Succede che scrivo qualcosa che lascia trasparire concetti e immagini che non sono veri.
Succede che mi ritrovo un amico che mi chiama e mi onora della possibilità di non essere mandata affanculo senza una spiegazione prima.
Succede che mi accorgo, ancora una volta, che tutta questa storia mi ha portato, meravigliosamente e fortemente, nel favoloso mondo dei miei amici.
Perché cazzo, quanti ne ho. E quanto mi concedono. E quanto mi perdonano.
Se fossi in grado di misurare me stessa con il metro che applicano i miei amici con me, avrei grossi problemi di sovrastima e sicurezza eccessiva e pienezza rospesca. Meglio che io ne sia incapace per ora, sarei una pericolosa lesbica vagante.
Dunque, il mio amico M** si è giustamente risentito per una frase che riguardava lui e la sua partecipazione a tutta questa storia. La frase non la troverete più, l’ho cambiata perchè aveva ragione.
Così come erano scritte, le cose, non rendevano merito a lui, al suo carattere e a quello che ha cercato, faticosamente di fare.
Ha ritenuto di non dover esprimere le sue posizioni per non prestarsi a giochi inutili che lui vedeva benissimo (lo chiamai la prima volta per attaccargli la pippa su come fosse stronza l’amica sua e di quanto avessi ragione io) e per consentirmi anche di risolvere questioni pratiche che altrimenti mi avrebbero obbligato ad un contatto diretto con la senzapalle.
Mi ha chiamato tutti i giorni (malgrado la sua nota oculatezza), ha cercato di smorzare e ridimensionare l’insmorzabile e l’inridimensionabile. Mi ha sostenuto con i suoi modi e i suoi principii.
L’ho conosciuto come uno dei più cari amici della senzapalle, abbiamo creato un rapporto insieme, ma ho sempre ritenuto che, partendo suo amico, non avrei avuto né voluto priorità. Nei momenti di lucidità ho anche pensato che non fosse giusto chiamare lui, l’ho fatto lo stesso e forse con sentimenti non proprio limpidi, ma lui mi ha ascoltato.
La metà basta.
Lui (che sarebbe Massimo,), Marco, Francesco, la Raffa, Betty, Chiara, Imma, Loredana, Loredana e Mario, Francesca e Marco, Margherita e Luigi, Simona e Gianluca, i miei cugini, mia nipote, mia sorella, persino mio cognato, tutti i colleghi del centro dove lavoravo prima e quelli del posto dove lavoro ora – certo che questo elenco pare la parte finale di un necrologio – mi hanno dato quantità di affetto e sostegno che non ci sono quelle parole per dirlo. Si sono sottoposti alla tortura dell’ascolto, all’impegno della telefonata quotidiana, al trasloco a mano, alla nutrizione semiforzata, al supporto economico; hanno elargito coccole e aiuti pratici, hanno fatto regali e speso parole.
Ma si può far meglio di così? Non credo proprio. Ho ancora qualche difficoltà a credere di meritarlo, noi piccole half/jewish tendiamo alla autosvalutazione. Ma è successo esattamente a me, e non a 17 anni, a 44.
Cazzo, ma che meraviglia…
P.S. M***, ho strisciato abbastanza? 🙂