Soundtrack: Noa – Blue touches blue
Ci sono cose che solo io conosco.
Stoccolma di mattina, l’emozione di guardare insieme un cielo che non hai mai visto prima e il poter abbassare lo sguardo su occhi che portano lo stesso colore addosso.
Il sorriso a colazione, nascosto da un vassoio dove troneggia il caffellatte e il pacco di imprescindibili macine.
Di notte la fragilità della voce che si spezza per amore, per paura, per piacere.
I risvegli sul mare di Posillipo che accarezza il fondo del letto e si impone alla finestra.
Le parole e il parlare e parlarsi senza noia, per giorni e settimane.
La dolcezza della cura. La vulnerabilità degli affetti. L’attenzione assoluta. La comprensione dell’essenza di me.
Questo è stato, anche se non è più. E nessuno era con noi per raccontarlo.
Ci sono cose che a nessuno sarai mai più dato conoscere in quel modo, in quel momento, in quel luogo. I pianti liberatori, le verità nell’anima, gli abbracci assoluti. Il senso dell’amore – per quanto possibile, per quanto personale, per quanto voluto -.
Sapevamo, esattamente e per lungo tempo, dove eravamo, cosa volevamo diventare, quali panorami ci avrebbero accompagnato. Sentiero dopo sentiero. Pietra dopo pietra.
Cosa io ho scelto di diventare è stato cosa io ho scelto di diventare. Perché questo, mi rendeva, felice.
I gesti minimi, leggeri, sottili, nati per.
Nati per far felice chi mi passeggiava al fianco. Nati per far felice me.
Conosco, io sola, ogni singolo gesto e potrei raccontarne la genesi con precisione assoluta. Sono stata chi ho voluto. Ho voluto chi ho amato. Amavo e ho conosciuto. Conoscevo la mappa di quel corpo e di quell’anima. Quell’anima era casa mia.
Ho pensato che legarsi e restare unite fosse l’unica cosa che valesse la pena di fare. Ho ascoltato la sua voce ripetermi le mie stesse parole. Ed era pace e riposo dopo la fatica della guerra.
Ho provato gioia infinita nelle battaglie giornaliere. Battaglie per tenere a freno me, il mio istinto predatore, la mia prepotenza bambina. A qualcuno ho permesso di vincere. Qualcuno si è meritato l’alloro della mia dedizione.
Sapevo di poter voltare la testa e dire: “ecco!”, a chi avrebbe ascoltato solo la mia voce. Ho visto brillare qualcosa, io l’ho visto. Io so che esiste. Non importa quando e con chi e se. Io ho avuto il privilegio di vedere, me lo sono meritata per quello che ho dato, per quello che ho ricevuto, per quello che ho promesso e mantenuto, per quello che mi è rimasto e non va via.
Perché non voglio che il meglio sparisca nel fango dell’inutile. Ricordo bene cosa siamo state, voglio tenerlo per me. Non è una faccia o le mani o gli occhi spaventati, non è una frase, un regalo, un progetto, non un ideale per schermare, non la rabbia per allontanare e neanche la determinazione di arrivare. Non gli sforzi per salire o il terrore di aprire. Non è un fatto, un evento, una definizione.
E’ una persona. Una persona che conosco e che, ancora per un po’, sarà il libro che solo a me è dato leggere. Con le sue note a margine, i suoi refusi, i paragrafi lunghi e involuti, i numeri di pagina in disordine. Ho ancora facoltà di trovarne il filo, so dove mettere le mani e come sciogliere i nodi. Conosco anche l’argomento, il susseguirsi della storia e riconosco in ogni descrizione il luogo, il fatto, l’emozione. Perché io sola ne ho avuto accesso. Di questo sono fiera.
Le cose, banalmente, finiscono. Le cose, banalmente, è bene che ci siano state.