dopo aver litigato con i proprietari per aver inzozzato il pavimento, e andrò via con le mie pive nel sacco. E se svengo nessuno mi tira su, Elide resta senza protezione e Z-Star si arrabbia perché le interrompo il concerto.

Ordunque, ho poco altro da comunicare, se non che domani la giornata inizia alle 6 e 15 e non finisce più, che adesso ho da stirare sennò domani che cazzo mi metto, che in realtà non avevo niente da dire e che mi frullano per la testa pensieri scoordinati, come i miei pigiami. Straparlo e faccio uso eccessivo di parole, ben oltre il consentito, perché sono agitatissima.

Sabato farò il reportino della serata.

Che altro?

Buona Caccia.

 

L’orchestra in testa

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Soundtrack: Lambarena – Bach to Africa – Sankanda. Lasset uns den nicht zerteilen

Ho pensieri disordinati e ripetitivi in testa. Come diceva una mia amica, “un’orchestra senza direttore”.

I violini (chord): 

oggi, al lavoro, stavo facendo un test ad un ciccetto nuovo di anni 8. Bello come il sole, coi riccetti, gli occhioni grandi e scuri e le ciglia lunghe 18 miglia. Lui si è fermato, ad un tratto, e ha fatto una faccina incazzata e avvilita. Gli ho chiesto perché. Non rispondeva. Poi piano piano, mi ha detto che si incazza perché per lui scrivere è difficile, non ci riesce e si avvilisce. Ha messo la testa sulla scrivania e io gli ho accarezzato il crapiotto per buoni 10 minuti. Alla fine ha sorriso (e abbiamo finito il test).

Loro sono bimbi doloranti, arrivano da me così e il mio lavoro è rimetterli in piedi. Con alcuni sono la Signorina Rottenmeier, con altri cucchiaiate di zucchero e miele. Dipende da un sacco di cose (più o meno professionali, più o meno umane).

Il fatto è che non ero zucchero e miele con nessuno da un sacco di tempo, nessuno nessuno, neanche fuori dal lavoro. E mi ero dimenticata quanto è bello, quanto rilassa anche me, come mi fa sentire e cosa mi lascia. Quando sorrido sto meglio io. E la gente si avvicina.

Gli ottoni (brass):

ho parlato con mio padre e l’ho arronzato. Lui non sa perché. Ha provato una delle sue tecniche d’approccio buffe e insensate: “come va il tuo colesterolo?”. In fondo mi ha fatto ridere. Son qui a pensare se vale la pena fargli capire di cosa e perché sono incazzata. Ho un trombone in testa che ripete tutte le recriminazioni e le le doglianze di una vita e un flauto d’argento che sostiene la necessità di fare pace con chi non si sceglie ma si vive per sempre.

I tamburi (drums):

voglio una “amicizia affettuosa”, come si diceva 2 secoli fa. Per il piacere di condividere poche, piccole cose, senza pretese di nulla più. Il problema è che qualcuno mi deve venire a citofonare per offrirmela. Tipo vendita porta a porta, con catalogo annesso.

Il pianoforte (piano):

sto meglio, senza dubbio, mi sento più calma e riflessiva, ma non abbastanza. Ancora troppa facilità ad infiammarmi, ad entrare in loop ossessivi, a infilare la testa in situazioni frustranti. Troppo invadente e priva di misura. Insomma mi accorgo che ancora mi capitano momenti di totale perdita di controllo. E mi fanno più male di prima. Non per il concetto di controllo (che non ci credo proprio più alla possibilità di intervenire sull’enormità del mondo), ma per la perdita di me. C’è ancora da far.

Il direttore si è nascosto, perché ormai la timidezza lo ha invaso e pervaso e lui ha capito che non si può far finta troppo a lungo, bisogna essere quello che si è: spaventati, vergognevoli, cauti e vulnerabili, tanto si capisce lo stesso.

Si può sperare che stando di spalle, qualcuno non ci faccia caso e si fermi solo a guardare le codine del frac.

 

Caccia a Penelope: -2

Circolo degli Artisti, venerdì 7 marzo 2008

 

 

Lesbiche romantiche II? (puntata 9 l word)

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Soundtrack: Pam Grier, Betty – Some kind of wonderful

Primo: dopo le puntate in inglese, mi prende un eccesso di anglofonia.

Secondo: di seguito si parla della puntata 9 della serie 5 di L word. Chi non vuole sapere cosa succede, se ne andasse a fanculo. Già sai. 

Stasera formazione standard with guest da gruppo d’ascolto quinta serie L word.

Tutte a casa della R** per vedere la puntata.

S** prepara cena cous cous e verdure al forno (doveva essere il riso, ma la cottura ha richiesto un amount of time pari a circa 239 anni e 16 mesi).

Si mangia. Si sistema. Pronte sul divano. Doppio click: uno stramaledetto fake. La R** si è fatta solare dal web per eccesso di avidità.

Don’t panic, la puntata ce l’ho pure io. Di corsa in macchina a casa mia. In quattro sul divano + gatto nervoso per mancanza di posti + nipote in pijama da me scambiato in lavatrice che ci guarda con aria rattrappita.

Silenzio e devozione. Sospiri. Colpi di tosse. Parolacce e linguaggio scurrile in presenza di scene con protagonista Jenny. Ancora sospiri. Respirazione irregolare.

In questa puntata c’è una black out a los Angeles, dunque, come è noto nel mondo, durante i black out si fa sesso e niente più.

Tripudio e festival di accoppiamenti con donne assolutamente e irrimediabilmente splendide.

Volano sporadici commenti estetici e sostanziali tipo: “dai, mica farà così?” oppure “non ho capito se questa è carina o no”, “guarda Shane, non è mai stata così” o, ancora: “perché non viene un black out uguale pure a Roma?”.

Finisce puntata. Urlo di dolore collettivo. Silenzio.

Non siamo riuscite più a dire nulla. Un gruppo di persone adulte, in genere pronte e capaci di conversazioni multidisciplinari e di elevato livello culturale. Donne navigate e scafate, donne che leggono libri e quotidiani, mica casalinghe di Voghera.

Completamente annichilite dalla tracimazione ormonale e dalla visione “collezione Harmony” appena terminata.

Poi quando io dico che mi piace “un posto al sole” mi trattano da cerebrolesa.

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Momenti

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Soundtrack: Randy Crawford & the Crusaders – Streetlife

Ci sono momenti nei quali ti guardi negli occhi (magari stanchi) di qualcuno e ti accorgi che la tua storia è la storia di molti e che la storia di molti è la tua storia.

Momenti nei quali ti rendi conto che le domande, le responsabilità, i dolori e le paure sono universali.

E che le cose sono sempre più semplici di quanto si pensi.

E altro avrei da dire, ma non è il momento, un po’ di censura può servire, mi dicono.

Guardando indietro

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Soundtrack: Alanis Morissette – Excuses

Ier sera, per una serie di motivi che non sto qui a dire (ma che signora che sono), ho riletto un vecchio racconto da me scritto quasi dieci anni fa.

“17 ore”, si chiama. L’avevo scritto con lo specifico intento di fare male ad una mia ex e, caso mai qualcosa, riconquistarla a chiacchiere e poèsia.

Che palle. Vangate di vittimismo, barilate di mmerda e manipolazione pura di fatti e parole. Thanx God, ella mi ha perdonato, certo, dopo circa 10 anni, appunto, ma lo ha fatto. Non è che sia brutto, ma è pesante (vabbè che avevo avuto due anni da non credere per la quantità di sfighe definitive) e tutto teso a dimostrare che sono brava buona e bella e gli altri no. Sempre thanx God, ci si dimentica del proprio peggio, ma magari sarebbe meglio ricordare per evitare di farlo ancora.

Comunque l’ho fatto praticamente sempre, con quasi tutte le donne che ho perso. Scrivere un racconto manipolatorio ed emotivamente accattivante per vendetta. Consegnando fotocopie worldwide. D’altra parte codesto blog è nato per il medesimo motivo, diciamocelo.

Sono vendicativa come un gatto selvatico. Ma mica me ne ero accorta. Ma quest’è, bisogna che io ci rifletta un po’ su.

Sempre nella giornata di ieri, in tema di ex fidanzate, ho fatto il mio primo gesto extra-vendetta/tremenda/vendetta e affettuoso (almeno secondo me) nei confronti della mia ultima fidanzata dopo mesi di silenzio e orrore versione Shining.

Le ho scritto una mail per farle sapere che mi dispiace che la casa che abbiamo messo su insieme non esisterà più.

Perché mi dispiace. E per un sacco di buoni motivi.

Strano che proprio poco tempo fa io abbia utilizzato una foto della casa per un post.

Peraltro non ho chiesto dove lei andrà, non mi interessa, ma mi fa tristezza il persistere di questa distanza siderale.

E quindi così non resta più niente. Sei anni spariscono dalla faccia della terra (adesso non esageriamo) o, comunque, non lasciano tracce visibili in nessun luogo materiale. E’ come un lutto, come se una persona fosse morta.

Potrei andare a portare un mazzo di fiori davanti alla casa… o potrei metterci una lapidina di marmo con su scritto:

“QVI ABITARONO, VISSERO E CERCARONO DI ESSERE FELICI IN DVE.

NON CI RIVSCIRONO.
UNA DELLE DVE, IN MEMORIAM, POSE” 

Santa Pazienza, come cambiano le cose.

Lez Granny @ the disco

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Soundtrack: Gwen Stefani ft Eve – Rich girl

Da non credere, stanotte in discoteca fino alle 3 e mezza.

Serata solo donne all’Eto’ a Testaccio. Locale carino, devo dire. Due piste e centinaia di pischellette. Sono andata con una amica di passaggio in Rome. Ci siamo perse, obviously – perché solo io, dopo quasi tre anni, riesco ad arrivare a Ponte Milvio invece che al Testaccio -, ma ce l’abbiamo fatta.

La visione di insieme mi ha fatto pensare ad un sacco di cose. Le cose sono cambiate di molto, l’effetto estetico è gradevole, colorato, divertente. C’è un tripudio di Shane-Style (vedi L word), che è di certo più bello da vedere del Barile-Style.

Le ragazze erano giovanissime, curatissime, truccatissime, svestitissime. Ma abbiamo capito che le lesbiche hanno un problema genetico e proprio non son capaci di andare a tempo.

Le vedi entrare a frotte e l’effetto è “carta conosciuta”: le trionfanti, le androgine, le zoccole, le dimesse, le padrone del territorio, le portatrici di vagina d’oro, le spaventate, le chiatte, le anoressiche, la Ciro, le nonne (che sarei io).

Le piste sono due. Sopra – ma la musica non ci piaceva proprio – e sotto quel bel pop commerciale a tratti vintage.

Ho ballato per un’ora e mezza come una pazza, non lo facevo da almeno due anni, se non tre. E mi sono divertita oltremisura. Peraltro il mio cappello ha la stessa funzione di cani e bambini, acchiappa sempre (sorvolo sulla qualità dell’acchiappo, lasciatemi narcisisticizzare il momento senza badare ai dettagli).

Insomma, compagnia piacevole, serata piacevole, grande iniezione di energia e mi sento sempre più strafica, anche se nonna.

Ma una nonna strafica.

P.S. Grazie sempre all’amica di passaggio, affettuosa e tranquilla abbastanza da avermi impedito di fuggire al secondo minuto di permanenza e sostenuto nello scatenamento in pista…